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Modi di dire stabiesi

a cura di Maurizio Cuomo

I caratteristici modi di dire (in uso a Castellammare di Stabia), che in questa pagina riportiamo, sono stati raccolti da Maurizio Cuomo nel corso degli anni, in occasione di piacevoli chiacchierate con anziani stabiesi (patrimonio inestimabile, troppo spesso sottovalutato).

Modi di dire stabiesi

Modi di dire stabiesi

ultimi modi di dire inseriti:

s’è ‘nfucata ‘a cardognola
la “cardognola” in italiano tarassaco (anche detto soffione o dente di leone), per intenderci è quel particolare fiore spontaneo (giallo nella sua infiorescenza) che spesso ritroviamo nei prati. Amato dai bambini per la sua bianca, piumata infruttescenza, non di rado la “cardognola” giunta all’apice della sua maturazione, viene raccolta e soffiata per disperdere una candida nuvola di semi piumati. La piena maturazione coincide con il periodo estivo più caldo, da ciò il detto popolare “s’è ‘nfucata ‘a cardognola!”.

archivio dei modi di dire:

a bbelle e bbuone
improvvisamente, senza alcun preavviso

acchiappa a Peppe!
esortazione ad afferrare qualcuno o qualcosa sfuggente; la denominazione Peppe (l’oggetto sfuggente) rende la frase ridondante e sfiziosa allo stesso tempo

a chi figlie, e a chi figliastre
la frase è rivolta a chi, nonostante dichiari di essere equo e giusto, all’atto pratico manifesta una evidente disparità nel trattare le persone

a chi nun tene figlie nun chiammà’ aiuto e manco cunsiglie
questo detto proverbiale esorta a non chiedere aiuto (e consigli) a persone che non hanno figli. La considerazione molto probabilmente nasce dal fatto che l’esperienza e la sensibilità maturata da chi ha prole è da ritenersi patrimonio di saggezza

accummience a zucà’ d’‘o dito piccerillo
espressione adoperata nei confronti di chi pretende troppo da chi non ha niente o quasi da dargli.

accuncià’ p’ ‘e feste
ridurre una persona in malo modo fisicamente e moralmente in modo che non abbia più pretese. Lo debbo distruggere

a craia, a craia
l’ing. Fabbrocino segnala un modo di dire curioso che sua mamma pronunciava quando qualcuno di sua conoscenza rimandava il da farsi di giorno in giorno e quindi di rimandare sempre al domani. Secondo Fabbrocino questo detto potrebbe spiegarsi con il fatto che in latino la parola “cras” significa appunto domani

addò vède e addò ceca
la frase evidenzia l’estrema disparità di valutazione, allorquando chi valuta non esamina con lo stesso metro di misura i casi posti alla sua attenzione

‘a fine ‘e “aglio e cepolle”
ridursi per inettitudine al minimo indispensabile (vedi il fruttivendolo che a tarda sera, esaurita la scorta giornaliera di frutta fresca, rimane con le ceste piene di questi ortaggi)

‘a furresa è corta, e ‘o strummulo fa ‘e tattélle!
veniva detto quando ‘a furresa (cordicella) era insufficiente per dare la carica allo strummulo (una particolare trottola in legno, simile ad una pera capovolta, munita alla sommità di una punta di metallo), che per tal motivo era destinato a fare le tattèlle (caratteristico picchiettare al suolo causato dalla scarsa rotazione o in alcuni casi dal puntale metallico non perfettamente in asse)

‘a galletta ‘e Castiellammare
termine usato per definire una persona avara. Si dice che è andata (la galletta) “trentaseje anne pe’ mmare e nun s’è spuniata ancora” (trentasei anni per mare e non si è ancora ammorbidita), come avveniva, a bordo dei velieri, con le gallette, biscotti secchi a lunga conservazione, prodotti a Castellammare di Stabia, che venivano ammorbiditi mediante una lunga permanenza nell’acqua di mare poiché l’impasto era insipido

aiutate ca’ Dio t’aiuta
la frase esorta (chi si rilassa troppo) a darsi una regolata e ad attivarsi di conseguenza

all’anema ‘e mammeta!
imprecazione dialettale rivolta a contro qualcuno

alla samprasò’
letteralmente storpiato nel dialettale, questo termine di chiara derivazione francese, (termine esatto scritto: sans façon, letto: san fason), significa: alla buona, arrangiare

a mmanese
avere a portata di mano, disporre nell’immediatezza di qualcosa

ammarca ‘a ppeste!
chi è sfortunato ed attira continuamente la cattiva sorte

ammesurate ‘a palla!
esortare qualcuno a pensare prima di agire e a darsi una regolata di conseguenza (il termine ha forse origine dal gioco delle “palle di legno chiodate” ancora in uso tra gli anziani abitanti di campagna)

‘a mmesca Francesca
questa frase generalmente identifica un misto di cose messe insieme senza ordine o senso logico. Concentrato disordinato di oggetti di vario genere

‘a morte a te, e ‘a salute a chi te magna!
curiosa frase scaramantica (segnalata da Antonio Cimmino), pronunciata nel momento in cui viene uccisa una gallina.

Una nota variazione (suggeritami da mio padre Domenico), che chiaramente non modifica il senso della frase è la seguente: ” ‘A morte a te, e ‘a salute a me! “

‘a nave cammina e ‘a fava se coce
questo detto, molto noto e ancora di uso comune tra gli operai del cantiere navale di Castellammare, molto probabilmente trova origine e spiegazione nel fatto che durante le lunghe prove di navigazione, gli operai trovino conforto nel pensare che al ritorno abbiano guadagnato il necessario per il sostentamento della famiglia.

L’ing. Domenico Furci alla nostra, aggiunge anche una sua personale teoria (altrettanto plausibile): “Mi permetto di suggerire una spiegazione meno romantica, più tecnica e più attinente al tema della navigazione (‘a nave = ‘o papore o meglio ‘o vapore) è un naviglio con motore a vapore e non un veliero durante la navigazione era (ed è) necessario produrre vapore contestualmente era possibile cucinare legumi (che, come è noto, necessitano di tempi lunghi) utilizzando il vapore prodotto prioritariamente per il motore. In conclusione: mentre si produce vapore per la “macchina” (per il motore della nave), si cucineranno le fave”.

a ‘mperettà’ ‘o vino
letteralmente imperettare il vino, mettere nei fiaschi

‘a noce d”o cuollo
indica il punto del collo situato all’altezza della nuca

annuzzà’ ‘ncanna
malessere causato dal boccone malamente ingerito

‘a palla a ‘o fuosso
la palla al fosso (questa è la traduzione letterale dal dialettale) era il gioco con il quale i contadini delle campagne stabiesi solevano intrattenere le poche ore di svago solitamente serali o domenicali (scampate alla dura giornata lavorativa); in questo giuoco, molto simile a quello delle bocce, veniva utilizzata una particolare sfera di legno (una palla provvista di una “spalla” forte data da chiodatura di ferro praticata su di un emisfero), con la quale il giocatore doveva centrare (ad una distanza di circa 15-20 metri) una lieve buca contenente le monete (che costituivano la posta in palio): il primo che centrava e lasciava la sua palla nella buca (‘o fuosso) vinceva.

Con questa caratteristica frase, però, viene anche indicata una modalità estremamente dilettantistica (diciamo “parrocchiale”) del giocare il calcio, che palesa la precarietà del campo di gioco (una superficie molto sconnessa sulla quale disputare una improbabile partita di pallone)

‘a panza nun cunosce crianza
la pancia non conosce la buona educazione

appiccià’ ‘o ffuoco
frase tipica usata per definire l’azione di mettere zizzania e di infiammare figurativamente una possibile polemica

appilà’ ‘a vòcca
letteralmente tappare la bocca, mettere a tacere; mettere una persona in condizioni di non parlare, ricattandola o sbugiardandola

appizzà’ ‘e rrecchie
letteralmente raddrizzare le orecchie per ascoltare, talvolta per origliare. Per similitudine a ciò al caratteristico comportamento del cane che drizza le orecchie, quando punta la sua preda

appizzà’ ll’uocchie
acuire la vista; guardare con attenzione in modo particolare per non farsi sfuggire quel qual cosa che interessa; prestare particolare attenzione

‘a preta viva
la pietra dura e pesante utilizzata come fondo della rete ferroviaria

‘a purga ‘a sente chi ‘a tene ‘ncuorpo!
sta a significare che chi vuol giudicare dall’esterno un fatto o una situazione particolare, di fatto non può avere gli elementi di giudizio di chi è protagonista della situazione stessa

‘a purpetta cu’ ‘a sarza
la polpetta di (pane, carne tritata, uova, sale, formaggio e pinoli ) cotta nel sugo del ragù

‘a quagliamme ‘sta staffa!?
esternazione volta a sollecitare una sbrigativa risoluzione del problema

a quatte ‘e bastone
sdraiarsi comodamente a gambe e braccia aperte, in senso figurato come la carta del quattro di bastoni

a rrassu sia
formula deprecativa significante: lontano sia, non sia mai, che Iddio discosti da noi

arrecettamme ‘e fierre
letteralmente: raccogliamo i ferri (attrezzature). Rassettare, riordinare. Detto di cibi: arrecettammo ‘a tavola (sparecchiare) o anche di persona: s’è arrecettato (morto in malo modo)

‘a sciorta d”o pover’ommo
letteralmente: la sorte del pover’uomo.

ascire fora d”o semmenato
figurativamente uscire fuori del seminato, ovvero oltrepassare le linee guida del comportarsi bene, esagerare con le parole

‘a scusa d”o malo pavatore
la frase è attribuita a chi è troppo legato al denaro che ha per vizio l’insolvenza, che pur di non pagare o di risparmiare, è sempre pronto a trovare delle scuse

‘a sera so’ vascielle, ‘a matina manco vuzzarielle
si dice di coloro che si vantano di saper fare tante cose, ma messi alla prova non sanno fare nulla

‘a sfera a ‘o sole
fastidiosa irritazione della pelle causata da incauta e prolungata esposizione ai raggi solari, eritema solare

‘a spartata
mettere in disparte, disporre separatamente da altre cose

assummare a galla
emergere, venir fuori in superficie, galleggiare sulla superficie dell’acqua dopo esserne venuto fuori

asteco ‘e mazzate
scalognato, abituato ad incassare i duri colpi della vita; termine derivante dall’uso ormai non più comune di applicare mediante una serie di colpetti ben assestati, il materiale impermeabile sull’attico

astrigne ‘o broro!
invito a farla breve, esortare ad essere conciso; per metafora come l’addensarsi del brodo al momento della cottura

attappa, ch’è chino!
la nonna dello stabiese Antonio Fabbrocino, soleva pronunciare questa frase, ogni qualvolta intendeva interrompere definitivamente una questione o una discussione, in particolar modo quando si facevano dei pettegolezzi

augurie senza canesti, so’ cumm”a calamai senza ‘nchiosta
letteralmente: gli auguri senza cesti (doni) sono vuoti come calamai senza inchiostro

aumma, aumma
termine con il quale si indica una azione svolta con discrezione e all’insaputa di terzi

‘a vampata ‘e calore
brusco innalzamento della temperatura corporea, accompagnato da lieve sudorazione, causato da una improvvisa reazione emotiva

avascia ‘e scelle!
frase tipica con la quale si esorta qualcuno a ridimensionare il modo di fare (altrimenti esagerato). Abbassare la cresta

‘a vecchia ‘ncielo!
“la vecchia in cielo”. Così si grida al bambino che, per un colpo di tosse o un po’ di saliva inghiottita, rischi di rimanere soffocato. Va da sé che in cielo non è apparsa nessuna vecchia, ma è questo il modo più semplice per ottenere che il fanciullo alzi il capo, favorendo la ripresa di una normale respirazione.

avesse murì acciso!
affermazione per dare credito a quello che si afferma

‘a vocca è nu bellu strumiento!
vuol dire che a parole si fanno tante cose, ma alla resa dei conti realizzarle è difficile come suonare bene uno strumento musicale

‘a vvolo ‘a vvolo
sbrigativo, eseguire un qualche cosa in modo rapido, velocemente

azzuppà’ ‘o ppane
intingere nel piatto altrui, trovare tornaconto a spese degli altri

Basta! A ogni modo…
frase con la quale talune volte viene interrotto un inciso del racconto per riprendere la trama principale

bonanotte a ‘e sunature
la frase è detta per suggellare l’atto ultimo e definitivo da compiere, quasi come per dare congedo (augurando la “buonanotte”) a dei suonatori notturni che hanno speso le ultime energie per intonare una serenata a chiusura di una giornata

butteglia ‘e gnosta
la bottiglia di vino rosso paesano (rosso di taverna poco raffinato “che va alla testa”)

caffè e Atto di dolore, ogne quarte d’ore
così giustificava le richieste di caffè la suocera del sig. Bruno Zingone

cantà’ a ffronn’‘e limone
cantare a foglie di limone. La locuzione esprime l’invito adoperato per convincere una persona che una sua aspirazione è destinata a lunga attesa, prima di poter essere soddisfatta. Del resto, quello a “ffronn’‘e limone”, detto così dal verso che ne introduce il ritornello, è un canto improvvisato, nel quale i due esecutori si rilanciano la strofa, potenzialmente, all’infinito; a quell’infinito cui viene, sostanzialmente, rinviata l’attesa di cui si è detto

capa ‘e pezza
sarcasmo dialettale che identifica la suora

casa e putèca
lavorare in prossimità della propria abitazione, terminologia derivante dalla palese povertà di un tempo, in quanto per vivere spesso era necessario adattare a bottega di lavoro la propria abitazione

ca, si, no?!
nulla a che vedere con sale di gioco e di scommesse (casinò), ma molto più semplicemente un modo caratteristico per dire: altrimenti?!

cavero e cuotto
dare il “ben servito”, lasciando l’anteposto a bocca aperta. “Cucinare” qualcuno a puntino, senza tralasciare il benché minimo particolare

cavurara e cavurara nun se tegneno
la “cavurara” è una grossa pentola nella quale è possibile portare ad ebollizione una notevole quantità di liquido. Questo accessorio da cucina un tempo utilizzato su fiamma viva alimentata a legna, era il più delle volte soggetto a tinteggiarsi di nerofumo ai suoi lati (chiaramente il nero delle pareti esterne del pentolone stingeva facilmente sporcando al contatto di mani ed indumenti). Il vecchio detto proverbiale sostanzialmente fa notare che il nerofumo di una “cavurara”, non causa danni ad un’altra “cavurara” già sporca di nerofumo (una sorta di “male, scaccia male”).

ccà ‘e pezze e ccà ‘o sapone
qui i cenci e qui il sapone. Questa espressione, molto in voga all’epoca dei famosi saponari, i quali non ammettevano dilazioni, non davano se non ricevevano, oggi la si usa per significare: prima i soldi e poi la merce.

cchiù nera d”a mezanotte nun po’ venì’
buio pesto, nero assoluto. Per metafora: situazione estremamente critica

chello ca d”a vocca cade ‘nzino nun è maie perzo
letteralmente: “quello che dalla bocca cade in grembo (in seno), non è mai perso”. Frase figurativa carica di significato, che fa chiaro riferimento a ciò che si tramanda dai genitori ai figli.

chello ca nun vo’ ll’uorto, chello ce nasce
vecchio detto pronunciato quando le cose non vanno per il verso giusto

che se dice? ‘E sarde se magnano alice!
un botta e risposta caratteristico e curioso che a prima vista non ha un chiaro significato, ma che cela la riservatezza estrema di chi risponde, il quale non ha nessun interesse a dare una risposta più sensata, un po’ come quando si chiede a un cercatore di funghi o a un pescatore come procede la giornata di ricerca o di pesca, e si riceve una risposta apparentemente chiara, ma estremamente vaga e scontata per non mettere in pericolo, le astuzie e le esperienze messe in opera.

che te crerive, ca ch’era? Tre cafettere? No! Tre cantere ‘e tre manere!
frase (suggerita da Francesco Ricci) ricca di rime scherzose e allitterazioni, che pressappoco significa: “Cosa credevi che fossero? Tre cose buone? No! Tre cose cattive di tre maniere!”

che t’ha si’ miso ‘ncapa?!
il classico rimprovero rivolto al malintenzionato

chianu chiano
pian piano, procedere con calma ed estrema prudenza, adagio. “Va’ chiano!”: si dice a qualcuno per moderarne i giudizi o le parole

chi campa jennaro e frevaro, campa ‘n’at’anno
chi supera gennaio e febbraio, vivrà un altro anno. Gennaio e febbraio sono i due mesi più freddi dall’anno, perché la Terra ha avuto il tempo di raffreddarsi, dopo l’afelio (il punto dell’orbita di un pianeta in cui questo viene a trovarsi alla massima distanza dal sole); chi riesce a superarli (in particolare le persone di una certa età), senza ammalarsi, si è assicurato un altro anno di vita

chillo appartene a ‘o buttone!
detto di chi figurativamente appartiene ad un sodalizio ad un gruppo importante in genere ed in taluni casi anche inteso come appartenente a famiglia di malaffare.

chi nun dà retta ‘a mamma e ‘a ‘o pate, va spierto e nun ‘o sape
“chi non dà retta alla mamma e al padre va alla cieca e non lo sa”. I consigli materni e paterni sono sempre giusti e non sono mai troppi, il figlio che non li segue, spesso non si rende conto del valore e di quanto siano importanti

chiove a zeffunne
piove a dirotto

chi rompe pava e chi scassa acconcia
chi rompe paga e chi danneggia ripara. Il principio della responsabilità per danni è affermato da questo proverbio, che sembrerebbe ripetitivo, rispetto all’italiano “chi rompe paga e i cocci sono suoi”, ma che, viceversa, opera una corretta distinzione tra il danno irreparabile e quello riparabile. “Scassà” dal latino “exquassare” danneggiare scuotendo

chi s’è visto, s’è visto!
la frase chiude e definisce in modo univoco un patto, un po’ come per dire: “Chi vivrà, vedrà!”

chisti sorde so’ cumma ll’èvera ‘e Cazzella: “Tu dici crisce! E chella aggrogna”
questa moneta (ci si riferisce all’euro), sono come l’erba “Garzella”: “Tu speri che aumentino, ed invece rinsecchiscono”

chisto te ‘mbroglia!
quando i ragazzi di Scanzano solevano giocare sulla cosiddetta “autostrada” (via panoramica) vedendo passare una coppia di innamorati eravamo soliti rivolgersi alla ragazza con l’espressione a fianco riportata a mo’ di avvertimento, anteponendo: “Statte attienta! Chisto…”

chi tene lengua va ‘Nzardegna
chi ha lingua va in Sardegna. Informandosi opportunamente, si conseguono gli scopi prefissi. Il riferimento alla Sardegna ha riguardo al carattere ostico dei dialetti di quell’isola

cicchignacco dint’‘a butteglia
oggetto contenuto dentro una bottiglina piena d’acqua, al quale era impresso a piacimento un movimento; persona senza alcuna personalità che per tale caratteristica è facilmente manovrata

ciuotto ciuotto
detto di chi ha giovato in modo vistosamente salutare di una rara opportunità

“Comme è bella ‘a pulizia”, dicette chillo ca se giraje ‘a mutanda ’o cuntrario!
frase poco conosciuta: volgare ed ironica allo stesso tempo

costa ‘nu banco ‘e sorde
terminologia indicante una eccessiva somma di denaro da spendere, che per similitudine viene accostata e paragonata (per importanza) al totale degli averi custoditi in un istituto di credito

crisce santo!…
Cresci santo!… E’ l’augurio che si rivolge a chi, soprattutto se si tratta di un bambino, starnutisce; corrisponde all’italiano: “Salute!”.

Alcune volte si aggiunge “… e viecchio! oppure “… ca diavulo già ‘nce si’!”

crisce santo, crisce ‘o bbene, crisce ‘a guallera a chi ‘a tene…
quando un bambino si liberava dell’aria che aveva ingurgitato durante la succhiata o faceva (‘na liana) sbadiglio, la mamma o la nonna erano solite proferire l’espressione con un che di rituale.

D: Cumme te chiamme?
R: Spierdenomme!!!
quando ero ragazzo questo botta e risposta lo avrò sentito almeno cento volte, a quei tempi, infatti, fra i ragazzi, andava di moda questa risposta assurda e insignificante, la cui utilità era solo quella di celare il proprio nome per far dispetto al proprio interlocutore

cuòfeno saglie e cuòfeno scenne
cesto sale e cesto scende. Lo fa chi rimane impassibile di fronte a situazioni che, pure, dovrebbero renderlo inquieto. Infatti il cuòfeno, dal greco kòphinos cesto, canestro, è il recipiente che i muratori adoperano per i trasporto dei materiali di risulta delle demolizioni, calandolo dai piani superiori alla strada, mediante corda e carrucola, e va da sé che un’operazione d’impegno intellettuale così modesto non determina, affatto, turbamento per chi la compie. Dallo stesso etimo (kòphinos) deriva anche cufenaturo tinozza per il bucato

cuongio cuongio
senza alcuna fretta, procedere a passo riposato

d”a casa soja esceno ‘e jatte cu ‘e lacreme all’uocchie!
questo detto popolare in voga già dagli inizi del ‘900, ci viene ricordato dall’86enne Gigi Nocera che così scrive: “Mio padre soleva pronunciare questa frase, per evidenziare la grande avarizia di una persona”. Per intuito aggiungiamo che le lacrime dei gatti, in questo caso, erano dovute al mancato pasto sortito nella casa dell’avaro.

dalla ‘a jatta
frase rivolta a persona piena di sé (per modi e comportamento)

dicette ‘o Pimuntese: ” ‘Na vota me fottisti… ma mo’ nun me futte cchiù! “
questa nota frase che (a Castellammare) fa un po’ il verso alla pronuncia dialettale dei pimontesi, palesa la condizione di chi sa il fatto suo, e fa capire apertamente che non vuole essere ingannato una seconda volta

dint’‘a casa d’‘e pezziente nun mancano maje tozzole
nella casa degli umili non manca mai ospitalità

dint’‘a ‘nguinaglia
nell’inguine, zona interna alla parte alta della coscia

doppo vippeto: ” ‘A saluta vosta! “
dopo aver bevuto: “Alla vostra salute!”. Lo si dice dei noncuranti, dei superficiali, rappresentandoli in una sorta di sovvertimento del rito del bere in compagnia

duorme c’‘a zizza mmocca
caratteristico modo di dire, rivolto a persona particolarmente ingenua e poco scaltra, che per similitudine ci riporta all’atteggiamento e all’innocenza di un lattante

durmì’ a suonno chino
dormire profondamente

e che tengo ‘o palazzo ‘e Spagnuolo?!
è stato un modo di dire in auge per diversi anni per dissuadere chi chiedeva un aiuto economico pensando che l’amico o il parente era in grado di darglielo

‘E cunte ‘a lluongo addeventano serpe
vuol dire che se i debiti non si saldano in fretta, il creditore li vede poi scappare come i serpenti e non li vede più

è fernuta ‘a zezzinella!
è finito il guadagno facile.

‘e figlie ‘e ll’ate nun me so frate
sta a significare che la parabola “Ama il prossimo tuo come te stesso”, è cosa ben diversa dalle pretese che gli altri manifestano e chiedono come aiuto

‘e figlie ‘e ll’ate nun me songo pariente
a significare che ognuno deve curarsi dei propri affetti

‘e figlie? So’ bbuone chille d”e carcioffole!
per dire che i figli spesso risultano essere ingrati perché non sempre rispondono alle attese dei genitori

‘e furmichielle ‘e pane
minuscole briciole di pane, molto comune anche “furnichielle”

è juto acito
non più in grado di intendere e di volere

è juto ‘nparaviso pe’ scagno
letteralmente significa andare in Paradiso senza alcun merito. In genere questa frase è rivolta a chi fortunosamente trae un profitto sproporzionato rispetto a ciò che realmente avrebbe meritato

è juto ‘nfantasia
impazzito, andato fuori di testa: modo alquanto caratteristico per definire una persona che manifesta evidenti problemi psichici.

‘e làppese a qquatrigliè
sono quelli che si tengono a part’‘a capa (dalle parti della testa), quando si è afflitti da problemi seri. Non si tratta di matite (lapis) dalla punta aguzza, verniciate a scacchi bianchi e neri, che trafiggano la testa del malcapitato, bensì della tecnica edilizia dei romani, denominata opus reticulatum, consistente nel sovrapporre, a incastro, delle piramidi di tufo con la base quadrata rivolta verso l’esterno, dando così, la visione di una serie di quadratini, disposti in diagonale. Il nome latino della pietra lapis quindi, spiega i làppese, la cui forma consente di qualificarli a qquatrigliè, e le cui punte avverte tutte conficcate nel cranio colui che implora tranquillità

è lieggio lieggio!
frase con la quale viene affermata l’estrema leggerezza di un oggetto

è proprio n’omme cu’ ‘e mustacce!
la frase è riferita ai veri uomini, quelli di un tempo, la cui parola d’onore era cosa sacra. Uomo tutto d’un pezzo

‘e scarpe a zuoccolo
nell’immediato dopoguerra (epoca in cui si pativa fame e miseria), nel tentativo di un eventuale recupero, si usava modificare le vecchie scarpe. Nello specifico alle scarpe veniva praticato il taglio e l’asportazione della parte posteriore della tomaia; a modifica effettuata (e qualche anziano stabiese può ancora testimoniarlo) si otteneva una scarpa comoda (del tutto simile ai moderni zoccoli), buona per essere riutilizzata nel periodo estivo dell’anno

‘e trent’‘e maggio ‘a vecchia mettette ‘o trapenatur’‘o ffuoco
il trenta di maggio la vecchia gettò l’aspo nel fuoco. In senso proprio, il proverbio viene riferito ai possibili freddi della primavera inoltrata; in senso metaforico, ad ogni imprevisto, che possa verificarsi. Si badi a non confondere, come talvolta accade, il trapenaturo cioè l’aspo (macchina che serve per avvolgere un filo formando una matassa) e non l’arcolaio (apparecchio di legno o metallo, girevole su un perno, che serve per ridurre in gomitoli il filato in matasse) che in napoletano è detto arda, col laganaturo cioè matterello, dal latino lagana = lasagna

e uno!… dicette chillo ca cecaje ll’uocchie ‘a mugliera
metodo surreale e rozzo di manifestare superiorità nei confronti della propria moglie…

‘e vvò mmocca ‘e purpette
detto a chi vuole ottenere il massimo senza fare sforzo alcuno

fa ‘a palla ‘e rasso…
questo vecchio modo di dire era rivolto a chi voleva ingraziarsi qualcuno, ovvero a chi faceva il simpatico o meglio il ruffiano nel tentativo di farsi perdonare per aver fatto un precedente sgarbo.

facimmece ‘a croce!
detto nella speranza di un aiuto di Nostro Signore. Per logica “Se fa ‘a croce c”a mana storta”, chi ha un cattivo inizio di giornata

fa ‘e cose a “vienetenne”
detto di chi fa un qualcosa tanto per fare, ovvero senza applicarsi più di tanto. Fare qualcosa in fretta e senza cura, per sbrigarsi ed andare via

fa ‘e riebbete cu ‘a vocca
detto a colui che per abitudine non mantiene le promesse

fa ‘nu cavero ‘e pazze!
esclamazione con la quale si manifesta l’assoluto disagio fisico al verificarsi di una elevata temperatura al limite della sopportazione umana

fa ‘o scemo pe’ nun jie ‘a guerra
rendersi ingannevolmente inabile alle armi, detto di persona che finge di non capire per evitare una situazione altrimenti svantaggiosa

fatte sempe ‘e fatte tuoie e n’avé paura ‘e niente!
sicuramente un ottimo consiglio di chi della sua esperienza fa scuola di vita per gli altri.

figlio d’‘a Maronna
trovatello, figlio di ignote generalità. Erano i trovatelli ospitati nell’orfanotrofio annesso alla chiesa dell’Annunziata a Napoli, i quali nel giorno della Sua festa così cantavano: “Mamma d”a Nunziata, Mamma d”e criature, nuje simmo figlie a Vvuje: venitec’ajutà.”

figlio ‘e ‘ntrocchia
discolo, ragazzo esageratamente vivace. Questa espressione si usa per indicare un ragazzo scaltro, sveglio, che t”o ffà int’all’uocchie, te la fa negli occhi, e difatti in napoletano il termine ‘ntrocchia deriva dal latino intra oculos.

frammellicco e franfellicco
caramella zuccherina di antica tradizione

franco ‘e cerimonie
detto di chi non perde tempo con inutili preamboli

frisco a ll’anema d’ ‘e muorte vuoste
pensiero rivolto all’ Onnipotente, con il quale si augura rinfresco (ristoro) alle anime dei defunti

fumm’a llà e purciell’a ccà, fumm’a llà e purciell’a ccà, …
la frase pronunciata ripetutamente per buon augurio, accompagnava la cottura di una pietanza e serviva ad allontanare l’eventuale fumo generato dall’ardere della brace

Giesù liberancene!
caratteristica frase con la quale è richiesto un aiuto divino che liberi o allontani un male estremo ed oscuro. Letteralmente: “Gesù, liberacene”

Giorgio se ne vo’ ji’ e ‘o vescovo n’ ‘o vo’ mannà
Giorgio vuole andarsene e il vescovo vuole licenziarlo. Lo si dice di chi compie malvolentieri qualche azione, senza che, però, ne sia stato richiesto: Giorgio era, infatti, l’interlocutore del vescovo, dal quale avrebbe voluto prendere congedo, ma non lo faceva, per rispetto; il vescovo dal canto suo, non lo licenziava, per timore di offenderlo.

hadda passà’ ‘a nuttata!?
nota frase del grande Eduardo De Filippo con la quale ci si augura speranzosamente, il passaggio del buio della notte (cattivo momento), con la luce del giorno (quiete dopo la tempesta)

hadda venì’ Baffone
Baffone era Stalin e questa espressione, di solito, era pronunciata dai simpatizzanti della “Sinistra” che criticavano la situazione politica italiana. In modo del tutto più generico significa: prima o poi verrà il momento…

ha fatto ‘e funge!
si dice di chi si è trovato costretto o quanto meno è dovuto rimanere rinchiuso in un luogo per lungo tempo. Ammuffire

ha fatto fetecchia
ha fatto cilecca (nel senso stretto di petardo inesploso)

ha fatto ‘o scrupolo d’ ‘o ricuttaro
ha mostrato (o avuto) lo scrupolo del ricottaio. Un fabbricante di ricotta andò a confessarsi, tutto rattristato, per aver rotto il digiuno in una delle vigilie di astinenza ordinate dalla Chiesa, perché durante la preparazione della ricotta, uno schizzo della stessa, gli era finito in bocca e lui incautamente l’aveva ingoiato. Il confessore lo rassicurò dicendogli che non aveva affatto peccato, ma prima di congedarlo gli chiese se aveva da dirgli qualche altra cosa. Allora il ricottaio elencò una serie interminabile di colpe, malefatte e scandali tali da far rabbrividire il buon sacerdote che adirato gli disse: “Tenevi tutto questo in corpo e hai avuto scrupolo per un po’ di ricotta?”

hanno fatto proprio n’ambo asciutto
hanno fatto proprio un ambo secco. I giocatori esperti del lotto, sanno che il cosiddetto ambo asciutto è l’ambo composto da due soli numeri e non derivante da un terno, una quaterna o da una cinquina. In senso allegorico si apostrofa con ambo asciutto l’accoppiamento di due persone di egual figura, carattere, tendenza, abitudini ecc.

ha purtato sulo panza e presenza
si dice di chi non porta alcun contributo per risolvere un problema o che una volta invitato, si presenta a mani vuote

in tutt’‘e mode
ad ogni modo, esortazione a farla breve per una sbrigativa risoluzione

io saccio ‘o liepere addu dorme!
letteralmente: “Io so dove dorme la lepre”. La frase è emblematica, essere a conoscenza della tana della lepre (animale selvatico, furbo e sfuggente), equivale a dire di essere suo pari se non superiore. Affermazione di chi conosce qualcosa che gli altri non sanno; o che vogliono nascondergli qualche verità; e per estensione: conoscere la soluzione di un problema.

jammo, a fernì cumm’ ‘e fichi ‘e zì Ciccio!
espressione che si usava a Castellammare, quando un discorso iniziato su una questione ben precisa, andava per le lunghe rinvangando nel passato, richiamando così altri casi con il rischio di allontanarsi dal motivo principale della discussione stessa.

Caro Maurizio, mio padre mi spiegava che questo modo di dire si rifaceva al seguente episodio, che non saprei dire se reale o inventato: due fratelli avevano ereditato da uno zio (“Ciccio”, in questione) dei terreni, che nonostante le innumerevoli trattative e le rimostranze dell’uno e dell’altro, non riuscivano a mettersi d’accordo su chi dei due doveva ereditare un campo dove c’erano delle piante di fichi. Quindi per troncare una discussione che si prolungava con argomenti che nulla c’entravano con la questione iniziale si diceva “mò jammo a fernì cumm’‘e fichi ‘e zì Ciccio”. Gigi Nocera.

jammo, ja!
anche questa frase, come la precedente viene, quasi esclusivamente pronunciata per manifestare il proprio dissenso o per esortare ad andare e ad incamminarsi

jésce dinto!
si noti la potenzialità disorientante di questo comune comando. Forma corretta: “trase dinte!” oppure “jésce fore!”

l’àsteco chiove e a fenesta scorre
lo si dice quando le sventure si assommano

levamme ‘e prete ‘a ‘nanze ‘e cecate!
molto praticamente vuol dire “livamme l’occasione!” Che penso sia più chiaro di qualsiasi altra spiegazione

levà’ ‘o sale ‘a fronte
letteralmente: togliere il sale dalla fronte. Il sudore asciugatosi sulla fronte talvolta mette in evidenza i vitali sali minerali trasudati per lo sforzo e per l’eccessivo calore, questa patina sicuramente palesa in modo tangibile, la fatica svolta in condizioni di estrema sopportazione. Per similitudine, la caratteristica frase “levà’ ‘o sale ‘a fronte” (non aver più una goccia di sudore da spendere), spesso è utilizzata per definire la situazione di estrema fatica, con la quale riesce difficile gestire le proprie forze (esempio tipico: prestare attenzione, rincorrere e badare alla continua e frenetica iperattività di un bambino troppo vivace)

ma che me ‘mporta a mme d’‘a capa ‘e morte
la frase esterna l’estrema riluttanza nei confronti della morte

m’ha fatte ‘a dinto all’uocchie!
caratteristica esclamazione con la quale si sottolinea il verificarsi di una azione non vista, nonostante l’attenzione prestata

maje pe’ cummanno!
modo diplomatico di impartire un comando, la frase pronunciata da colui che impartisce l’ordine, lo colloca in tal modo, allo stesso livello di chi lo esegue

male a chi porta ‘a mala annummenata!
parole sagge con le quali è intrinseco il consiglio di condurre una vita onesta e trasparente al fine di avere una reputazione sempre pulita, che possa fugare una possibile cattiva nomèa

mangia ‘nterra e s’astoie ‘ncuollo
si dice di chi economicamente versa in cattive acque

mannaggie bubbà
imprecazione bonaria senza alcun significato materiale

manco ‘e cane
terminologia con la quale si ripone la speranza che non si verifichi mai uno specifico evento infausto

‘mbrellino ‘e seta
detto a chi caratterialmente è poco accontentabile, puntiglioso e difficoltoso

me fa male, malamente!
caratteristica frase ridondante con la quale si palesa una manifesta sofferenza fisica. Lo stesso che dire: dolore atroce

meglio a te fa ‘nu vestito
in auge nel dopoguerra quando c’erano pochi soldi da spendere e qualche parente o qualche amico si autoinvitava a pranzo nella speranza di risolvere il problema della propria sussistenza ponendosi a carico degli altri

meglio ‘o culo dint’ ‘a vrase, ca ‘o marito dint’ ‘a casa
questo detto proverbiale del “Vecchio saggio” parla da sé, a voi intenderlo.

menà’ mazzate ‘a cecate
letteralmente picchiare alla cieca, darle di santa ragione

me pare ‘a scigna ‘e Pauzano
all’inizio della salita di Quisisana, negli anni Cinquanta, abitava un signore di nome Pauzano che teneva nel proprio giardino chiusa in una gabbia una scimmietta che sorrideva senza nessun motivo apparente a tutti quelli che passavano. Di lì a poco, venne in uso, l’espressione che abbiamo ricordato per definire chiunque sorridesse o facesse moine agli altri senza un motivo valido

me pare mill’anne!
la frase indica un tempo smisurato, che rende molto bene l’idea della sofferenza e il disagio dell’attesa

me pare ‘nu cane arraggiate
per ovvia similitudine questa frase è rivolta a chi ha un atteggiamento adirato e ostile

me pare ‘nu cane ‘e presa
la frase è rivolta per similitudine a chi, per un innato attaccamento morboso, non distoglie nemmeno per un attimo l’attenzione dai suoi interessi (quasi come un cane che non lascia la sua presa)

me s’aggravogliano ‘e stentine ‘ncuorpo
caratteristico modo di dire di chi si sta prendendo una forte arrabbiatura

me sento comme a ‘na mille lire vecchie!
esternazione di chi (in pessima forma fisica), immagina di essere nelle stesse condizioni di una consumatissima vecchia banconota da mille lire

me staje ‘mbriacanno ‘e broro ‘e trippa!
lo dice chi è stanco di ascoltare cose inutili, perché saturo di chiacchiere futili. Valida variante della frase successiva.

me staje rignenne ‘e rèfole ‘e viente
lo si dice a chi parla, parla, parla senza arrivare ad una conclusione, senza un costrutto.

mette ‘a coppa pure ‘e pullece (o anche ‘o perocchio)
questa frase raccoglie tutto il disprezzo verso chi si vanta a tutti i costi d’essere “superiore” per: titolo, possibilità e capacità. Per assurdo infatti, chi ha questa “malattia” (pur di palesare una ipotetica superiorità) non disdegnerebbe di dichiarare di avere più pidocchi in testa di chi è affetto da pediculosi

miette a coppa!
rincarare la dose, aumentare la posta, detto di chi la dice più grossa

miette a sinco!
dare ordine di rassettare, riordinare e riporre nel giusto modo un qualcosa

‘mmano a Pappagone
indica un’epoca a noi assai remota

mmesca Francesca
il termine indica l’insieme confuso di oggetti eterogenei. Molto probabilmente il termine deriva dal francese “melange français” (una gustosa zuppa a base di ortaggi misti)

‘mmocca lio’
frase rivolta a colui che aspetta il boccone servito, senza la benché minima preoccupazione di procacciarselo da solo

mo he fernuto ‘e magnà’ pesce!
“Ora hai finito di mangiare pesce”. Questo modo di dire nasce da una curiosa storiella. Ad un pescivendolo si era conficcata, nella mano una grossa spina di pesce, che oltre a fargli molto male, non gli permetteva di svolgere il suo lavoro agevolmente. Ricorse così alle cure di un medico e per ingraziarselo, ogni giorno, quando andava a medicarsi la ferita, gli portava una “spasella” di pesci pregiati con la speranza di essere curato bene e di guarire in fretta. Ma il furbo medico, per non perdere tutta quella grazia di Dio, mandava la cura per le lunghe. Un giorno, però, costretto ad assentarsi, incaricò suo figlio, studente in medicina, di sostituirlo. Il giovane eseguì alla perfezione l’incarico avuto dal padre e la prima cosa che fece fu quella di togliere la spina dalla mano del pescivendolo, cosa che il padre furbescamente non aveva fatto proprio per ritardare la guarigione. Quando il padre rientrò chiese al figlio come era andata la medicazione e quando il figlio gli disse quello che aveva fatto, egli lo apostrofò in malo modo e aggiunse: “Mo he fernuto ‘e magnà pesce!” Perché, chiaramente, con l’avvenuta guarigione cessò l’invio delle “spaselle” di pesce.

mo ll’onesto è scamazzato, e ‘o ‘mbruglione è cavaliere!
un paradosso della vita, che sovverte ogni buona regola del vivere civile, quando non di rado nella società attuale, l’onesto è messo alla stregua di un imbroglione senza scrupoli che per le sue capacità, dà una parvenza di ciò che non è, e riesce a rendersi credibile agli occhi degli altri

‘mpurpate d’acqua
bagnato fradicio

muorto ‘o serpente, more pure ‘o veleno
con la morte della persona nemica, finisce anche il rancore

‘na chiorma ‘e fetiente
letteralmente “una ciurma di fetenti”, quasi esclusivamente riferito all’aspetto morale poco limpido di un determinato gruppo di persone

‘na funa rotta…
E’ il modo di etichettare una persona che, avendo un difetto, malgrado tutte le correzioni ricevute, rimane con lo stesso irriducibilmente problema. Per esempio: il fumatore incallito o il donnaiuolo.

‘na mariuligia ‘e mariuoli
poco usata e quasi ridondante questa frase dialettale indica un “ambiente” tutt’altro che onesto, nel quale è possibile incontrare solo persone poco raccomandabili

‘nce vo’ ‘a mana ‘e Ddio
tradotta: serve l’aiuto di Dio. La frase è esternata da chi, trovandosi in difficoltà e resosi conto dell’immane lavoro che lo aspetta, prendendo coscienza della sua impotenza, si rivolge al buon Dio onnipotente.

‘nce vo’ pacienzia ‘a mmagnà carcioffole
occorre pazienza per mangiare carciofi. Lo si dice di attività che richiedano un particolare impegno di pazienza. È evidente il riferimento alle “carcioffole a scippà”, carciofi da sfogliare, quali ad esempio, quelli lessi o meglio ancora quelli arrostiti, in particolare i nostrani, provenienti dagli orti di Schito.

‘ncopp’ ‘o bbene!
incomprensibile se tradotta letteralmente (sopra il bene), questa frase se pronunciata in determinate circostanze, può assumere questi significati: “Mi devi credere!” o anche “Parola mia!”

nocche e ziarelle
fare spese inutili, affaccendarsi in cose futili

‘ntustà’ ‘e piere ‘nterra
essere fermo sulla propria posizione, per similitudine ad un asino che non vuole sapere ragioni e si puntella irrigidendosi

‘Nu mufecarone reva ‘a magnà a ciente mufacarielle, ciente mufacarielle ‘nu riuscettene a dà ‘a magnà a ‘nu mufecarone
frase (suggerita da Francesco Ricci) certamente riferita all’ingratitudine delle nuove generazioni: mufecarone sta per genitore, mufacariello per figlio (a quanto pare questa frase si diffuse soprattutto tra l’Annunziatella e il San Marco, ma anche ‘ncopp’ ‘a Caperrina!

nun è ddoce ‘e sale
proprio come a volte riesce difficile indovinare la giusta quantità di sale per insaporire una pietanza (che per tal motivo resta al palato scipita o riesce troppo salata), per similitudine questa frase definisce una persona dal carattere duro e difficile da addolcire

nun tengo manco ll’uocchie pe’ chiagnere
la mancanza di un bene fondamentale come gli occhi denota in modo emblematico l’estrema povertà dell’individuo

‘o cannarone ‘nganna
canna della gola

‘o cane morzeca ‘o stracciato
per metafora: la cattiva sorte si accanisce esclusivamente con le persone sfortunate

‘o caucio dinto ‘e cannielle
letteralmente calcio agli stinchi

‘o caucio dinto ‘e cianche
letteralmente il calcio nei fianchi, caratteristica frase di manifesta aggressivita’

‘o cazone a zombafuosse
pantalone corto di gambe (nella fantasia popolana molto pratico per saltare una eventuale pozzanghera)

‘o cazzimbocchio ‘e neve
antenato della moderna granita, preparato mediante lo sfregamento di un aggeggio in metallo (simile ad una pialla) su di un blocco di ghiaccio e l’aggiunta di essenza colorata

‘o cocco ammunnato e bbuono
ha avuto una porzione pronta di cocco (questa traduzione, però, non rende piena giustizia alla caratteristica frase dialettale); generalmente questa frase è rivolta al fortunato che ha avuto campo facile per il precedente lavoro altrui

‘o cunto e ‘a ‘mmasciata
dire proprio tutto, soddisfare a pieno l’argomentazione intrattenuta, raccontare in modo esauriente e nei minimi particolari

‘o cuzzetiello (o anche capuzziello)
veniva ricavato dalle estremità della “palatella” (tipico pezzo di pane), che svuotato della mollica veniva riempito di companatico saporoso come fagioli alla “zuppetella” o quant’altro da non buttare via.

‘o ffrisco all’uocchie
congiuntivite.

‘o gallo ‘ncoppa ‘a munnezza
per similitudine: il comportamento del presuntuoso, che si da delle arie del tutto ingiustificate, pavoneggiandosi su di un cumulo di rifiuti

ogne legna tene ‘o fummo suoje
per affermare quello che dicevano i latini che ogni uomo ha il suo modo di comportarsi nonostante l’educazione conseguita

‘o guaio è ‘e chi ‘o tene; Nun è ‘e chi passa e se ne va!
filosofia di vita: il guaio è di chi lo tiene; Non è certamente di chi è di passaggio, vede l’accaduto e poi chiaramente va via

‘o guarracino, pure è pesce!
nei ricordi dell’ing. Antonio Fabbrocino, questo detto sovente veniva pronunciato dalla sua nonna per ribadire che una persona, seppur di poco conto e di modeste capacità, è pur sempre una persona e come tale può capitare che possa atteggiarsi nel voler sembrare importante, da lì per similitudine ‘o guarracino (pesce piccolo e modesto) che mostra atteggiamenti da grande pesce che in realtà non è

oh anema d”o ffuoco!?
caratteristica frase con la quale si manifesta stupore, esclamazione di meraviglia

‘o maccaturo ‘e schiacchetta
grosso fazzoletto in tela, con la caratteristica trama a quadroni della stoffa scozzese, era di forma quadrata (il lato misurava 60 – 70 cm) e veniva legato ai quattro angoli per essere adoperato come borsa da trasporto. ‘O maccaturo ‘e schiacchetta fu poi soppiantato (in tempi a noi più vicini) dai moderni sacchetti in plastica per la spesa

‘o miedeche m’he dato (prescritto) pinnoli ‘e cucina (polpette), e sciruppo ‘e cantina (vino)
una curiosa quanto saporita “prescrizione” medica

ommo ‘e panza, ommo ‘e sustanza!
in barba ad ogni qualsivoglia moderna regola di salute ed estetica, il significato della frase, evidentemente, mette in risalto ed in relazione la forma fisica della persona con il suo potenziale carisma

‘o muorzo d’‘a crianza
l’ultimo boccone del pasto, il boccone del complimento

‘o murziello ‘e pasta
primo piatto sbrigativo e di poco conto, giusto un assaggio

‘o naso appiso
ovvero l’eccessiva secrezione che cola dal naso (prerogativa dei bambini molto piccoli), ai quali necessita l’intervento risolutore della mamma

‘o naso e ‘a vocca
modo di dire indicante due luoghi vicinissimi

‘o pere e ‘o musso
dall’antica nobiltà “il piede ed il muso” del maiale, erano considerate parti di scarto; una offesa al fine e nobile gusto. La servitù che viveva all’ombra di tanta signorilità, alle prese con la sopravvivenza quotidiana (dove nulla si butta e tutto può servire), in mancanza di meglio, imparò ad apprezzare anche questo piatto povero. La tradizione locale ripropone questo antico piatto, come una prelibatezza servita a pezzetti in cartoccio, rigorosamente degustata con un pizzico di sale e qualche goccia di limone

‘o pere ‘e puorco
rudimentale leva d’acciaio dalla caratteristica terminazione a zampa di maiale

‘o piano matto
il termine indica il piano ammezzato, ovvero il piano dell’appartamento posto al di sotto del 1° piano di un edificio. Il piano è detto matto molto probabilmente perché è raggiunto da scarsa luce ed assume una colorazione più ombreggiata e meno luminosa

‘o pigliato ‘e famma
o anche più volgarmente detto “muorto ‘e famma” (morto di fame), è colui che, reclama ottenendo, con atteggiamento pietoso una spartenza altrimenti negata

‘o rebbete, è salute!
letteralmente “il debito, porta salute”. La saggia considerazione deriva dalla millenaria esperienza del napoletano che ritiene la persona debitrice degna della miglior condizione di salute, se non altro per scongiurare una eventuale irreparabile malattia debilitante. Addirittura nella speranza di recuperare il dovuto, c’è chi rivolge preghiere affinché il debitore sia nella piena condizione fisica per poter saldare il debito.

‘o rucculino d’‘o cuttone
il piccolo rocchetto arrotolato di filo di cotone

‘o sanghe ‘ncapa
letteralmente: il sangue alla testa. Quel momento di particolare nervosismo in cui sembra affluire una quantità maggiore di sangue alla testa

‘o scanna surece
ossia la natalizia pianta di pungitopo

‘o signore bello: ‘a mazza, ‘o sisco e ‘o ‘mbrello!
nota frase di sberleffo nei confronti di chi si atteggia a signore o perlomeno che vuole sembrare di esserlo, che testimonia la marcata ironia del popolo partenopeo

‘o spavo ‘ncerato
chi da ‘o spavo ‘ncerato, rende vita difficile a chi, per metafora, tira dall’altro capo. La suddetta similitudine ha un senso logico in quanto lo spago con il trattamento della ceratura (spago cerato) acquistando notevole resistenza, difficilmente si spezza mediante trazione

‘o tiraturo e ‘o tiretto
rispettivamente: il capiente cassettone estraibile dell’armadio o del comò e il piccolo cassetto ad esempio del comodino del letto

‘o turciamiento ‘e panza
violenta e repentina contrazione avvertita al basso addome, spasma viscerale

‘o viecchio antico
molto usata dalle persone anziane, questa caratteristica frase richiama, in modo pittoresco, la saggezza del cosiddetto “vecchio saggio”

‘o vi’ lloco, o ‘ì ccanno, o ‘i llanno
caratteristici richiami per attirare l’attenzione su qualcuno o qualcosa. Letteralmente eccolo, ma posto in uno spazio temporale differente: “oi’ loco” se il soggetto è prossimo a chi parla, “oi’ canno se il soggetto è vicinissimo, oi’ lanno se il soggetto di riferimento è abbastanza lontano

‘o vino c’‘a neve
l’eccezionale matrimonio del ghiaccio nel vino sposati per il piacere del palato, tenuto a riferimento allorquando si vuole palesare la compiacenza di qualcuno che gode di un determinato evento (te piace ‘o vino c”a neve!?)

‘o votta votta
essere nella ressa, spingersi a vicenda

‘o vutamiento ‘e stommaco
nausea, senso di vomito, sdegno viscerale

pare ‘a jatta ‘e zì Marì: quanne chiagne e quanne rire
così un tempo veniva commentato il repentino cambiamento di umore che caratterizza i più piccoli, che con estrema facilità passano da una crisi di pianto apparentemente incontentabile ad abbondanti risate di contentezza

parla ‘a schiovere
riferito a chi è poco accorto nel parlare e che tendenzialmente fraseggia senza alcun nesso logico

parla quanne piscia ‘a gallina!
zittire, modo pittoresco di ordinare ad una persona (la cui parola di circostanza è praticamente inutile) di non parlare

partimmo ‘a terra ‘a rena!
con questa frase si invita il proprio interlocutore a fornire una minuziosa descrizione di un determinato racconto che per similitudine dovrà rigorosamente iniziare da un punto di partenza assoluto, come peraltro ha inizio la terraferma laddove finisce il mare

pe’ filo e pe’ segno
raccontare un episodio minuziosamente, con la stessa maestria ed accuratezza di una provetta ricamatrice

perdere a mana…
a differenza di quanto si potrebbe pensare in prima battuta, questo modo di dire non ha nulla a che fare con braccia monche o incidenti di questo genere, molto più semplicemente l’esclamazione è riferita a chi per mancanza di esercizio perde abitudine e dimestichezza nel fare qualche cosa

piscetiello ‘e cannuccia
persona inesperta e poco sveglia

pònte pònte
proprio sulla punta

puozze avé!
esclamazione di manifesto stupore. Molto simile alla forma romanesca: che te possino!

pure ‘o pollece tene ‘a tosse!
anche le persone timide, chiuse e di poche parole, al momento giusto sanno alzare la voce

purtà’ addimmannata
chi ha la noméa, avere una cattiva fama

quanno ‘a vecchia vo’ filà, fila cu ‘o spruoccolo
quando la vecchia vuole filare, lo fa anche con uno stecchetto di legno. Volere è potere

quannu mmaje ‘o sole s’é mmuorto ‘e friddo!?
questa pittoresca frase, comunica in modo emblematico la certezza “matematica” del verificarsi di un evento

recchia ‘e cantaro
terminologia popolana e bizzarra rivolta a persona trasgressiva e di basso ceto sociale

rispetto ‘o cane p”o padrone…
quando si veniva mancati di rispetto da un ragazzo la cui famiglia per qualche motivo era da tenere in considerazione, l’offeso richiamando il rispettabile genitore e proferendo queste caratteristiche parole dava ad intendere di non aver reagito per il rispetto della famiglia

Ruorme patella ca rancio veglia!
detto mutuato dal linguaggio dei vecchi pescatori, modo di rassicurare da parte di chi assume funzioni di sentinella, così come il granchio sullo scoglio sembra quasi che vegli la patella che dorme (Bruno Zingone)

Sant’Antonio (Abate), s’annammuraje r”o puorco!
detto di chi si accontenta: e si affeziona a cose semplici e utili

s’azzeccano ‘e ‘ntestine
letteralmente: si attacca l’intestino. Una credenza popolare (del tutto infondata) vuole che al malcapitato che involontariamente ingoia un chewingum (gomma masticante), sia costretto poi a bere molto per evitare che la gomma possa attaccare le pareti dell’intestino

scarrupato e sgarrubbato
diroccato, in rovina

scarta ‘e muscie ‘a dint’‘e tuosti
caratteristica frase detta a chi perde palesemente tempo effettuando un lavoro inutile

sciué-sciué
modo caratteristico per indicare la sufficienza

sciuglimmo stu nurgo!
richiesta di un drastico intervento al fine di porre una sbrigativa risoluzione di un problema, per similitudine: sciogliere il nodo da una corda

scusate, se piglia pere?
la classica domanda fatta sui lidi balneari locali, con la quale si chiede conferma ad un bagnante della profondità dell’acqua in un determinato punto. (Si tocca il fondo con i piedi?)

segna!!!
quando si comprava a credito la bottegaia chiedeva comunque, se la spesa doveva essere annotata sul libretto o veniva saldata al momento e il più delle volte (in maniera particolare a fine mese), il cliente diceva: “Segna!”

se fanno mangià ‘o culo d’‘e mosche pe’ nun dicere: “Sciò!”
lo si dice di coloro che non riescono a vincere una inguaribile pigrizia, tale da fargli subire anche i più fastidiosi inconvenienti

s’é miso c’‘a capa e c’‘o penziero
detto di colui che (profondamente concentrato), tenta con caparbia di raggiungere lo scopo prefisso

s’é miso int”e chiocche (o anche int”e recchie)
detto di persona insistente e ripetitiva, che con fare estremamente martellante e petulante cerca, per il proprio tornaconto, di estorcere un favore

se ne juto carico ‘e meraviglie!
detto di colui che è andato via in seguito ad una sonora ed inaspettata lezione

s’é ‘nfrascato
mettersi tra le frasche. Detto di chi si nasconde col chiaro intendo di eludere la sorveglianza

s’è ‘nfucata ‘a cardognola
la “cardognola” in italiano tarassaco (anche detto soffione o dente di leone), per intenderci è quel particolare fiore spontaneo (giallo nella sua infiorescenza) che spesso ritroviamo nei prati. Amato dai bambini per la sua candida, piumata infruttescenza, non di rado la “cardognola” giunta all’apice della sua maturazione, viene raccolta e soffiata per disperdere una candida nuvola di semi piumati. La piena maturazione coincide con il periodo estivo più caldo, da ciò “s’è ‘nfucata ‘a cardognola!”

s’é pigliato ‘o dito cu tutt’‘a mano
prendersi troppa confidenza. Gesto istintivo del neonato, comportamento per nulla giustificato se operato, però, da un adulto

s’è sciuoveto ‘o gallinaio!
il confuso ed improvviso chiacchierio femminile, paragonato per similitudine, al naturale schiamazzo delle galline nell’aia

s’é scunucchiato dint’‘e coscie
detto di persona che per debolezza o per malanno viene a piegarsi sulle ginocchia, trovandosi a compiere un movimento (obbligato) come ad inginocchiarsi

s’è squagliato tutte cose ‘a cuorpo!
caratteristica esclamazione detta da chi ha avuto un grosso spavento

s’è tirato ‘o sellone
modo alquanto bizzarro con il quale si palesa che per cause accidentali, qualcuno sia “passato a miglior vita”

s’é unito ‘a fronna ‘e lauro e ‘o fegatiello
in riferimento all’unione di due persone buone solo a fare guai

s’hanno magnato tutte cose: pile, cotena e tracchia
modo colorito per indicare la consumazione completa di un bene materiale, come ad esempio: il dipanare un patrimonio o lo sperperare un grosso capitale monetario

si chiure ‘na porta, s’arapre ‘nu purtone
non tutti i mali vengono per nuocere, perché nel perdere una opportunità, a volte capita di trovare delle alternative anche migliori

simme felice int’a ‘sta vita!
la frase che ci viene segnalata dal Cav. Salvatore Mancino, era una esortazione molto diffusa agli inizi del ‘900, la cui peculiarità è l’aggettivo dimostrativo “‘sta” prima di “vita”.

simme fernute a pisce fetiente…
la pessima conclusione di una storia, descritta per metafora come una partita di pesci maleodoranti

si’ comm’‘a ‘nu cannellino ‘e Carrese
Frase tipica di apprezzamento. Carrese al largo Pace, aveva i migliori prodotti di pasticceria e, in special modo, i confetti tipo cannellini (quelli tutto-zucchero, per intenderci)

si’ donna ‘Sabella, quanno è chiena ‘a spurtella, quanno ‘a spurtella è svacantuta si’ femmena scunusciuta!
Filosofia con la quale ” ‘o viecchio antico ” lascia intendere che l’interesse per una persona, è direttamente proporzionale ai suoi averi, man mano che si abbassa il livello della sua ricchezza, viene ad abbassarsi anche la sua notorietà e l’interesse che gli altri portano per essa

si’ ‘na bbella fella ‘e pastiera!
detto di persona opprimente, quasi come una bella fetta di pastiera di grano gustosa (bella in apparenza), ma spesso difficile da digerire

si’ ‘na pimmece!
nel dialetto il termine “pimmece” indica la cimice. Questa frase di disprezzo è rivolta alla persona che risulta fastidiosa per il tipico atteggiamento “da mosca cavallina”

si’ ‘nu malo picuozzo
nella terminologia locale il picuozzo dovrebbe identificare il novello monaco; il “malo picuozzo” è colui che in genere ha comportamento inverso a quello che tiene un uomo di Chiesa. Rivolto ad un ragazzo è sinonimo di discolo

si vulesse, putesse e sapesse so’ parole ca ‘e dicene ‘e fesse
parole proverbiali frutto dell’esperienza di vita…

sotto e ‘ncoppa
letteralmente: sottosopra, ovvero il normale quotidiano rivoltato. Inteso come fallimento totale, se riferito anche a persona che per cattiva gestione cade in rovina: è juto sotto e ‘ncoppa

sta capuzzianno
la frase indica chi muove il capo da su in giù. Fatto volontariamente può manifestare atteggiamento di minaccia, o anche fatto involontariamente quando per sonnolenza si tentenna per il crollare del capo

sta cchiù vicino a ‘o dente, che a ‘o parente
a indicare che determinate persone pensano più a soddisfare gli interessi materiali che i propri affetti famigliari

sta cu’ ll’uocchie appizzate
caratteristica di chi, molto accorto, pone estrema attenzione su di un qualcosa, riuscendo peraltro a non distogliere lo sguardo

staje a ppere
letteralmente: essere a piedi, ovvero non disporre dei mezzi adatti a fare qualcosa. Generalmente la frase è rivolta (per schernire e ridimensionare) chi caparbiamente vuole confrontarsi pur non avendo sufficienti qualità per farlo

staje cumm”a ‘nu cardillo ‘e razza!
questa espressione è rivolta ad una persona che gode apparentemente di ottima salute fisica, che per similitudine è impettita ed arzilla come un cardellino

sta ‘ncasanno ‘a mano
porre maggiore pressione, premere con più forza, solitamente però, la frase è riferita alla pioggia (battente) o a chi generalmente rincara la dose

stamme sotto ‘o cielo
la consapevolezza dell’impotenza umana nei confronti della sorte, essere soggetti al volere di Nostro Signore

statte sore!
rivolto a persona irrequieta, la si esorta a stare calma

steva già scritto… aveva ji accussì!
la totale rassegnazione, quando a giochi fatti, si imputa al fato ciò che è avvenuto

stongo asteco e cielo
essere attico e cielo, ovvero la condizione di chi abita al piano più alto di un edificio. Ma anche più sfiziosamente questo termine indica la condizione di marcata calvizia di talune persone

stongo ‘nterra cu ‘e paranzielle
per segnalare una difficoltà economica più o meno lunga; infatti quando si tiravano all’asciutto i paranzielli, imbarcazioni tipiche utilizzate per il trasporto ittico, presenti a Castellammare fino agli anni ’50 – ’60, gli uomini dell’equipaggio andavano in difficoltà economica, e con la presente frase giustificavano l’impossibilità di pagare i debiti

storta va, deritta vene
sta a significare che un episodio negativo, spesso può generare anche un futuro più roseo

stuorto o muorto
letteralmente: storto o morto. Tradotto va inteso come: mal che vada

sulo chi ‘a tene, sape quanta pesa ‘a guallera
solo chi ha dei problemi ha la vera cognizione della serietà dei medesimi

t’‘abbrucia? E miettece ‘e pile d’ ‘a mucia!
questa frase, in genere rivolta ai più piccoli (caratterialmente disobbedienti), serviva da monito e da sprono al responsabilizzarsi (ti sei scottato? E adesso arrangiati!)

taglià’ ‘a recchia a Marco
tagliare l’orecchio a Malco. Lo si dice di una lama rimasta priva di affilatura, con evidente riferimento, sia pure in modo ironico, all’episodio evangelico del taglio, da parte di Simon Pietro, dell’orecchio del servo del sommo sacerdote, che, secondo San Giovanni (18, 10), si chiamava Malco.

tene ‘a capa ‘e ‘nu vuoto a perdere!!
per comprendere il senso della frase bisogna prima fare una premessa sicuramente utile alle nuove generazioni che non sanno o meglio non hanno vissuto l’epoca dei vuoti di bottiglia in vetro, quando pressappoco fino alla metà degli anni ’80, o poco più, si usava distinguere le bibite in bottiglia in vuoti a “perdere” e a “rendere”. Le due categorie in buona sostanza distinguevano: le bottiglie vuote da un litro, riciclabili, che potevano essere nuovamente rese al rivenditore (il quale in cambio dava una piccola somma di denaro per il reso, pari alla cauzione intrinseca pagata all’atto dell’acquisto), da quelle che invece una volta svuotate non davano alcuna possibilità di recupero economico. Per semplicità e chiarezza, diremo che a Castellammare le bottiglie in vetro che davano una resa maggiore erano quelle più pesanti, in genere la “Coca Cola”, la “Fanta” e la “Sprite”(200 o 300 lire cadauna); qualcosina in meno rendevano invece l’Aranciata e la Gassosa Faito, che se la mente non m’inganna, venivano restituite in cambio di 100 lire (Sigh! Bei tempi); infine le birre e le bottiglie dell’acqua erano considerati vuoti a “perdere”. Dalla premessa appena fatta penso che ora si possa comprendere meglio il senso della frase dialettale, la quale è certamente riferita a chi per intelletto è paragonabile ad una bottiglia vuota che non ha alcun valore (vuoto a perdere).

tene ‘a capa pe’ spartere ‘e rrecchie
detto a colui che non sa fare uso migliore della testa (intesa come intelletto)

tene ‘a mangiatora vascia
ha la mangiatoia bassa. Se nelle stalle il bifolco alza troppo la greppia, le bestie fanno fatica ad attingere il foraggio e quindi a mangiare. La mangiatoia, perciò, o il truogolo, o il beccatoio, devono essere bassi perché soltanto così le bestie possono facilmente sfamarsi. Allusivamente la frase si riferisce a quelli che hanno grandi beni di fortuna, che non sono costretti a stentare la vita, che hanno a portata di mano vaste disponibilità di denaro, che non devono allungare il collo per procurarsi il necessario, che hanno, insomma la mangiatoia bassa.

tenè’ ‘a mmente
ricorda! Esortazione alla massima attenzione nel ricordare un qualche cosa

tene ‘a neve dint’‘a sacca
detto di chi ha molta fretta. La frase trae origine dall’antica vendita del ghiaccio (estinta con l’avvento dei moderni frigoriferi), epoca in cui l’integrità del prodotto, venduto prevalentemente nel periodo estivo (trasportato in delle grosse sacche accatastate su di un carro) era strettamente legato ai tempi di consegna

tene ‘e sante ‘mparaviso
detto di chi ha conoscenze influenti e insuperabili che possono, mediante raccomandazioni, portargli benefici altrimenti insperabili

tenè’ ‘mmane
esortazione a temporeggiare ancora per un po’ di tempo

tene ‘na bbella mano a ffà ‘e zeppole!
detto di colui che per la cura del proprio tornaconto, manifesta un atteggiamento scorretto nei confronti degli altri, per metafora come il rosticciere disonesto che cerca di risparmiare sull’impasto dei caldi manufatti da vendere

tene ‘o core cu ‘e pile ‘ncoppa!
detto a persona crudele, alla quale si attribuisce una surreale crescita di peli sul cuore (da sempre considerato sede dell’anima)

tene ‘o core ‘e ‘nu perocchio
chi è privo di coraggio, per similitudine “tiene il cuore di un pidocchio” (ovvero il cuore di microscopiche dimensioni del codardo). Esatto opposto di: “cuor di leone”

terra terra
detto di persona poco “elevata” per ceto e regole comportamentali

te veco e te chiagno!
commiserare con un pizzico di ironia.

tiempe belle ‘e ‘na vota
contrapporre al presente ed al possibile futuro (incerto), un passato di bei ricordi, con il quale spesso si tende ad accantonare gli stenti e le passate difficoltà

tiseco, tiseco
molto teso, irrigidito, inabile a piegarsi, ritto, intirizzito

tra ‘o scarparo e ‘o bancariello, nun se trovano ‘e summenzelle
la frase evidenzia l’insolita (quanto possibile) situazione di chi cerca nel posto giusto qualcosa di cui necessita, ma non la trova

trattà’ c’‘a coscia
è il trattamento ricevuto da chi gode dei maggiori privilegi. Nel nostro caso la coscia (quella del pollo) a differenza del petto (troppo asciutto) o dell’ala (troppo poco consistente) è considerata la parte migliore e più saporita; sicuramente degna di essere servita ad una persona di riguardo

tutt’‘o blocco!
esclamazione di ragguaglio, rendersi conto della pochezza inaspettata di un qualche cosa

tutto è vanità, ma ‘a carrozza è comodità
questa frase era usata sovente da “Donna Puppina ‘a orefice”, persona benestante, stimata e carismatica, conosciutissima negli anni ’40 a Scanzano. Ella infatti, giunta in tarda età e con i relativi acciacchi del tempo, nel percorrere il tragitto dal Centro antico a Scanzano era solita farsi accompagnare in carrozzella. Per tal motivo non disdegnava di pronunciare questa frase, oggi, rimasta impressa in tanti anziani stabiesi

tutto fummo e nient’arrusto
alla palese ed intuitiva descrizione di questo famosissimo detto, aggiungiamo solo che, quando a scuola veniva un supplente e non seguiva il programma, il “detto” (u ditto ru viecchi’antico) diventava: “Tutto fummo e niente Ariosto”

tu zitto e je mastu Francisco
si riferisce ad una situazione particolare; cioè a quando due interlocutori sono a conoscenza di un fatto e l’uno aspetta che l’altro ne accenni per primo. Difatti nessuno dei due vuol far capire all’altro che lui sa, pur sapendo entrambi che l’altro ne sia già a conoscenza (Una situazione quasi pirandelliana!)

uocchie sicche
dalla tradizione popolare: colui che porta jella

uosso ca’ nun fa broro
per similitudine questa frase indica una persona avara e gelosa dei propri averi

va te còcca
letteralmente: “Vai a dormire!”

vellìculo a ttavola
detto di chi capita in un luogo proprio quando si inizia a mangiare

verimme ‘e fa ‘na cosa ‘e juorno
esortare a sbrigarsi nel compiere una operazione, prima che chiaramente “faccia notte”

vieneme a scuntà’ p’‘a via!
richiesta fatta al fine di risparmiare tempo e fatica, con la quale si esorta qualcuno a farsi raggiungere per abbreviare il tragitto della strada percorsa

Voglio murì chiatto!
è un modo di dire che mio zio usava dire quando gli dicevano “Non mangiare troppo!”…e lui, con strafottenza e sarcasmo tipicamente stabiese (che bella Città la nostra amata!) rispondeva: “VOGLIO MURI’ CHIATTO!!!” Espressione a quanto pare diffusa nella zona di campagna “schitana” negli anni in cui cominciava a farsi strada l’idea della magrezza come imperativo estetico…e i tradizionalisti che si opponevano a questa nuova concezione rispondevano in quel modo (su segnalazione di Francesco Ricci).

vruocculi, figli e foglie! E ràreche, rarechéa
tale il padre, tale il figlio.

vulesse ‘o cielo
augurio speranzoso rivolto alla provvidenza

vuttammo ‘e mmane!
palesemente illogica nella traduzione in lingua italiana (buttiamo le mani!), questa frase assume tutt’altro significato nel dialettale; con essa, infatti, si incita a velocizzare e a sbrigarsi nello svolgere una qualsiasi operazione

vuttà’ ‘o tuocco
fare la conta. Operazione con la quale si stabilisce a chi tocca la sorte

zitto a chi sape ‘o juoco
variante dialettale del noto proverbio: “A buon intenditor poche parole”

“Zompi chi può”, dicette ‘o maravuottulo…
“Salti chi può”, disse il rospo, a esternare la possibilità figurativa, materiale o anche economica di chi può “muoversi”

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