Archivi tag: Scoglio di Rovigliano

Erbario Coscarelli in riferimento al territorio stabiano

Erbario Coscarelli

in riferimento al territorio stabiano

N.B.: si ringrazia il prof. Mario Russo per aver autorizzato la pubblicazione delle due immagini.

Erbario Coscarelli

Questa mattina ho iniziato la lettura del catalogo curato dal prof. Mario Russo (edito nel 2009 dalla Nicola Longobardi Editore) che illustra l’erbario di Domenico Coscarelli, conservato a Sorrento nel Museo Correale di Terranova. Continua a leggere

Rovigliano

Revigliano

Castello Rovigliano - anno 1901 (coll. Gaetano Fontana)

Castello Rovigliano – anno 1901 (coll. Gaetano Fontana)


 Lo stralcio di testo pubblicato a seguire è tratto da
“Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli”,
composto dall’abate D. Francesco Sacco nel 1796.

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Lo Scoglio di Rovigliano

Lo Scoglio di Rovigliano

articolo di Maurizio Cuomo

Isolotto di Rovigliano

Isolotto di Rovigliano

Il Tempio di Ercole sull’isolotto di Rovigliano

A circa cinquecento metri dalla foce del fiume Sarno e ben visibile dalla costa, sorge l’isolotto di Rovigliano. Si suppone che su di esso, in tempi remoti risalenti ad epoca romana, fu costruito un tempio in onore di Ercole suo fondatore.

Testimonianze in merito, le troviamo in uno scritto dello storico Gaio Plinio Secondo (Como 23 – Stabia 79) detto “Plinio il Vecchio”, che nel libro XXXII ,8, dell’opera Historia Naturalis, riporta:“…in Stabiano Campaniae ad Herculis petram melanuri in mari panem abiectum rapiunt, iidem ad nullum cibum, in quo hamus sit, accedunt”. (allo Scoglio di Ercole i melanuri, oggi “pesci occhiata”, mangiano il pane gettato in mare, ma, non si accostano a nessun cibo infisso sull’amo).

Particolare di Opus Reticulatum

Particolare di Opus Reticulatum

L’unica prova tangibile che possa avvalorare la suddetta tesi è la traccia di antichi trascorsi di epoca romana, lasciata dal residuo di “opus reticulatum” (l’opera reticolata caratterizzata da una muratura con trama a forma di rete, è formata da blocchetti di tufo a base quadrata, che trovò impiego dal I sec. a.C. al II sec. d.C.), visibile ancor oggi sulla parete sud della torre.

Altro elemento da molti preso in considerazione, è la testimonianza del Corcia, il quale afferma che durante lo scavo delle fondamenta della ancor esistente torre, fu ritrovata una statua in bronzo raffigurante Ercole, di cui ben presto non si ebbe più notizia. Lo Scoglio di Ercole, isolotto incantevole del golfo partenopeo, situato strategicamente in posizione perfetta, nel corso dei secoli è stato adibito a diversi usi, con conseguenti modifiche strutturali.

La Denominazione “Isolotto di Rovigliano”

L’origine della moderna denominazione “Isolotto di Rovigliano”, secondo gli storici (ipotesi tramandata tacitamente da diverse generazioni), deriva dalla trasformazione nei secoli dell’antico termine “insulae Ruviliane”, nome dovuto alla “gens Rubilia” (famiglia romana dei Robilii) o ad un antico console Rubelio, ai quali attribuiscono l’antica proprietà dello Scoglio. Personalmente non concordo la suddetta teoria, perché è del tutto priva di riscontro documentato.

Per questo motivo, ho ritenuto opportuno ricercare le radici storiche in modo più diretto, semplicemente studiando le origini del termine Rovigliano. L’approfondimento di questi studi, mi ha portato al termine latino “robilia” (costruito su rubus, rovo, come ervilia su ervum, ervo) che indicava genericamente le piante erbacee fornite di baccello (leguminose); questo termine, che si è evoluto nell’italiano robiglia (anche rubiglia), attualmente indica la cicèrchia, cioè, quella pianta annua mediterranea, appartenente alla famiglia delle papilionacee, che spontaneamente può riprodursi anche in ambienti secchi e rocciosi.

Considerando infine, le modeste coltivazioni di cicèrchie, ancor oggi esistenti nelle vicinanze di Castellammare (nei pressi della località S. Agata), e la possibile (ma non certa) presenza sullo Scoglio di piante della stessa famiglia, personalmente, sono portato a ridimensionare le nobili origini del termine Rovigliano, fortemente volute dagli storici.

Rovigliano: cartolina d'epoca acquerellata

Rovigliano: cartolina d’epoca acquerellata

Il Monastero e la Storia Medievale

Nelle “Rievocazioni e Rivendicazioni Storiche” pubblicate nel 1937 il De Rosa asserisce che nel VI secolo, l’Isolotto andò in proprietà a Ernesto Longobardi, appartenente a nobilissima e ricca famiglia stabiese, il quale vi costruì una piccola casa, dove si recava per pescare accompagnato dalla figlia di nome Generosa, la quale, fervente religiosa, vi fece costruire una chiesetta, che fu benedetta da S. Catello, vescovo del tempo ed attuale protettore e patrono di Castellammare.

Trascorsi alcuni anni la piccola costruzione fu ingrandita e trasformata in Monastero che fu posto sotto la protezione di S. Michele e di Santa Barbara, Vergine e Martire. Un documento sorrentino dell’anno 938, conferma l’esistenza del Monastero: vedi “Regii Archivi Monumenta” che nell’Instrumentum XXX, anno 938, p. 106, enumera vari beni offerti a Joanni ven. Abba Presbitero Monasteri insulae Ruviliane.

Nel corso dei secoli, sull’isolotto si succedettero diversi ordini monastici. Il documento più recente, testimonianza dell’attività religiosa, risale al 16 ottobre 1407 (Abbas Monasterii S. Arcangeli de Insula Rubiliani Diocesis Castrimaris…), indicante l’appartenenza del Monastero alla Diocesi di Castellammare.

Rovigliano: cartolina

Rovigliano: cartolina

La Torre di Avvistamento e gli Eventi Moderni

In seguito all’abbandono dell’Isolotto da parte dei monaci, le Autorità militari per difendere il litorale stabiese dalle incursioni Saracene e Barbaresche, edificarono nel 1564 una torre di avvistamento provvista di artiglieria, custodita da soldati invalidi. In tempi a noi più recenti, durante l’occupazione dei francesi il torrione fu necessariamente adibito a prigione su ordine del Comandante Manthonè.

Nel 1861 in seguito all’unificazione, l’isola passò al Demanio dello Stato che la vendette poi ad un privato, passata in possesso a numerosi altri proprietari, fu infine venduta nel 1931 al signor Antonio Brigante di Torre Annunziata, che tentò di trasformarla in un centro turistico, dove v’impiantò perfino un albergo ed un ristorante, ma l’ambizioso proprietario non riuscì mai nell’intento ed abbandonò, rinunciando alle aspirazioni.

Lo scoglio di Rovigliano (foto Salvatore Avella)

Lo scoglio di Rovigliano (foto Salvatore Avella)

L’Idea di un’Escursione a Rovigliano

Alcuni anni fa, quando con mio cugino Giuseppe (al quale riconosco il merito di avermi “contagiato” nella passione alla Ricerca) eravamo intenti a ricostruire l’albero genealogico di famiglia, tra i tanti studi e ricerche da effettuare, mettemmo in preventivo anche una possibile escursione allo Scoglio di Rovigliano.
La passione e la voglia di visitare un luogo così pregno di storia era notevole, ma essendo al momento sprovvisti di barca, ritenemmo opportuno accantonare e rinviare tale progetto.

La Partenza con la “Nannina”

Alfredo Aliminni

Alfredo Aliminni

Non molto tempo dopo, si presentò l’occasione giusta, quando, l’amico Alfredo Alminni, amante del mare e proprietario della “Nannina”, anch’egli incuriosito dal fascino dello Scoglio, si propose per accompagnarci. Pochi giorni e ci ritrovammo sulla “Nannina” ancorata alla banchina di “Zi’ Catiello”, che con qualche preparativo del sapiente Alfredo, fu pronta. Quel sabato mattina di settembre, nonostante il cielo fosse nuvoloso, decidemmo comunque di partire nella speranza di una miglioria climatica. In rotta per Rovigliano, lasciammo alle spalle Castellammare e il suo splendido litorale ai piedi del Faito; la suggestiva cartolina (visione quotidiana dei pescatori stabiesi), ebbe su di me il suo benefico effetto, infatti, intento a guardare con attenzione lo scenario che si offriva ai miei occhi, dimenticai completamente di soffrire il mal di mare.

L’Avvicinamento allo Scoglio

Giunti a meno di trenta metri dall’isolotto, saggiamente l’amico Alfredo da esperto marinaio locale, nel tratto di mare nel quale si riversa il fiume Sarno, decise di issare in barca il motore e di proseguire a remi, poiché, il mare torbido antistante l’Isolotto, cela le insidie di numerosi spuntoni di roccia che affiorano a pelo d’acqua. Nonostante la cautela del vogatore, però, non fu possibile evitare l’urto con delle rocce per nulla visibili. Questa difficoltà, aggiunta ad una leggera risacca non ci permise di approdare su quel lato dello Scoglio, per cui andammo alla ricerca di un punto di sbarco meno difficoltoso.

Lo sbarco e l’incontro con i Guardiani Alati

I guardiani alati come sentinelle sulla Torre

I guardiani alati come sentinelle sulla Torre

Effettuato così, un sopralluogo completo, raggiungemmo un’insenatura sul versante nord (lato che guarda verso il Vesuvio), dal quale fu finalmente possibile mettere piede sull’Isola. Mi era stato detto di fare attenzione, perché data la vicinanza alla foce del Sarno (da una recente statistica il fiume più inquinato d’Europa), con tutta probabilità l’Isolotto poteva essere infestato da topi.

Fummo però accolti, da un gran numero di gabbiani, attualmente i soli ed unici abitanti dello scoglio. Queste immobili ed attente sentinelle, diligentemente allineate in posizione guardinga, per qualche istante rievocarono alla mia mente i trascorsi bellicosi del luogo.  Sotto la costante ed attenta sorveglianza dei diffidenti pennuti, mettemmo piede sulla celeberrima “Herculis petram”.

Le Prime Scoperte

Legata la “Nannina” ad una salda roccia ed armati della sola fidata macchina fotografica, muovemmo i primi passi d’esplorazione. Le sorprese non tardarono a venire, infatti, in bella vista ad attenderci trovammo una rampa di circa venti gradini, interamente in piperno, dalla cui base, purtroppo, per chissà quale scopo, sono stati completamente espiantati i primi elementi di pedata, probabilmente portati via, poiché dei suddetti, non vi è rimasta minima traccia. Lo scalone ancora praticabile, porta ad un pianale dal quale è possibile vedere la costa (lato fiume Sarno).

Il Cunicolo per la Terrazza

Rampa con gradoni in piperno

Rampa con gradoni in piperno

Di fronte allo scalone ed ancora integro, c’è un cunicolo (largo non più di due metri, con pareti alte sormontate da un’ampia volta e pavimentato da bassi gradini di comoda pedata), grazie al quale si accede alla terrazza principale dell’Isolotto. L’apertura superiore del cunicolo, era quasi del tutto ostruita da una fitta vegetazione, prova che da tempo non si facesse visita al vecchio Scoglio. Uscimmo da un varco che offriva uno spazio appena sufficiente al nostro passaggio.

Non appena fuori, notai sul suolo di calpestio delle sinistre macchie rosse, ma con gran sollievo mi resi conto che si trattava di pomodori marci, liquefatti dal sole (residuo spuntino di chissà quale gabbiano).
Abbandonati i pensieri da libro giallo, mi ritrovai dinanzi alla torre della fortezza, dalla caratteristica forma quadrangolare.

Una Fortezza di Pietre e Storia

Le quattro pareti che la compongono, sono in pietra calcarea, ma è ben evidente da quel che resta delle altre opere in muratura, che lo Scoglio sia stato abitato in diverse epoche, poiché sono stati utilizzati differenti materiali da costruzione (roccia calcarea, tufo giallo, tufo grigio, mattoni rossi pieni grezzi), attualmente imprigionati nella struttura. Giuseppe richiamò la nostra attenzione, facendoci notare l’opus reticulatum, senza dubbio l’opera più antica del sito (vedi cenni storici).

Un’Edicola SacraEdicola Votiva

Nei pressi dell’opus e precisamente all’interno di una nicchia alla base della torre, sono visibili ancor oggi i resti di un’edicola, nella quale presumo, un tempo vi poteva essere esposta una immagine sacra a protezione dell’Isolotto. Valutammo la possibilità di entrare nella fortezza, ma viste le precarie condizioni e la non lontana possibilità di crollo della struttura, evitammo questo inutile rischio limitandoci ad ammirarne la bellezza dall’esterno.

Contemplammo in silenzio le antiche muraglie erose dal tempo, delle quali, a causa dei marosi e dell’incuria dell’uomo, si sta’ perdendo traccia. Dopo qualche ora, pienamente soddisfatti per l’escursione compiuta, decidemmo di far ritorno. Raggiunta la “Nannina”, lentamente ci allontanammo dall’insenatura dello Scoglio, dal quale ritrassi un ultimo scorcio pittoresco.

Lo scoglio di Rovigliano

Lo scoglio di Rovigliano

Stampa ottocentesca, collezione Gaetano Fontana

A Criazione a Castiellammare

A Criazione a Castiellammare

di Giuseppe Zingone 

Storia di una cosmogonia tra Castellammare e Stabia

La creazione, secondo il cristianesimo è dono gratuito di Dio, cioè un regalo non subordinato all’amore dell’uomo, anzi Dio previene l’amore umano donandosi per primo. I teologi affermano che Dio è Trino, a motivo del fatto che se fosse stato uno e solo, avrebbe amato unicamente sé stesso, di un amore egocentrico; l’IO del Padre si rivolge al TU del Figlio, divenendo il NOI dello Spirito Santo. L’amore infatti ha bisogno di un tu a cui rivolgersi ed essendo l’amore di Dio perfetto e sovrabbondante esce fuori da sé stesso nella creazione ed ecco lo Spirito di Dio iniziare l’opera aleggiando sulle acque, un amore traboccante, debordante, dà origine al mondo ed attraverso il Verbo ha inizio la più grande avventura dell’intero e sterminato universo.

'A Criazione, Castellammare

A Criazione a Castiellammare Castellammare stampa Ottocentesca (collezione Gaetano Fontana)

Ne sono certo!… quando il terzo giorno della creazione Dio fece apparire l’asciutto si sedette sul cono del Vesuvio, tenendo in fresco i piedi, godendo per brevi istanti della ombrosità proveniente da Sud; già pregustava il suo meritato riposo della lunga giornata che ormai volgeva al termine. Il suo lavoro evidentemente non era ancora completo, per cui delimitò lo spazio, tra il verdeggiante Faito ed il mare, e con il suo personale pennello tracciò un arco, il golfo di Castellammare di Stabia. Quel che fece era buono e giusto, ma nella sua onniscienza pensando al Figlio suo ed agli uomini che questi avrebbe riportato al Padre attraverso la croce, non si astenne dal sollevare il Faito, e sotto di esso tracciò diversi solchi, che presto furono ripieni d’acqua cristallina, l’acqua che prese a scorrervi acquistava pian piano l’essenza delle pietre, ricche di minerali, sulle quali si muoveva. Anche qui si soffermò e toccandosi la barba riconobbe di aver fatto un buon lavoro, nessuno neanche l’uomo più insensibile e ingrato avrebbe potuto dire che Dio non era stato provvido verso quei luoghi, l’aria serale era frizzante ed ora riposarsi aveva l’unico scopo di proseguire il lavoro il giorno dopo; non s’accorse però che nel sollevarsi, il suo piede aveva fatto riemergere dal mare un piccolo scoglio che fu il coronamento di un opera d’arte, come la firma di un pittore sulla tela appena terminata. Inutile dire che ai primi uomini che vissero in questa succulenta terra non mancava nulla, c’era solo da scegliere: dedicarsi alla pesca, alla caccia, all’agricoltura per cui nacquero subito i primi insediamenti umani che non avevano bisogno di palafitte per proteggersi dai feroci animali, le grotte furono presto abbandonate, subito si svilupparono culture nuove che si affinarono sempre più, i Sanniti, gli Etruschi, i Greci e poi i Romani. Come tutti gli altri anche questi ultimi non poterono far a meno di notare le enormi potenzialità della terra di Stabiae e quando successivamente, essa non volle piegarsi al crudele tiranno Silla fu distrutta, ma subito si riebbe, rifondò sé stessa e ancora una volta cadde in disgrazia stavolta per l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Post fata Resurgo celebra il motto stabiese e così fu che dal basso all’alto medioevo, questa terra fece innamorare Regine e nobili, principi e marchesi, e fu amata in maniera indicibile soprattutto dai suoi figli (in particolare dai figli emigrati), che di lei, serbarono i ricordi nel cuore.

Ora come il lettore ben sa, non esiste creazione positiva, senza che il suo opposto faccia la sua bella comparsa, e ve pare co’ riavolo se ne steva in disparte? Troppa bella sta terra, pe’ nun ce mettere ‘e mmane. Fatto è che il peccato entrando nel cuore dell’uomo lo corrompe, è succieso pirciò ca ‘e mmane c’hanno vulute mettere paricchie ‘e lloro, tanto che la Città stessa in una giornata di pioggia squassante e fastidiosa, disse: “Dio mio, vire tu quanta munnezza!!!” A dire il vero non si capì bene a cosa o a chi si riferisse. Io propendo per i “chi” ed allora cito: chi specula, chi corrompe, chi maltratta, chi nun se piglia scuorno, chi sporca, chi ‘mbratta, chi arrobba, chi truffa e chi fa perdere ‘a speranza, si tanto che pure a ggente onesta fatica a se cumpurtà buono!

In ogni caso è chiaro che ‘o remmonio s’è moltiplicato e cu’ isso: cattiverie, fetenzie, e mal’azioni. Speriammo e n’aspettà troppo pe’ sta restaurazione; Stavota senza aiuto ‘e Dio cumpimmo sta ri-CREAZIONE!

Articolo del 2009


Scoglio di Rovigliano

Panorama

Panorama

di Enrico Discolo

Scoglio di Rovigliano foto Giuseppe Zingone

Scoglio di Rovigliano foto Giuseppe Zingone

Nelle mattinate fredde e terse di tramontana, dietro i vetri della veranda sul mare, mi piaceva spaziare con lo sguardo nella piccola baia di Porto Salvo.
C’era molto da esplorare: le gru imponenti del cantiere navale, la marina di Via Duilio, i Magazzini Generali, il lungomare, il campanile della basilica di Pompei svettante nella pianura del Sarno, Torre Annunziata e il Vesuvio che come un saggio e vecchio nostromo battagliero aveva smesso persino di fumare.

Seguivo le onde spumeggianti del mare provenienti dall’isolotto di Rovigliano. Esse, mulinate dalla furia del vento, diventavano senza interruzione più alte e massicce fino a frangersi come fuochi d’artificio contro le murate del porto, la torre e il faro della punta del molo superandoli con smisurate cascate vaporose di schiuma.
Quel brindisi tra la mareggiata e la solitaria lanterna sommersa da nuvole di merletti effervescenti era per me effettivamente uno spettacolo avvincente.
I cavalloni che superavano il muraglione avanzavano per l’ultimo approdo fino ai ponti verdi dei “silos”: tre compassi mastodontici adibiti al carico e scarico delle navi mercantili. Nelle mie fantasticherie essi assumevano la sagoma di un veliero pronto a sfidare il mare nelle giornate di tempesta.
Il passaggio del treno per il quartiere “Acqua della Madonna” appariva inusuale, ma per noi residenti era diventata una cosa normale, addirittura faceva parte itinerante del paesaggio. Il treno merci che trasporta ancora oggi materiali di metallo per le navi in costruzione, attraversa il lungomare di tutta la città, dalle ferrovie dello Stato fino al cantiere navale. La vaporiera lanciava dense nuvolette di fumo bianco che, per la temperatura rigida, si condensavano istantaneamente, assumendo le forme più strane e bizzarre. Figure di gnomi e oggetti volavano in ordine sparso dalla marina di via Duilio fino alla cupola della chiesa di Porto Salvo e scomparivano oltre il campanile in una corsa pazza verso il cielo.
Nella piazzetta dell’Acqua della Madonna potevo osservare dal terrazzino della mia casa la geometria degli alberi disadorni che s’incrociava con i tavolini e le sedie allineati. Tutto restava in disuso nell’attesa di tempi migliori ovvero di giornate e serate più lunghe, ma generose di vita.
Quel clima invernale solitamente freddo, nonostante la convinzione di un Sud dal clima più mite, mi procurava una malinconia a dir poco strana che riuscivo a respingere ricreandomi nella mente i suoni dei posteggiatori che si avvicendavano nel boschetto durante i periodi estivi pieni di residenti e villeggianti che affollavano il borgo marinaro detto anche, da alcuni forestieri, la Santa Lucia di Castellammare di Stabia.
Immagini e pensieri di un giorno invernale emersi nel ricordo di quella terrazza. Un panorama di vedute care, di tante emozioni vissute, da rivivere con nostalgia, conservare e tramandare agli altri. Era la mia casa che un tempo stava li, in un palazzo che oggi non esiste più.