Monte Croce

( di Catello Graziuso de’ Marini )

Cari amici concittadini di Castellammare di Stabia, è il vostro Catello che è tornato a scrivervi. Innanzitutto, mando un caloroso saluto al mio amico Gennaro, che ho rincontrato l’altro giorno sul lungomare e che mi ha detto essere uno dei più affezionati visitatori di questo pregevole sito.
Monte "Croce" (foto archivio liberoricercatore.it)

Monte “Croce” (foto archivio liberoricercatore.it)

Vorrei in questi giorni così caldi condividere alcuni pensieri demazi con voi che, come me, non avete i soldi o la volontà di abbandonare il suolo natio per recarvi in località di vacanza. Mi riferisco alla croce di Monte Croce. Come ben noto a tutti gli stabiesi di una certa età, la croce che attualmente è posta sulla sommità di detta montagna, fu lì apposta nel lontano 1962, in sostituzione della prima oramai rovinata installata decenni prima.
In quei giorni, io avevo da poco iniziato la mia attività di insegnamento. Frequentando la parrocchia, mi ero tuttavia convinto che quella scelta non fosse la più appropriata. Ed invero, vi racconto cosa accadde un giorno all’epoca. Dunque, eravamo io Mario ‘o Zelluso, Pascale ‘o Capellone e Tonino ‘o Magnastipendio, così soprannominato per la sua propensione a sfruttare indebitamente la sua attività di sindacalista per conseguire ingiusti vantaggi in termini di retribuzione ben oltre quanto gli spettasse, buoni pasto, buoni benzina, sigarette, regalie varie.

Egli era tuttavia, che sia ben chiaro, un galantuomo perché figlio della nostra Castellammare e, dunque, immune da ogni giudizio di riprovevolezza sociale.
La questione era molto semplice: io e Mario non condividevamo la scelta di manifestare il sentimento religioso in forme visibili all’esterno, essendo invece fautori di una religiosità non ostentata, bensì concretamente praticata nelle sedi competenti, ivi compresi gli altarini sacri ca’ steveno dint”e palazzi della ‘Mbricciatella.
Iniziò dunque un’aspra polemica con il parroco, spalleggiato credo dalla curia, sostenitore della scelta, poi risultata vincente, di sistemare quella croce sulla sommità del monte. Pasquale o’Capellone la prese sul personale con Mario o’Zellus, prendendolo in giro dicendo “Marittié, che te pienze, ca ‘ngopp”a montagna nun c’adda sta’ niente, come ‘ngopp”a capa toia?”. In realtà, come avete già capito la questione era molto diversa e molto più profonda. Anche Tonino sembrava, almeno all’apparenza, non avere ben chiari i termini della questione. Egli invero diceva “mettimm sta croce, croce vuol dire operai, che vuol dire lavoro, che vuol dire sindacato, che vuol dire compagno, che tu fatichi e io magno”, tradendo la sua indole tutt’altro che democratica, che vedeva nella classe operaia un mero strumento nelle mani del sindacato.
A quel punto invitai Mario a fare una preghiera a San Catello nella cattedrale, per cercare di carpire il volere del Santo. Quando però chiesi a Mario se fosse andato in chiesa, lui disse “Mannaggia, me so’ scurdato, c’aggio chiesto sulamente ‘e nummere r”o lotto!”.
Allora presi io in mano la situazione, adottando una saggia decisione: cambiai idea e, democristianamente (senza alcuna offesa per lo scudo crociato) salii sul carro dei vincitori. Mi dichiarai favorevole all’apposizione della croce, facendo un memorabile discorso in tal senso nella chiesa del Carmine, che suscitò applausi a scena aperta.
A quel punto Mario rimase da solo a sostenere la sua idea, e fu preso da tutti noi a cavece e buffettune una sera a Piazza Municipio.
Perché cambiai idea? Certo non fui folle, ma fu perché mi resi conto che quel luogo, che sovrasta la nostra amata cittadina, dovesse avere un simbolo che la rendesse unica, a prescindere dal sentimento religioso cattolico, che doveva essere recessivo rispetto alla Stabiesità, faro delle nostre esistenze.
L’anno successivo, in una giornata caratterizzata da un caldo infernale, con i miei amici andammo a piedi a visitare la sommità del monte, e fu in quell’occasione che Mario pronunciò la famosa frase “Catié, che croce! pe’ saglì ‘ngopp”a monte croce, e me fa vede’ ‘sta croce, stamattina m’è miso ‘nroce!”.

Saluti stabiani, Catello Graziuso de’Marini


Note: la presente lettera è stata scritta con la collaborazione del nipote del sottoscritto e sotto la dettatura dello stesso.

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