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Solachianiello (antichi mestieri)

Antichi mestieri

Solachianiello
a cura di Maurizio Cuomo

Solachianiello

Solachianiello (immagine generata con IA)

Tra i mestieri antichi praticati un tempo a Castellammare di Stabia, di certo merita menzione il solachianiello. Questo termine dialettale, derivato da “sola” (suola) e “chianiella” (pantofola), identificava il maestro calzolaio che per pochi spiccioli riparava le scarpe. Operava sia a domicilio che nella sua bottega, servendo una clientela che preferiva, per motivi economici, far riparare le proprie calzature anziché sostituirle.

Questi artigiani si distinguevano per l’uso di strumenti semplici come: martello, semmenzelle (chiodi tipici da ciabbattino), colla, punteruolo e ago.

Così nell’articolo ‘O solachianiello, nella sua rubrica “Gli anni ’30 a Castellammare“, il compianto Gigi Nocera, rievocava in un suo ricordo la figura di un ciabattino stabiese:

Quello che ho conosciuto io, esercitava in Via Santa Caterina, a destra per andare alla Fontana Grande, subito dopo l’Arco della Pace. Era un ometto piccolo e segaligno e in quel “basso” aveva casa e bottega. Chi esercitava questo mestiere era benedetto dalle famiglie numerose e con scarso reddito. Difatti i bambini, i giovanotti, consumavano le scarpe molto rapidamente. Giocando a pallone (con palle di pezza) nelle vie e nelle piazzette della città, oppure sulla spiaggia. In molte occasioni la suola si staccava dalla tomaia“.

Nel contesto attuale, dove l’approccio all’usura e alla riparazione è cambiato con la cultura dell’usa e getta, mestieri come quello del solachianiello sono progressivamente scomparsi. Le poche botteghe che resistono, spesso tramandate di generazione in generazione, rappresentano un’anomalia nostalgica in un mondo che valorizza il nuovo su ciò che può essere riparato.

Questa figura dell’artigiano delle scarpe non solo conservava un mestiere, ma anche un pezzo di storia locale. Le botteghe rimaste (pochissime nell’intera provincia) ancora oggi evocano e mantengono viva una tradizione che racconta di abilità artigianali e di una comunità che una volta si affidava alle mani esperte di chi conosceva il valore del lavoro fatto con cura e dedizione.


Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo

Franfelliccaro (antichi mestieri)

Antichi mestieri

Franfelliccaro
a cura di Maurizio Cuomo

(articolo del 26 maggio 2025)

Franfelliccaro

Franfelliccaro (immagine generata con IA)

La domenica mattina, mentre le famiglie stabiesi passeggiavano in Villa comunale, il franfelliccaro prendeva posto con la sua bancarella improvvisata. Tra i profumi del mare e le risate dei bambini, il suo arrivo segnava un piccolo rito festoso. Bastava un’occhiata ai barattoli colmi di caramelle e zuccherini perché gli occhi dei più piccoli si illuminassero di meraviglia.

Il franfelliccaro non vendeva solo dolciumi o caramelle. Offriva franfellicchi, piccoli zuccheri colorati, confetti artigianali, liquirizie e bastoncini all’anice, sistemati con cura e pronti a tentare anche i più grandi. Intanto, con un sorriso furbo e una filastrocca in dialetto, conquistava la curiosità dei passanti. Continua a leggere

Acconciapiatti (antichi mestieri)

Antichi mestieri

Acconciapiatti
a cura di Maurizio Cuomo

(articolo del 24 maggio 2025)

acconciapiatti

Acconciapiatti (immagine generata con IA)

L’acconciapiatti (l’aggiustapiatti) era un artigiano prezioso. Un uomo del fare. Operava in un tempo in cui nulla si buttava via. Nella prima metà del Novecento, la parola d’ordine era conservare. Ogni oggetto rotto poteva avere una seconda possibilità. Anche un piatto scheggiato. Anche una zuppiera spaccata.

Quando qualcuno rompeva un oggetto in ceramica o terracotta, non lo gettava. Lo affidava all’acconciapiatti. Questo artigiano sapeva come intervenire. Prima osservava attentamente la frattura. Poi prendeva i cocci e li forava. Faceva due piccoli buchi, precisi. Uno per lato.

A quel punto usava un sottile filo di ferro. Con mani esperte lo piegava, lo inseriva nei fori, lo stringeva bene. I pezzi combaciavano di nuovo. Il piatto tornava intero, ma con una cicatrice. Tuttavia, il lavoro non finiva lì. L’acconciapiatti passava un po’ di colore bianco sulla riparazione. Così copriva il filo, mimetizzava il rattoppo. Continua a leggere