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Faito brucia!!!

Faito brucia!!!

l’editoriale di Maurizio Cuomo

L’estate 2017 con il suo caldo torrido e la crescente siccità dovuta alla mancanza di pioggia, hanno inaridito all’ennesima potenza i terreni, riducendo quelli che appena un paio di mesi fa erano floridi cespugli ed arbusti, a sterili sterpaglie. Intere aree montane, come ben noto sono andate a fuoco, tra di esse, dapprima il versante Sud del Vesuvio, poi il versante gragnanese di monte Pendolo e a seguire il Faito in vari punti (versante Positano e zona Scurorillo fino ad arrivare al Belvedere).

Anche il Faito, il nostro “polmone verde” sta andando in fumo e con esso innumerevoli ettari di vegetazione… impossibile poi quantificare il numero di piccoli animali che nei roghi sono morti e che ancora moriranno.

Incuria ed abbandono e la totale assenza di pulizia preventiva del sottobosco, spiega il nostro naturalista Ferdinando Fontanella, sono la causa principale di possibili inneschi naturali. La natura di questi importanti incendi: dolosa, colposa o per cause naturali (rimandiamo alle cronache eventuali approfondimenti), in questi giorni, ha messo a nudo l’impreparazione e l’approssimazione della macchina  organizzativa, orfana alla base di un vero e proprio piano antincendio come la totale assenza di linee di taglio nelle zone boschive…

Sottintesi sono i ringraziamenti ai VV.FF., alla Protezione Civile e ai tantissimi Volontari che si sono realmente prodigati per spegnere le fiamme; ai tanti cialtroni, agli speculatori, ai mercenari e soprattutto ai diavoli incendiari eleviamo invece la peggiore delle maledizioni, nella speranza di vederli un giorno bruciare nei roghi da loro stessi appiccati per insulsi, beceri interessi!!!

Nella certezza che le immagini possano illustrare molto più di tante inutili parole e spiegare il mio e lo stato d’animo di chi come me ama la natura, a seguire poniamo il reportage fotografico di Enzo Cesarano, una galleria di immagini che tutti dovrebbero vedere! Continua a leggere

Monte Croce

Storie minime

Storie minime

Monte Croce

di Catello Graziuso de’ Marini

Cari amici concittadini di Castellammare di Stabia, è il vostro Catello che è tornato a scrivervi. Innanzitutto, mando un caloroso saluto al mio amico Gennaro, che ho rincontrato l’altro giorno sul lungomare e che mi ha detto essere uno dei più affezionati visitatori di questo pregevole sito.

Monte "Croce" (foto archivio liberoricercatore.it)

Monte “Croce” (foto archivio liberoricercatore.it)

Cari amici,

vorrei, in questi giorni così caldi, condividere alcuni pensieri de mazi con voi che, come me, non avete né i soldi né la volontà di abbandonare il suolo natìo per recarvi in località di vacanza.

Mi riferisco alla Croce di Monte Croce.
Come ben noto a tutti gli stabiesi di una certa età, la croce che attualmente è posta sulla sommità di detta montagna fu lì apposta nel lontano 1962, in sostituzione della prima — ormai rovinata — installata decenni prima.

In quei giorni, io avevo da poco iniziato la mia attività di insegnamento. Frequentando la parrocchia, mi ero tuttavia convinto che quella scelta non fosse la più appropriata. Ed infatti, vi racconto cosa accadde un giorno all’epoca.

Dunque, eravamo io, Mario ‘o Zelluso, Pascale ‘o Capellone e Tonino ‘o Magnastipendio — così soprannominato per la sua propensione a sfruttare indebitamente la sua attività di sindacalista per conseguire ingiusti vantaggi: retribuzioni ben oltre quanto gli spettasse, buoni pasto, buoni benzina, sigarette, regalie varie.
Egli era tuttavia, sia ben chiaro, un galantuomo, perché figlio della nostra Castellammare e, dunque, immune da ogni giudizio di riprovevolezza sociale.

La questione era molto semplice:
io e Mario non condividevamo la scelta di manifestare il sentimento religioso in forme visibili all’esterno, essendo invece fautori di una religiosità non ostentata, bensì concretamente praticata nelle sedi competenti, ivi compresi gli altarini sacri ca steveno dint’‘e palazzi della ‘Mbricciatella.

Iniziò dunque un’aspra polemica con il parroco — spalleggiato, credo, dalla Curia — sostenitore della scelta, poi risultata vincente, di sistemare quella croce sulla sommità del monte.

Pasquale ‘o Capellone la prese sul personale con Mario ‘o Zelluso, prendendolo in giro dicendo:

Marittié, che te pienze, ca ‘ngopp”a montagna nun c’adda sta’ niente, come ‘ngopp”a capa toia?

In realtà, come avete già capito, la questione era molto diversa e molto più profonda.
Anche Tonino sembrava, almeno all’apparenza, non avere ben chiari i termini della questione.
Egli invero diceva:

Mettimm’ sta croce, croce vuol dire operai, che vuol dire lavoro, che vuol dire sindacato, che vuol dire compagno, che tu fatichi e io magno!

Tradendo così la sua indole tutt’altro che democratica, che vedeva nella classe operaia un mero strumento nelle mani del sindacato.

A quel punto invitai Mario a fare una preghiera a San Catello nella cattedrale, per cercare di carpire il volere del Santo.
Quando però gli chiesi se fosse andato in chiesa, lui rispose:

Mannaggia, me so’ scurdato, c’aggio chiesto sulamente ‘e nummere r”o lotto!

Allora presi io in mano la situazione, adottando una saggia decisione: cambiai idea e, democristianamente (senza alcuna offesa per lo Scudo Crociato), salii sul carro dei vincitori.
Mi dichiarai favorevole all’apposizione della croce, facendo un memorabile discorso nella chiesa del Carmine, che suscitò applausi a scena aperta.

A quel punto Mario rimase da solo a sostenere la sua idea, e fu preso da tutti noi a cavece e buffettune una sera a Piazza Municipio.

Perché cambiai idea?
Non fui certo folle: mi resi conto che quel luogo, che sovrasta la nostra amata cittadina, dovesse avere un simbolo che la rendesse unica, a prescindere dal sentimento religioso cattolico, che doveva essere recessivo rispetto alla Stabiesità, faro delle nostre esistenze.

L’anno successivo, in una giornata caratterizzata da un caldo infernale, con i miei amici andammo a piedi a visitare la sommità del monte.
Fu in quell’occasione che Mario pronunciò la famosa frase:

Catié, che croce! Pe’ saglì ‘ngopp”a Monte Croce, e me fa vede’ ‘sta croce, stamattina m’è miso ‘nroce!


Saluti stabiani,
Catello Graziuso de’ Marini

Nota: la presente lettera è stata scritta con la collaborazione del nipote del sottoscritto e sotto la dettatura dello stesso.


Storie Minime ( episodi e brevi aneddoti di vita stabiese )

Ispirata dal carissimo amico Corrado di Martino, che nei suoi racconti concentra il potere di sintesi e la buona scrittura, questa rubrica accoglierà le storie e gli aneddoti di formato breve, di coloro che hanno qualcosa da raccontare. Va da sé, che non è necessario essere scrittori, per contribuire è sufficiente che gli scritti siano concisi e relativi al vissuto stabiese.

La rubrica è aperta a tutti, se avete un episodio da raccontare, contattateci quindi all’indirizzo: ricercatoredistabia@libero.it

Monte Pendolo

Escursionisti stabiesi

( Immagini itineranti )

Croce di Monte Pendolo (foto Maurizio Cuomo)

Croce di Monte Pendolo (foto Maurizio Cuomo)

Le immagini in galleria sono tutte coperte da diritto d’autore (© www.liberoricercatore.it), per un’eventuale utilizzo, di qualsiasi ambito sia, è richiesta la citazione della fonte (foto: Escursionisti stabiesi, tratte dal portale www.liberoricercatore.it), previo liberatoria da richiedere in ogni caso a ricercatoredistabia@libero.it.


Monte Pendolo

( Scheda tecnica del percorso )

Itinerario:
Borgo Privati (chiesa di S. Eustachio) – Via Pendolo (antico sentiero per la croce del M. Pendolo) – M. Pendolo – Pimonte – Tralia – Monte Coppola – antica via Pimonte (il sentiero che da Monte Coppola porta al borgo di Privati) – chiesa di S. Eustachio.

Durata:
5 ore (con ampie soste di rilevamento e ritorno).

Lunghezza:
6,5 km circa.

Difficoltà:
E (Escursionistica – media difficoltà).

Dislivello:
550 mt.

Tipo di percorso:
Questo percorso è caratterizzato da un piano di calpestio misto. Ecco a seguire la relativa specifica: il tratto iniziale (chiesa di S. Eustachio – via Pendolo) è di tipo urbano e come tale non presenta particolari difficoltà. Giunti al ponticello attiguo ad un vecchio casolare, ci dirigiamo verso destra imboccando un antico camminamento (originariamente questo camminamento era costituito da scaloni in pietra calcarea, ma con profondo rammarico, rileviamo essere allo stato attuale, quasi del tutto devastato da inopinate colate di cemento e brecciato). Si continua per un sentiero montano in sterrato, fino ad arrivare ad un antico rudere. Ancora poche decine di metri e risulta possibile proseguire in due direzioni, quella più pratica e breve punta a monte dritto verso la vetta, noi decidiamo invece di ripercorrere in via esplorativa il vecchio sentiero che si snoda lateralmente verso destra e che risulta essere meno agevole e notevolmente ostruito. Le tracce dell’antico sentiero, però, si perdono ben presto nella rigogliosa vegetazione per cui dopo il consulto di una carta dei sentieri, decidiamo di tagliare a monte sul terrapieno. Poche minuti e ci ritroviamo a percorrere un sentiero marcato fino ad arrivare alle zone abitate del Pendolo. Proseguiamo per la ripida, ma agevole strada rotabile, fino ad arrivare alla vetta e alla Croce del Pendolo. Al ritorno decidiamo di percorrere in direzione Tralia un’antica mulattiera consunta dal tempo (costituita da una scalinata di vecchi lastroni calcarei). Proseguiamo poi, per la vecchia via Pimonte a Monte Coppola e ci dirigiamo a valle su di un sentiero sterrato, che si snoda verso l’antico Terziere di Privati.

Punti d’acqua:
Fontane pubbliche al borgo di Privati e nel comune di Pimonte – non mancano lungo il percorso fontane private il cui uso viene gentilmente concesso dagli abitanti del posto agli escursionisti.

Segnaletica:
Il sentiero è privo di segnaletica escursionistica, i tratti che attraversano le vie comunali sono indicati con targhe toponomastiche.

Tipo di vegetazione:
Durante il tragitto d’andata si incontrano prevalentemente coltivi ad ulivo e vite, nei punti non interessati dai coltivi resistono lembi di macchia mediterranea con le tipiche essenze di Leccio, Erica arborea, Cisto, Ginestra. Il ritorno, nel tratto Pimonte – Monte Coppola, è caratterizzato prevalentemente da cedui a bosco misto e cedui a Castagno. Nell’ultimo tratto da Monte Coppola ai primi abitati del borgo Privati si incontrano coltivi ad Ulivo e ampie zone di macchia mediterranea.

Punti d’interesse:
Antichi edifici del borgo Privati con caratteristiche e belle edicole votive – Chiesa di S. Eustachio – coltivi a vite e ad ulivo – antichi ruderi di belle cascine, costruiti a secco con blocchi di rocce calcaree – pavimentazione, in lastroni di roccia calcarea, dei sentieri – imponenti depositi fossiliferi di “Calcare a Rudiste” – croce del Pendolo – Splendido il panorama dal belvedere di Monte Pendolo che domina il golfo di Napoli e la piana campana, altrettanto interessante è il panorama sul crinale del Monte Faito e sui tre pizzi di Monte S. Angelo. Spettacolari sono anche i numerosi ruscelli e salti d’acqua, in piena nel periodo primaverile, che accompagnano gran parte dell’itinerario.

Osservazioni:
I tratti meglio conservati del percorso proiettano il viaggiatore in un epoca ormai lontana quando l’antica mulattiera era percorsa da contadini, pastori e boscaioli che abitavano le antiche e caratteristiche cascine disseminate lungo il sentiero. Un viaggio nel tempo che sembra diventare reale quando si ha la fortuna di incontrare qualche vecchio abitante del posto che come un libro di storia vivente è capace di regalarti un aneddoto di un’epoca ormai scomparsa. Straordinari sono anche gli spunti naturalistici che l’itinerario offre. Numerose orchidee crescono ai margini dei coltivi e nella macchia mediterranea, bellissimi sono i depositi di “Calcare a Rudiste”, particolarmente emozionante è il poter osservare uno straordinario alveare selvatico, la Talpa e l’infaticabile Scarabeo stercorario. Queste potenziali attrattive, suscitano forti emozioni. L’escursionista che intraprende questo percorso, si estranea dal banale materialismo dei chilometri da percorrere per immergersi in un viaggio fantastico.

Galleria Fotografica

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