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Cassarmonica (1)

‘A Casciarmonica ‘e Castiellammare

‘A Casciarmonica ‘e Castiellammare

di Catello Nastro

La Cassarmonica (opera del m° Umberto Cesino)

La Cassarmonica (opera del m° Umberto Cesino)

Sono nato settanta anni fa a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, in Vicolo Mantiello, una delle tante strade cittadine che confluivano e confluiscono “Ammiezz’‘o llargo ‘e Fusco”. Una piazza piena di vita sempre affollata di carrette, carrozze e carrozzelle, qualche automobile, come le Balilla, qualche camioncino rumoroso e sgangherato ed una infinità di pedoni. Si, perché nella antica Stabia sono vissuto fino a dieci anni e cioè dal 1941 al 1951, quando mio padre, buonanima, decise di trasferirsi nel Cilento. I miei ricordi del paese natìo si fermano al 21 ottobre del 1951. Sono nato in un basso, sono cresciuto in mezzo alla strada. Com’era diversa la vita di allora. Qualcuno si vergogna di essere nato “scugnizzo”. Addirittura qualcuno ha comperato, e compera ancora titoli nobiliari, naturalmente fasulli, per evidenziare nobili origini. La vita del vicolo è stata la prima mia grande maestra. Mi ha insegnato cosa significano appetito, sacrificio, ristrettezze, sofferenza, ma anche amore, fratellanza, comprensione, solidarietà. Continua a leggere

Catello Nastro

a cura di Maurizio Cuomo

Il comune amico Severino Palumbo ci segnala che pochi giorni fa si è spento lo stabiese Catello Nastro (insegnante, critico d’arte, scrittore e giornalista).

Catello Nastro (foto tratta da infocilento.it)

Catello Nastro (foto tratta da infocilento.it)

Ecco come Catello viene ricordato su infocilento.it:

“AGROPOLI. E’ morto a 75 anni Catello Nastro, poliedrico personaggio da sempre legato agli ambienti culturali della città. Era stato critico d’arte, insegnante, scrittore e giornalista. Nativo di Castellammare di Stabia, si trasferì ad Agropoli il 21 ottobre del 1951 insieme alla sua famiglia. Negli anni ’70 inizia a Torino gli studi d’arte e nel 1973 dà il via alla sua carriera di critico presso la Casa Editrice Italiana, la Casa Editrice Nazionale e la Galleria d’Arte “Art Center Club”. Continua a leggere

Catello Nastro

Caro Maurizio, non ho il piacere di conoscerti personalmente ma penso che, col tuo sito, hai creato un grosso veicolo culturale di comunicazione a distanza atto a rinverdire i ricordi del tempo passato in quanti, come me, hanno dovuto lasciare Castellammare da piccoli. Io l’ho lasciata il 21 ottobre del 1951. Mi congratulo, quindi, per la tua opera altamente meritevole e mi permetto inviarti due versi per ricordare il LARGO FUSCO ove ho trascorso la mia fanciullezza. Ti ringrazio per l’opportunità e cordialmente ti saluto.

Una vecchietta che si chiamava Italia

Quando nacqui, settanta anni fa,

al piano terra, nel vicolo Mantiello,

della città delle terme stabiane

e dei maestosi, prolifici Cantieri,

mi si fece incontro, lentamente,

all’inizio della vita in questa terra,

una vecchietta di ottant’anni,

lacera, rugosa, col volto martoriato,

coi segni inconfondibili

della truce, iniqua e disumana guerra.

“Sei capitato in un momento inopportuno,

tra gente armata fino ai denti,

che, come una squallida partita a carte,

devono decidere i vincitori ed i perdenti.

Ci saranno vedove, orfani, mutilati,

morti dissepolti dalla scoppio di granate,

donne vestite a lutto col volto triste e spento

rese sole da un odio antico in un momento.

Ti volevo portare almeno un tozzo di pane,

ma le mie ricerche sono risultate vane.

Un grande dono ti ho portato in quantità:

una sacchetto pieno di amore e d’Italiana Dignità”.

* * *

O Largo ‘e Fusco

Vulesse turnà n’ata vota,
cumm’a cinquant’anne fa,
quann’ero guagliunciello
e senza penziere campavo
rint’a ddoje stanze
arreta ‘a nu’ viculiello.

‘O Largo ‘e Fusco era ‘a scola,
‘a palestra, ‘o campo sportivo
e ‘o posto ‘e tutt’e noste attività,
e llà passavamo ‘a jurnata intera
senza penzà ‘a nisciuno e ‘a sera, ‘o scuro
turnavamo ‘a casa nosta pe’ ce ne jre ‘a cuccà.

Tann’ero nu’ scugnizzo ‘e miezz’a via
ca’ curreva libero pe’ vvie d’a città;
me bastava sulo na’ fella ‘e pane
e nu’ bicchiero d’Acqua ra’ Maronna
pe’ campà felice e senza penziere
e ‘o riesto… rimandà tutto ‘a ddimane.

Mo’ ca’ songo viecchio e ca’ nun servo cchiù,
pe’ riconoscenza ‘a fatica ch’aggio fatto,
l’anno rato pure l’onorificenza ‘e cavaliere,
ma quanno me vuard’arreta, sentite a me,
me vene ‘a chiedere si è meglio mo’
ca’ songo titolato o forse… stevo meglio ajere!!!

Ricordi impolverati, liquoei anni '40 e '50. Immagine tratta dal web

Sessantadue anni di Festival di Sanremo

Sessantadue anni di Festival di Sanremo

di Catello Nastro

A fine gennaio del 1951 abitavo ancora a Castellammare di Stabia, mio paese natìo, in provincia di Napoli, in vicolo Mantiello, una strada popolare ma graziosa che confluiva “ammiezz‘o Llargo ‘e Fusco”, una piazza bellissima perché a quel tempo piena di fervore di attività artigianali, commerciali, tra cui molti ambulanti, ma innanzitutto piena di vita e di contatti umani. La televisione, naturalmente non esisteva ancora, ed il “Festival della Canzone Italiana” o “Festival di Sanremo”, si poteva ascoltare solo per radio. Una nostra vicina di casa, ricordo, aveva una grandissima radio provvista anche di grammofono nella parte superiore e mobile bar, costellato di specchietti, nella parte centrale. Dentro al mobile si trovavano una dozzina di bottiglie di liquore, senza liquore ma riempite di acqua colorata secondo il colore del liquore che avrebbe dovuto contenere. Solo per far vedere, insomma!!!

Ricordi impolverati, liquoei anni '40 e '50. Immagine tratta dal web

Ricordi impolverati, liquori anni ’40 e ’50. Immagine tratta dal web

La serata di primavera era piacevole e la buona donna per permettere anche agli altri abitanti della via di ascoltare il primo festival della canzone italiana di Sanremo, abitando al piano terra, in un basso, in napoletano “’O vascio”, come la famosa canzone lanciata dal compianto Mario Merola, faceva spostare la radio sul marciapiedi, un filo di antenna che andava fino al balcone del primo piano dove era attaccato alla ringhiera per una migliore ricezione e “scannetielli”, panche e “siggiulelle” per permettere agli amici in parte, invitati, proprio per l’evento radiofonico che, come si dice oggi, aveva una notevole “audience”. C’era chi divorava lo sfilatino con la frittata o i pomodori, chi stuzzicava lo stomaco con noci, nocelle, arachidi, chi un mezzo piatto di pasta e fagioli rimasto dal pranzo. Dovete sapere, a proposito, che quando le massaie cucinavano a pranzo la pasta e fagioli, abbondavano per proporla come menù unico anche per la sera o magari il giorno dopo. “’A pasta scarfata” non era altro che il bis del primo piatto riscaldato, avanzato dal giorno prima. Altro che partita di calcio… I commenti non finivano mai. Il tifo per questo o quel cantante, sia maschio che femmina, non terminava nemmeno a tarda sera e si protraeva anche per alcuni giorni. La prima edizione del Festival di Sanremo la vinse Nilla Pizzi, con la famosa canzone “Grazie dei fiori”. Il giorno dopo per tutta la giornata, dai bassi, dai balconi e dalle finestre al primo piano ed oltre, si sentiva la canzone che, anche in seguito ebbe enorme successo. Non è che si sentiva perché era stata registrata. A quei tempi un registratore a bobina costava quasi quanto un’auto. E la radio non si trovava in tutte le case. Il 21 ottobre di quello stesso anno mi trasferivo con la famiglia ad Agropoli. Ricordo che Nilla Pizzi vinse anche la seconda edizione, quella del 1952, con la canzone “Vola colomba”. Di questo evento non ricordo nulla. Sono passati sessanta anni: sia al Festival di Sanremo che per Catello Nastro. Nel 1968 mi trasferisco a Torino e nel 1973 vengo chiamato nella Giurìa di “Stampa Sera” nel salone del famoso quotidiano Piemontese. Questa volta seduto comodamente in poltroncina con piano scrittoio per gli appunti, cena, visita dello stabilimento e la prima copia de “La Stampa” appena sfornata dalle gigantesche rotative. Era già passata l’una di notte. L’articolo sulla “Stampa” appena edita recitava:” La giuria di “Stampa sera” ha votato Milva, la “pantera” di Goro cantante e diva cresciuta a Torino, al secondo posto Peppino di Capri ed al terzo Umberto Balsamo. La giuria Torinese era composta da venti persone (cinque impiegate, quattro impiegati, tre casalinghe, due studentesse, un agente di commercio, un operaio, un autista, un geometra, un ragioniere, un critico d’arte, cioè il sottoscritto). Erano appena cinque anni che stavo ad insegnare in Piemonte e la mia passione per l’arte mi occupava tutto il tempo libero. Avevo già pubblicato alcuni libri d’arte e sull’elenco telefonico risultava anche questa qualifica, peraltro da me richiesta. Milva, che ammiravo moltissimo, della quale avevo molti dischi, abitava allora a Leinì, confinante con San Francesco al Campo, proprio sotto la pista di decollo dell’aeroporto di Caselle dove ho sempre insegnato nei tre lustri di permanenza a Torino. Da allora, cioè dalla prima edizione del 1951, sono trascorsi più di sessanta anni. Dall’edizione del marzo 1973 circa quaranta anni. L’edizione del 2012, penso, la vedrò con un altro spirito. Le polemiche già iniziate, il gossip e la pomposità eccessiva, non la tollero volentieri. I testi e la musica delle canzoni passano in secondo piano. Sul palco le luci, le riprese, i colpi di scena, donne scollacciate, battute piccanti se non addirittura volgari, scenografie dinamiche e colpi di scena, fanno passare in secondo piano le canzoni. Ma una notizie lieta, che mi terrà inchiodato davanti alla TV, è il nobile gesto di Adriano Celentano, grande artista, che ha deciso di devolvere in beneficenza tutto il suo compenso. Bravo Adriano, dal centro storico di Agropoli, nel Cilento, in provincia di Salerno, ti arriverà un lungo applauso per il tuo gesto, nobile, bellissimo, degno della massima ammirazione, che lascia ancora sperare per il futuro.
Catello Nastro