Zì Vicenza scappa di casa…

Zì Vicenza scappa di casa…

arco pace

arco pace

…da un po’ di giorni non accadeva nulla di nuovo, tutto sembrava passar via come l’olio. Sì la tv troppo alta, il cibo sciapo, ma niente di non risolvibile con un “jiétt’‘o bbeleno” o un “va fa ‘n Tripoli”. Una calma piatta sembrava essersi impadronita della vita dei due. Quando una sera zia Vincenza che dormiva nel lettone dei nonni, chiese a zio Catello “Catie’ ‘e mmolle s’hanne allargate, ll’he ‘a attacca’ ‘n’ata vota!”. La sorella di mia madre, da quando i nonni non c’erano più, dormiva nel letto matrimoniale della nonna; questo letto era composto da due reti affiancate, legate con dello spago fra loro, sul quale erano adagiati due materassi di lana per lato, la zia dormiva al centro. Per la cronaca zio Catello, fratello maggiore, dormiva nel proprio letto da una piazza e mezza, corredato di un materasso a molle che era il suo orgoglio di uomo moderno, quando indossava il pigiama a righe sembrava proprio l’omino della reclame. Nel tempo i due materassi del letto di zia Vincenza, per il cedimento dello spago, che spesso si scioglieva, tendevano ad allontanarsi lasciando uno scomodissimo spazio al centro che ogni mattina veniva colmato con faticosissimi spintoni. “Catie’ m’he capita?” chiese lei, “schiatte!” rispose lui. La tregua era terminata, i minuti di pace, temporanea, divennero: passo dopo passo, anatema dopo anatema, un remoto ricordo. I vicini li sentirono urlare fino alle undici circa, un’ora impensabile per loro due, data l’età avanzata. “Quacche vota ‘e cheste me ne vaco” sentenziò zia Vincenza, zio Catello che sentiva pochissimo ricevette poche sillabe di questa minaccia. Intorno alla mezzanotte, come tutte le tempeste, anche quella si placò. Tutte le mattine, da oltre sessant’anni, zio Catello si alzava dopo zia Vincenza, ella comunque fosse andata la serata precedente, gli preparava il caffè… Quella mattina, zio Catello si alzò e notò il letto disfatto, notò l’assenza della sorella; fece in breve qualche associazione logica e pensò “o’ Giesù chella ‘o vero se n’è jiuta?”. Stupito, impaurito, profondamente scosso, chiese aiuto ai vicini, poiché trattava troppo male la sorella, dovette subire qualche rimbrotto: “ma comme, chella Vicenza fa tanti sacrifici” …“pensa sempe prima a Catiello e po’ a essa, vide se è chella ‘a maniera d’‘a tratta’?” Telefonarono a mia madre. “Carmeli’, Vicenza se n’è jiuta d’‘a casa!” disse zio Catello mortificato com’era. Mamma, temendo chissà quale tragedia, svegliò mio padre e, insieme, nella 850 FIAT color ottanio, corsero in via Santa Caterina. Rusinella, li vide arrivare trafelati e, diede l’annuncio, mio zio disperato continuava a dire “Chella nun sape né leggere e né scrivere, addo’ va sula essa?”, e i vicini improvvisati giudici “mo’ se preoccupa, nun ‘nce puteva penza’ primma?!”. Mia madre, appena entrata nella grande camera soggiorno-letto, ebbe appena il tempo di dire “Si può sapere cosa è successo?”, quando udì un fortissimo russamento che proveniva da sotto il letto dei nonni. Papà, al tempo era ancora nel pieno delle sue energie, sollevò i materassi, sotto di essi ritrovarono zia Vincenza che durante la notte era caduta fra lo spazio al centro delle due reti, e non avendo la forza di venirne fuori, prese a dormirci sotto. “Carmeli’ che faje ccà? Fa ca Catiello nun se sente bbuono?”, disse la zia appena sveglia. Sembrava che si odiassero, ma non era così, lo sapevano tutti tranne loro due…

Corrado di Martino.

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