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Gaeta, il diabolico Achille

di Raffaele Scala

Tra i tanti protagonisti, veri o presunti, del socialismo stabiese, Achille Gaeta è sicuramente quello che ha mostrato maggiore ambiguità: uomo di sicura intelligenza, amante della bella vita, incallito dongiovanni, goliardico, cinico, provocatore nato, abile opportunista, amico dei potenti. Fu antifascista fin dalla prima ora, ma non per questo disdegnò l’amicizia dei gerarchi locali e nazionali, che seppe ben utilizzare. Si racconta che fosse un uomo senza scrupoli, maligno e vendicativo, per alcuni addirittura un uomo diabolico, così come lo definì uno dei suoi migliori amici, il famoso giornalista, scrittore e critico d’arte, Piero Girace (1904 – 1970), a sua volta un fascista della prima ora. La sua vita fu un avventura infinita, degna di essere raccontata in film e romanzi, un avventuriero cui non mancava un certo fascino. Insomma, oggi lo definiremmo, forse, una simpatica canaglia.

Achille Gaeta (tessera del Partito Nazionale Fascista - anno 1923)

Achille Gaeta (tessera del Partito Nazionale Fascista – anno 1923)

Il nostro Achille nacque a Castellammare di Stabia il 22 gennaio 1892, figlio dell’albergatore Francesco Paolo (1851 -1925), celibe impenitente, e da madre ignota, ma secondo un primo rapporto dei carabinieri, poi negato, la madre era Luisa Folari, una donna che, a suo tempo, fece molto parlare di sé. Uno dei fratelli del padre era il celebre pittore Errico Gaeta (1840 – 1887), a sua volta grande seduttore e per questa sua passione morto ammazzato da un contadino geloso. Aveva anche una sorella di nome Maria Grazia, andata via di casa in giovane età per andare ad abitare a Napoli e un fratello, Giorgio (1886 – 1950). Il nonno, meglio conosciuto come Monsù Ciccio (1803 – 1885), possedeva e gestiva, fin dalla prima metà dell’Ottocento un, Albergo e Trattoria dell’Antica Stabia, poi ereditato dal padre e dai suoi tre fratelli, Catello, Luigi e Gaetano. L’albergo aveva dieci stanze situate in un unico grande appartamento al 1° piano di Palazzo Cioffi, sulla strada Marina, oggi via Bonito. Continua a leggere

I nostalgici del Regno delle due Sicilie

articolo del dott. Raffaele Scala

Caro Maurizio, ti invio una nuova ricerca sulla nostra Castellammare, pochi spunti ma importanti per ricostruire un periodo e una storia poco nota della città stabiese e di alcuni suoi protagonisti. Come sempre, con amicizia. Raffaele Scala.

Castellamare nel 1860 (coll. Gaetano Fontana)

Castellamare nel 1860 (coll. Gaetano Fontana)

Tra il 18 novembre 1864 e il 31 gennaio 1865 la Sottoprefettura del circondario di Castellammare di Stabia aveva provveduto a schedare una serie di cittadini accompagnati dalla fama d’essere reazionari filo borbonici o, addirittura, sovversivi dell’ordine costituito da poco instaurato.[1] In quei mesi gli arresti di legittimisti borbonici e di oppositori clericali si susseguivano senza soluzione di continuità in tutto il Mezzogiorno, ma nel circondario di Castellammare i personaggi messi sotto inchiesta (14 stabiesi, uno di Torre Annunziata, tale Mauro Imparato d’anni 38, soprintendente agli scavi archeologici, registrato come reazionario [2] e uno di Casola, Catello Mosca, un notaio 40enne schedato come oppositore costituzionale), avevano poco o nulla da spartire con le trame di Francesco II e della sua inconsolabile consorte, incapaci di accettare la fine del loro regno e per questo motivo registi non tanto occulti dei vari tentativi di sobillazione fatti anche attraverso il brigantaggio. Continua a leggere

1869. La breve vita della I Internazionale a Castellammare di Stabia

di Raffaele Scala

L’antefatto: i licenziamenti nel Regio Cantiere Navale

Il decennio successivo all’unificazione del Paese non fu uno dei più tranquilli per la classe operaia stabiese, sconvolto da licenziamenti a catena che falcidiarono l’occupazione nel Regio Cantiere

(…) a seguito dell’abolizione pressoché immediata delle vecchie tariffe protezionistiche, dall’ottobre 1960, esponendo di colpo buona parte delle industrie dell’ex Regno alla concorrenza esterna mettendola in grave difficoltà e costringendo, talora, le più deboli alla chiusura.

com’ebbe a scrivere Piero Bevilacqua nella sua Breve storia dell’Italia meridionale. E, infatti, a Castellammare, negli anni successivi all’unificazione, gran parte degli opifici legati al capitale straniero, come l’industria tessile e conciaria – diventata famosa in tutta Italia e in alcuni casi esportata perfino all’estero grazie ad alcuni abili imprenditori – chiusero una dopo l’altro, non trovando più la convenienza ad investire nell’area stabiese e nel Mezzogiorno in generale[1].

La crisi economica, con il vertiginoso aumento del costo della vita e il dilagare della disoccupazione, si fece sentire in tutta la sua gravità fin dai primi mesi del nuovo regime, oscurando ben presto la gioia di quanti avevano salutato il nuovo ordine politico invadendo festosamente le strade per accogliere degnamente le camicie rosse di Garibaldi. Dappertutto salutati come autentici liberatori – i vincitori d’ogni tempo, luogo e colore, sono sempre salutati come liberatori – salvo pentirsene amaramente, il popolo minuto innanzi tutto, quando si resero conto che il cambiamento tanto auspicato tardava a farsi vedere. Continua a leggere

Leopoldo Siano, storia di un fascista stabiese

Leopoldo Siano, storia di un fascista stabiese

                                                                                                                di Raffaele Scala

La prima parte del lavoro che segue è tratto da un documento finora inedito ed è la lettura di un interrogatorio subito da Leopoldo Siano dopo il suo arresto, avvenuto alle sette del mattino del 26 aprile 1945 presso l’abitazione paterna al Corso Vittorio Emanuele, 65. L’arresto fu effettuato dal maresciallo maggiore Giuseppe Nusco e rinchiuso lo stesso giorno nel carcere di Poggioreale. [1]

Naturalmente durante l’interrogatorio Siano negò ogni suo coinvolgimento nel movimento neofascista, sorto a Castellammare nei mesi successivi alla caduta del duce, Benito Mussolini e dell’intero regime fascista. Come lui stessi confesserà anni dopo, agli inquirenti raccontò, un sacco di fesserie,[2]  ma non servì a nulla perché le menzogne non lo salvarono, su disposizione delle autorità militari alleate, da una condanna a sei mesi da scontare nel famigerato campo di concentramento di Terni, cosiddetto, campo R, gestito dalle truppe d’occupazione militari inglesi. Non tutti furono d’accordo sulla pena di sei mesi, ritenuta mite, per alcuni l’internamento deve durare fino a che la situazione politica interna lo consiglierà.[3] Qualche mese dopo sarà trasferito nel campo di concentramento di Padula, in provincia di Salerno, dove sconterà il resto della pena.

L’accusa nei confronti di Siano non era leggera, secondo le dichiarazione di altri arrestati, faceva parte di un quadrunvirato che gestì il reazionario movimento stabiese, atto a sovvertire le nascenti istituzioni democratiche.

Ma al momento leggiamo la sua versione dei fatti. Poi racconteremo il resto della storia, parte della quale lui stesso ammetterà successivamente, negli anni a venire, senza mai negare la sua fede fascista.

Leopoldo Siano

Leopoldo Siano (cartolina pubblicitaria – archivio liberoricercatore.it)

1.    Le false verità di Siano

Questionario per il SI, Servizio Informazioni, sull’interrogatorio di Siano Leopoldo

Primogenito di cinque figli, Leopoldo Siano nasce a Castellammare di Stabia il 16 aprile 1920 da Leopoldo, negoziante di carboni al Corso Vittorio Emanuele 65, nello stesso stabile dove si trova pure l’abitazione, e da Maria Di Navi, casalinga. Un fratello minore di un anno, Silvio (1921 – 1990), diventerà un giorno il famoso regista di tanti film girati nella nostra città, tra cui il più famoso fu, Soli per le strade, che partecipò fuori concorso al Festival di Cannes nel 1954. ricevendo anche un riconoscimento, e fu utilizzato negli USA dalla Fondazione americana, Foster Parents per promuovere le attività di protezione dell’infanzia abbandonata.[4] Continua a leggere

Via Cassiodoro due: il terremoto del 21 agosto 1962

( nei ricordi del dott. Raffaele Scala )

Premessa d’autore:

Caro Maurizio, ritorno con il racconto breve della seconda parte dei ricordi di via Cassiodoro, mettendo a fuoco la sera del 21 agosto 1962, quando ci fu il terremoto, che però non colpì la nostra città, se non per la scossa avvertita in tutte le abitazioni, provocando molta paura ma nessun danno a persone e a cose.
Il racconto ha una sua importanza perché ricorda alle nuove generazioni, cresciute in case in cui ci sono tanti televisori quante sono le stanze e trecento canali sui quali sbizzarrirsi h24, mentre a quei tempi la televisione, uno scatolone enorme, con rivestimento in legno, la Rai trasmetteva soltanto poche ore al giorno. Erano i tempi della preistoria della tecnologia!

Con immutata simpatia. Raffaele Scala.

Castellammare in Televisione (coll. Bonuccio Gatti)

Castellammare in Televisione (coll. Bonuccio Gatti)

In un articolo precedente ho parlato del tempo in cui portavo ancora i calzoni corti ed abitavo in via Cassiodoro. Appartiene a quel tempo lontano, erano gli anni Sessanta, un ricordo ancora vivo in chi lo ha vissuto: quello del terremoto verificatosi nel tardo pomeriggio del 21 agosto 1962, quando due forti scosse di magnitudo sei colpirono le province di Avellino e Benevento, provocando 17 morti e migliaia di senza tetto. In quel tempo, lasciata la casa di Salita I De Turris, dopo una breve parentesi in via Napoli, la nostra balda famiglia Scala si trasferì in via Aurelio Cassiodoro, una traversa cieca di via Giuseppe Cosenza in un appartamentino al piano terra con un piccolo cortiletto e cancello che dava sulla strada. Continua a leggere