Archivi tag: racconto di gioventù

L’Isis degli anni Cinquanta

L’Isis degli anni Cinquanta: la minaccia dalla penisola sorrentina

(con il massimo rispetto per gli amici costieri: mio zio era di Meta)

di Catello Graziuso de’ Marini

Cari amici del sito, le nefaste cronache degli ultimi giorni afferenti gli attentati terroristici che minacciano la società occidentale mi hanno portato alla mente, con le dovute proporzioni, quanto accadde nei primi anni cinquanta, allorquando noi stabiesi fummo costretti a misurarci con una minaccia esterna certo meno sanguinaria, ma altrettanto organizzata e pervicacemente volta alla distruzione delle nostre radici, delle nostre tradizioni, della nostra storia, dei nostri biscotti: i sorrentini.

Via Cantiere (coll. Carlo Felice Vingiani)

Via Cantiere (coll. Carlo Felice Vingiani)

Non vi è certo in questo mio scritto alcun intento denigratorio, anzi, devo dire che i frequenti litigi che caratterizzavano allora i rapporti con i cugini costieri erano spesso originati dall’essere noi stabiesi un po’ attaccabrighe. In ogni caso, ero proprio io – facendo leva sulle origini della famiglia di mio zio, appunto di Meta – a fare da paciere e riportare tutto alla calma.

Mi riferisco a un periodo in cui tutto nasceva dopo una scazzottata nei locali di divertimento di Sorrento, con gli abitanti del posto che finivano, a volte, per cercare la vendetta ai nostri danni.

Vi racconto al riguardo un episodio che oggi, a distanza di anni, suscita in me un sorriso stanco ed accondiscendente, una certa nostalgia, un po’ di allegria, un accenno di commozione, il tutto condito da un’acerba consapevolezza: quant’ eram’ sciem! Continua a leggere

Monte Croce

Storie minime

Storie minime

Monte Croce

di Catello Graziuso de’ Marini

Cari amici concittadini di Castellammare di Stabia, è il vostro Catello che è tornato a scrivervi. Innanzitutto, mando un caloroso saluto al mio amico Gennaro, che ho rincontrato l’altro giorno sul lungomare e che mi ha detto essere uno dei più affezionati visitatori di questo pregevole sito.

Monte "Croce" (foto archivio liberoricercatore.it)

Monte “Croce” (foto archivio liberoricercatore.it)

Cari amici,

vorrei, in questi giorni così caldi, condividere alcuni pensieri de mazi con voi che, come me, non avete né i soldi né la volontà di abbandonare il suolo natìo per recarvi in località di vacanza.

Mi riferisco alla Croce di Monte Croce.
Come ben noto a tutti gli stabiesi di una certa età, la croce che attualmente è posta sulla sommità di detta montagna fu lì apposta nel lontano 1962, in sostituzione della prima — ormai rovinata — installata decenni prima.

In quei giorni, io avevo da poco iniziato la mia attività di insegnamento. Frequentando la parrocchia, mi ero tuttavia convinto che quella scelta non fosse la più appropriata. Ed infatti, vi racconto cosa accadde un giorno all’epoca.

Dunque, eravamo io, Mario ‘o Zelluso, Pascale ‘o Capellone e Tonino ‘o Magnastipendio — così soprannominato per la sua propensione a sfruttare indebitamente la sua attività di sindacalista per conseguire ingiusti vantaggi: retribuzioni ben oltre quanto gli spettasse, buoni pasto, buoni benzina, sigarette, regalie varie.
Egli era tuttavia, sia ben chiaro, un galantuomo, perché figlio della nostra Castellammare e, dunque, immune da ogni giudizio di riprovevolezza sociale.

La questione era molto semplice:
io e Mario non condividevamo la scelta di manifestare il sentimento religioso in forme visibili all’esterno, essendo invece fautori di una religiosità non ostentata, bensì concretamente praticata nelle sedi competenti, ivi compresi gli altarini sacri ca steveno dint’‘e palazzi della ‘Mbricciatella.

Iniziò dunque un’aspra polemica con il parroco — spalleggiato, credo, dalla Curia — sostenitore della scelta, poi risultata vincente, di sistemare quella croce sulla sommità del monte.

Pasquale ‘o Capellone la prese sul personale con Mario ‘o Zelluso, prendendolo in giro dicendo:

Marittié, che te pienze, ca ‘ngopp”a montagna nun c’adda sta’ niente, come ‘ngopp”a capa toia?

In realtà, come avete già capito, la questione era molto diversa e molto più profonda.
Anche Tonino sembrava, almeno all’apparenza, non avere ben chiari i termini della questione.
Egli invero diceva:

Mettimm’ sta croce, croce vuol dire operai, che vuol dire lavoro, che vuol dire sindacato, che vuol dire compagno, che tu fatichi e io magno!

Tradendo così la sua indole tutt’altro che democratica, che vedeva nella classe operaia un mero strumento nelle mani del sindacato.

A quel punto invitai Mario a fare una preghiera a San Catello nella cattedrale, per cercare di carpire il volere del Santo.
Quando però gli chiesi se fosse andato in chiesa, lui rispose:

Mannaggia, me so’ scurdato, c’aggio chiesto sulamente ‘e nummere r”o lotto!

Allora presi io in mano la situazione, adottando una saggia decisione: cambiai idea e, democristianamente (senza alcuna offesa per lo Scudo Crociato), salii sul carro dei vincitori.
Mi dichiarai favorevole all’apposizione della croce, facendo un memorabile discorso nella chiesa del Carmine, che suscitò applausi a scena aperta.

A quel punto Mario rimase da solo a sostenere la sua idea, e fu preso da tutti noi a cavece e buffettune una sera a Piazza Municipio.

Perché cambiai idea?
Non fui certo folle: mi resi conto che quel luogo, che sovrasta la nostra amata cittadina, dovesse avere un simbolo che la rendesse unica, a prescindere dal sentimento religioso cattolico, che doveva essere recessivo rispetto alla Stabiesità, faro delle nostre esistenze.

L’anno successivo, in una giornata caratterizzata da un caldo infernale, con i miei amici andammo a piedi a visitare la sommità del monte.
Fu in quell’occasione che Mario pronunciò la famosa frase:

Catié, che croce! Pe’ saglì ‘ngopp”a Monte Croce, e me fa vede’ ‘sta croce, stamattina m’è miso ‘nroce!


Saluti stabiani,
Catello Graziuso de’ Marini

Nota: la presente lettera è stata scritta con la collaborazione del nipote del sottoscritto e sotto la dettatura dello stesso.


Storie Minime ( episodi e brevi aneddoti di vita stabiese )

Ispirata dal carissimo amico Corrado di Martino, che nei suoi racconti concentra il potere di sintesi e la buona scrittura, questa rubrica accoglierà le storie e gli aneddoti di formato breve, di coloro che hanno qualcosa da raccontare. Va da sé, che non è necessario essere scrittori, per contribuire è sufficiente che gli scritti siano concisi e relativi al vissuto stabiese.

La rubrica è aperta a tutti, se avete un episodio da raccontare, contattateci quindi all’indirizzo: ricercatoredistabia@libero.it

‘O Rillorgio

Storie minime

Storie minime

‘O Rillorgio

di Catello Graziuso de’ Marini

Cari amici concittadini stabiesi, vorrei iniziare queste mie riflessioni di primavera da una cosa che ho letto su questo vostro pregevole sito: nella sezione denominata la tombola stabiese, ho piacevolmente e condivisibilmente letto che il numero uno è dedicato alla nostra Castellammare, numero uno al mondo. Mai parole più giuste e Sante sono mai state pronunciate. Sarebbe proprio il caso di dire, mutuando dalla sezione “modi di dire stabiesi” del vostro sito, agli abitanti delle città limitrofe “ammisurateve ‘a palla”.

Piazzetta dell’Orologio

Qual è invero una delle città vicine alla nostra Stabia che possa dirsi anche lontanamente paragonabile a Castellammare per eloquenza, bellezza intrinseca, bellezze naturali, bellezze storico artistiche, deplorenza senile, salubrità dell’aria? A tale proposito mi sono ricordato di una diatriba che vi fu a Piazza Municipio nei primi anni ’50 tra me (accompagnato da alcuni miei inseparabili amici), e un abitante di Boscotrecase.
Dunque, eravamo io, Gennaro Esposito, Antonio “Fatturacanunquaglia” (così soprannominato per la sua propensione all’evasione fiscale) e “Ciruzzo ‘o Spartirecchie”. Continua a leggere

Racconto di gioventù

Storie minime

Storie minime

Racconto di gioventù

di Catello Graziuso de’ Marini

Cari amici stabiesi! Il caldo agostano non mi priva del piacere di scrivere a voi gestori del sito, megafono di una Stabia silente ma presente, onesta e lavoratrice comm ‘o surore che hann ittat’ ‘e pariente nuoste int’ ‘e cantieri navali!
I miei figli e nipoti mi hanno lasciato solo int”a sta città, ma l’addore r”o mare abbasce ‘a banchina ‘e zi’ Catiello, ‘o cafè ‘e Di Nocera e l’allucche re’ criature r”a ‘mbricciatella me fa venì ‘na voglia ‘e campà ca pare ca nun tengo uttantasette anne!

Da Piazza Orologio (coll. Giuseppe Zingone)

Da Piazza Orologio (coll. Giuseppe Zingone)

Vi racconto l’ulteriore episodio della mia gioventù, sperando di non tediarvi, di non infastidirvi, insomma… e nun v’accirere a salute comm”a ‘nu viecchio ‘nzallanuto!
Dunque. Eravamo io, Peppe Guarracino, Michele “scannapalomm” e Pascale “anema r”o priatorio”. Continua a leggere