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Scoglio di Rovigliano

Panorama

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di Enrico Discolo

Scoglio di Rovigliano foto Giuseppe Zingone

Scoglio di Rovigliano foto Giuseppe Zingone

Nelle mattinate fredde e terse di tramontana, dietro i vetri della veranda sul mare, mi piaceva spaziare con lo sguardo nella piccola baia di Porto Salvo.
C’era molto da esplorare: le gru imponenti del cantiere navale, la marina di Via Duilio, i Magazzini Generali, il lungomare, il campanile della basilica di Pompei svettante nella pianura del Sarno, Torre Annunziata e il Vesuvio che come un saggio e vecchio nostromo battagliero aveva smesso persino di fumare.

Seguivo le onde spumeggianti del mare provenienti dall’isolotto di Rovigliano. Esse, mulinate dalla furia del vento, diventavano senza interruzione più alte e massicce fino a frangersi come fuochi d’artificio contro le murate del porto, la torre e il faro della punta del molo superandoli con smisurate cascate vaporose di schiuma.
Quel brindisi tra la mareggiata e la solitaria lanterna sommersa da nuvole di merletti effervescenti era per me effettivamente uno spettacolo avvincente.
I cavalloni che superavano il muraglione avanzavano per l’ultimo approdo fino ai ponti verdi dei “silos”: tre compassi mastodontici adibiti al carico e scarico delle navi mercantili. Nelle mie fantasticherie essi assumevano la sagoma di un veliero pronto a sfidare il mare nelle giornate di tempesta.
Il passaggio del treno per il quartiere “Acqua della Madonna” appariva inusuale, ma per noi residenti era diventata una cosa normale, addirittura faceva parte itinerante del paesaggio. Il treno merci che trasporta ancora oggi materiali di metallo per le navi in costruzione, attraversa il lungomare di tutta la città, dalle ferrovie dello Stato fino al cantiere navale. La vaporiera lanciava dense nuvolette di fumo bianco che, per la temperatura rigida, si condensavano istantaneamente, assumendo le forme più strane e bizzarre. Figure di gnomi e oggetti volavano in ordine sparso dalla marina di via Duilio fino alla cupola della chiesa di Porto Salvo e scomparivano oltre il campanile in una corsa pazza verso il cielo.
Nella piazzetta dell’Acqua della Madonna potevo osservare dal terrazzino della mia casa la geometria degli alberi disadorni che s’incrociava con i tavolini e le sedie allineati. Tutto restava in disuso nell’attesa di tempi migliori ovvero di giornate e serate più lunghe, ma generose di vita.
Quel clima invernale solitamente freddo, nonostante la convinzione di un Sud dal clima più mite, mi procurava una malinconia a dir poco strana che riuscivo a respingere ricreandomi nella mente i suoni dei posteggiatori che si avvicendavano nel boschetto durante i periodi estivi pieni di residenti e villeggianti che affollavano il borgo marinaro detto anche, da alcuni forestieri, la Santa Lucia di Castellammare di Stabia.
Immagini e pensieri di un giorno invernale emersi nel ricordo di quella terrazza. Un panorama di vedute care, di tante emozioni vissute, da rivivere con nostalgia, conservare e tramandare agli altri. Era la mia casa che un tempo stava li, in un palazzo che oggi non esiste più.