Il “salotto” di Castellammare (parte I)

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Breve premessa dell’autore:

Caro Maurizio, quale ricordo della mia recente visita a Castellammare, ho scritto queste brevi memorie. Ho riportato anche una bella poesia di Eduardo che mi sembra inerente al tema. Se ritieni che il tutto possa interessare i lettori del Libero Ricercatore puoi pubblicare…
Un abbraccio e un saluto a tutti gli amici che ho incontrato recentemente in quel di Stabia, ed a te in particolare. Gigi Nocera

villa  comunale

villa comunale

Un tempo i maggiorenti delle città (il notaio, il medico condotto, il farmacista, il delegato governativo, che era una specie di commissario di P.S., ecc.) si trovavano periodicamente a casa dell’uno o dell’altro, alternativamente. Parlavano di politica, dei fatti più importanti accaduti in città, pettegolavano… Figurativamente si diceva che facevano “salotto”, dal nome della stanza in cui avvenivano questi incontri. In molte di queste dimore a volte esisteva anche un pianoforte e quindi si faceva anche musica. Normalmente a deliziare le orecchie dei convenuti era la padrona di casa. Il “salotto” di Castellammare invece era la Villa Comunale. Ma lì convenivano i componenti di tutti gli strati sociali, non soltanto la borghesia. Lì si incontrava il bottegaio, l’impiegato, l’operaio, ma anche il medico, il notaio, ecc.; bastava avere voglia di vedere un amico, un parente, un conoscente: la Villa era il luogo principale deputato a questi incontri. Qui, oltretutto, nelle sere d’estate si godeva della frescura originata dalla brezza marina mescolata al profumo delle foglie di quei maestosi platani. I rami di questi alberi, imponenti e folti, intrecciati gli uni agli altri, con le loro grandi foglie formavano una galleria naturale. Questo tunnel di verde era percorso continuamente da migliaia di concittadini intenti a commentare i fatti del giorno: propri e degli altri; parlavano di politica, pettegolavano… Proprio come in quei “salotti bene” di cui sopra. E si faceva anche musica! Eh si! Alcune serate della lunga estate stabiese erano dedicate ai concorsi tra bande musicali. Quasi tutti i complessi provenivano dalle città dell’Italia Meridionale. In quei tempi il Comune di Castellammare disponeva di un discreto complesso musicale che partecipava a queste gare di bravura. Ma nulla poteva contro certe bande veramente brave e che erano conosciute anche in campo nazionale. Ne ricordo molto bene una in particolare, che proveniva da un paese della Puglia: Acquaviva delle Fonti. Ricordo molto bene anche il nome del Maestro che la dirigeva; si chiamava Caravaglios. Chi mi legge si può domandare: “Ma come fa questo qui a ricordarsi di certi particolari?” Chi ha avuto la bontà e la pazienza di leggere qualche mio precedente “ricordo”, benevolmente riportato su questo sito, sa che io sono sempre stato un fanciu/giovane molto curioso. Tutto mi interessava, tutto volevo sapere, tutto mi incuriosiva. E del resto come non può incuriosire un tale cognome: CARAVAGLIOS? Dalla mente di un giovane attento e curioso un nome siffatto difficilmente viene cancellato. Dunque dicevo: questi concorsi li vinceva quasi sempre questa banda musicale. Quando i complessi iniziavano a suonare i loro brani, l’incessante via vai dei concittadini subiva una pausa e molti dei presenti si accalcavano attorno alla Cassa Armonica attenti e concentrati nell’ascoltare e poi valutare. Gli altri, più indietro, nel “viale ‘e miezo”, anch’essi sostavano ad ascoltare. La conclusione del pezzo musicale eseguito era accolto da un applauso più o meno convinto secondo la bravura del complesso. Il programma musicale della serata era visibile alla sommità di una sagomata colonna d’acciaio istoriata con scanalature e fregi. All’apice di questa colonna vi era la riproduzione di una lira, quello strumento antico usato nel Medio Oriente e nella Grecia antica. Un incaricato del Comune aveva l’incarico di inserire nella sagoma di quella lira dei cartoncini rettangolari dove era presentato il programma che avrebbe eseguito la banda. Questa colonna si trovava adiacente al recinto esterno del Bar Spagnuolo, presso il quale, durante l’intervallo fra un brano e l’altro, “i grandi” andavano a gustarsi un buon caffè o un gelato, mentre “‘e piccerilli” davano l’assalto a quelle bancarelle illuminate da lampadine multicolore che vendevano caramelle, “franfellicche” e “lengua ‘e menelicco” e tante altre leccornie. In questi ultimi tempi, per pochi giorni, sono ritornato a rivedere la mia bella città. Ho notato molti, tanti, naturali e fatali cambiamenti rispetto ai tempi in cui ci ho vissuto io più di 70 anni fa. In Villa ho notato che molti di quei frondosi alberi non c’erano più, sostituiti da striminzite piante, rachitiche, tristi. Non sono uno specialista e quindi forse è fisiologico che dopo tanti anni anche gli alberi deperiscono. E vanno quindi sostituiti. Ma una soluzione più confacente alla bellezza e all’importanza del luogo non si poteva trovare? Fra questi tanti rifacimenti ho notato anche che la Villa è stata pavimentata con nuovi materiali. Quella terra battuta calpestata negli anni dai passi lenti di centinaia di migliaia di stabiesi non c’era più, sparita! Ed io mi sono immalinconito ancor di più nel ricordare tutti i giochi e le corse che avevo fatto lungo quegli ameni viali, inseguito dalle raccomandazioni dei miei cari genitori: “Gigi nu correre e nun te fa’ male”. E intanto le scarpette da bambino si impolveravano di quella terra che ora non sentivo più sotto i miei piedi…

‘A VILLA COMUNALE

( Eduardo De Filippo )

Ma ce sta sempe ‘a Villa Comunale
ch’ ‘e cugliàndere nterra, sparpagliate?
‘E sporte ch’ ‘e taralle nzuccarate,
‘a scalpella, ‘o ribotto… ‘e ffanno cchiù?

Chella funtan’ ‘e fierro mmiez’ ‘o ffrisco,
cu tre cannelle, e cu tre vaschetelle…
addò ferneva, fatto a varchetella,
‘o libro ‘e scola… mèna ancora, o no?

E chelli bancarelle culurate,
“ ‘e mammarelle d’ ‘o divertimento”,
ca vennèvan’ ‘a gioia ‘e nu mumento,
ca ‘e vvedive a nu miglio… stanno llà?

Sott’a n’albero… e mò chi se ricorda
addò steva e qual’era… na matina…
chiuveva n’acquarella fina fina…
( Guaglione me piacev’ ‘e m’ ‘a piglià ).

Truvaje pe terra nu cardillo muorto:
tenev’ ‘e pennezzolle grigie e d’oro…
cu ll’uocchie nchiuse pecchè pure lloro
nzerrano ll’uocchie quanno hanna murì.

E vedette chill’albere ca sotto,
mmiezz’ ‘e rràdeche, fatto a ccaserella,
ce steva n’archetiello a capannella…
nce mettett’ ‘o cardillo… Starrà llà?

Nu juorn’ ‘e chisto, quanno è maletiempo,
ca so sicuro e nun truvà a nisciuno,
me ne vac’ ‘jnt’ ‘a Villa. E a uno a uno
veco ll’ albere… ‘o vularria truvà.

E me voglio allungà fin’ ‘a funtana,
pe bevere a canniello, guliuso.
Si me rumman’ ‘a faccia e ‘o musso nfuso,
chell’acqua ‘a faccio scorrere… che fa?

Faccio abbedè ca vec’ ‘o tarallaro,
e m’accatt’ ‘o ribbotto, c’ ‘a scalpella.
Po’ me fermo vicin’ a tavulella
D’ ‘e ccaramelle svizzere e sciusciù.

Tutte chilli culure trasparente:
‘o nennillo, ‘a nennella, ‘o franfellicco…
E m’accatto na lengua e mnelicco
Pure si ‘a bancarella nun ce sta.

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