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‘O lavarone ‘ncopp”a Ferrovia

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Piazza Ferrovia

Piazza Ferrovia

Quello che sto per ricordare forse molti stabiesi l’hanno vissuto direttamente. Non era certamente un fatto eccezionale per Castellammare: ai miei tempi accadeva almeno un paio di volte l’anno. Poiché vivo da molto tempo lontano non so se le cose sono migliorate o meno.

Qualche volta accadeva dopo diversi giorni di pioggia; altre volte per degli improvvisi violenti temporali; questo “lavarone” stravolgeva la vita dei cittadini, specialmente quelli delle zone più interessate: il Cognulo e la Piazza della stazione delle FF.SS. La pioggia, dopo aver imbevuto ben bene il terreno alle falde della montagna e dei boschi di Quisisana, non trovando sulla sua strada delle adeguate canalizzazioni ed ostacoli, si riversava impetuosa nelle strade cittadine. Quando era interessato il Cognulo, questo torrente d’acqua, di pietre, di detriti vari, rami e radici d’alberi attraversava via Santa Caterina, si incanalava in quella specie di tunnel che portava in via Bonito, fermando la sua corsa contro il muro al di là del quale vi era la Capitaneria di Porto ed i silos. Lì poi ristagnava per qualche giorno coprendo la strada di un pericoloso strato di fango impossibile da attraversare a piedi. Riusciva soltanto a noi, ragazzi vivaci e audaci: ci toglievamo le scarpe, ed inzaccherandoci quei pochi indumenti che avevamo addosso, andavamo verso l’Acqua della Madonna o verso piazza dell’Orologio.
L’altra zona cittadina colpita sovente da questo fenomeno era la Piazza della Ferrovia. Qui la corsa del “lavarone” non trovava ostacoli e, con irruenza, venendo giù finiva direttamente a mare, travolgendo tutto ciò che trovava sulla sua strada. In una occasione ricordo che un uomo, travolto da tanta irruenza fu trascinato fin sulla spiaggia e poi in mare, con la tragica conseguenza di lasciarci la vita.
Nei giorni susseguenti a questi disastri gli abitanti della zona Ferrovia, e specialmente i negozianti, si davano un gran da fare con pale, badili, secchi per liberare almeno la parte prospiciente i loro negozi e dei portoni. Dopo pochi giorni la Piazza Ferrovia ritornava bella ed armoniosa.
Non soltanto quando si verificavano questi eccessi climatici, ma anche quando la pioggia arrivava improvvisamente, in casa Nocera scattava la mobilitazione, specialmente di mia mamma e mia. Per motivi di lavoro mio padre ogni mattina prendeva il treno delle FF.SS. per recarsi a Portici. Il ritorno avveniva verso le 6 del pomeriggio. Qualche volta partiva col bel tempo, e magari all’arrivo c’era pioggia. Quindi non era attrezzato per affrontare il maltempo. Bisognava quindi “recuperarlo” adeguatamente; allora io, dotato di ombrello (ed è inutile precisare che era l’unico esemplare che c’era in casa nostra), e con le galosce in una borsa mi recavo alla stazione. In attesa del treno sostavo accanto alle colonne stile pompeiano ammirando dall’alto quella bella Piazza. Proprio di fronte alla breve scalinata che portava all’interno della stazione, (se le ombre del tempo calate sulla mia memoria non alterano i dettagli) ricordo un bel giardino, con tante belle piante ed alberi. Per me rappresentava proprio il giardino dell’Eden in quanto di verde, a Santa Caterina, dove vivevo io, c’era soltanto quello delle tasche di quasi tutti i suoi abitanti! E non è una facile battuta se dico che in quella zona di alberi non c’era neanche l’ombra.
A questo punto credo di dover descrivere queste galosce, che penso pochi sanno cosa sono, anzi, cosa erano, visto che ora non si usano più. Erano praticamente delle soprascarpe di gomma nera, grossolane, senza stringhe e senza tacchi, si calzavano sopra le scarpe vere e proprie per proteggerle dalla pioggia e venivano usate soltanto dagli uomini.
Quando sentivo lo stridere dei freni del treno che arrivava mi avvicinavo all’uscita per farmi notare da mio padre. Io penso che lo sguardo dei genitori sia guidato dal radar dell’amore: difatti non capisco come facesse ad individuarmi fra tante persone, io che ero ancora piccolo di statura. Quindi mi dava un bacio, metteva le galosce e uno a fianco dell’altro ci incamminavamo verso casa dove mia mamma ci aspettava, premurosa, pronta ad asciugare i miei capelli nel caso si fossero bagnati.
Durante il tragitto mio padre “nu mme pigliava p’‘a manella”: con la sua mano cingeva le mie spalle e mi attirava a se. E così, fianco a fianco, per tutto il non breve tratto di strada da percorrere. Quel gesto tenero e affettuoso mi scaldava più del calore del suo cappotto. Ancora oggi, dopo quasi ottanta anni rivivo ancora le emozioni di quei momenti che non dimenticherò mai.

Gigi Nocera