Luigi D’Auria

(a cura del dott. Raffaele Scala)

Spett.le Redazione, mi ripresento con una nuova ricerca: la biografia di un piccolo grande uomo di Castellammare di Stabia, ancora un protagonista del Movimento Operaio Stabiese, stavolta della seconda metà del Novecento e recentemente scomparso. Attraverso questa piccola vita chi legge potrà ripercorrere la storia del nostro recente passato, cosa è stata la nostra città, quali erano i rapporti politici, cosa significava militare in un partito come quello comunista negli anni bui della cortina di ferro, l’epoca della celere, di Tambroni e di Scelba, degli arresti indiscriminati e della violenza politica. La sua fama non ha varcato i confini del circondario, ma di lui se n’è spesso occupata la stampa, perfino il settimanale l’Espresso, ma la storia non è fatta solo di grandi nomi e di grandi epopee, anzi, guai se fosse solo così. Sono le piccole storie di tanti sacrifici individuali, la militanza oscura di piccoli dirigenti di periferia che rendono grande un’idea, un’organizzazione, una società civile.
Io credo che i tantissimi che hanno conosciuto Luigi D’Auria, potranno, se vorranno, arricchire questa biografia con i loro ricordi, i suggerimenti, le correzioni, se ce ne saranno da fare. Ogni contributo sarà ben accetto e potrà essere inviato sulla mia mail personale, raffaele_scala@libero.it, oppure tramite la Redazione, che renderà pubblica questa lettera.
Ringraziandovi anticipatamente, Cordiali saluti, Raffaele Scala.

Vita di un comunista stabiese: Luigi D’Auria

Premessa
Luigi D’Auria, militante comunista dal 1944, dirigente della Camera del Lavoro di Castellammare di Stabia e del suo patronato, l’Inca e per molti anni consigliere comunale del PCI, scomparve il 21 marzo 2010. A suo modo D’Auria fu un protagonista della vita sociale e politica stabiese della seconda metà del ’900. Molti ancora lo ricordano, già vecchio e malato, diffondere il periodico di Rifondazione Comunista, Liberazione e successivamente quello dei Comunisti Italiani, Rinascita della Sinistra. Nei decenni precedenti era stato uno tra i più efficaci diffusori del quotidiano comunista, l’Unità (1).

La militanza nel Fronte della Gioventù
Figlio D’Ignazio, operaio dell’AVIS, militante comunista e attivista sindacale, e di Maria Romito, Luigi D’Auria nacque a Castellammare di Stabia il 16 luglio 1925, primo di sei figli.
Dopo la licenza elementare, fece le sue prime esperienze con alcuni lavori saltuari, poi, nel 1939, fu assunto come garzone nella Navalmeccanica, apprendendo il mestiere di carpentiere in ferro e montatore di scafi, con una paga di 67 centesimi l’ora. Nel 1942 partì come volontario per la guerra in qualità d’allievo motorista navale e assegnato a Pola, dove fu sorpreso dall’armistizio dell’8 settembre 1943. Pochi giorni dopo, il 12, nella caserma dove prestava servizio, irruppero i tedeschi facendo prigionieri tutti i militari, con l’intenzione di deportarli in Germania. Ammassati come bestie nei diversi vagoni, il treno fu bloccato a Pesina e attaccato da donne partigiane jugoslave guidate, sembra, dalla compagna di Tito, Davorjonka Pannovic, detta Zdenka, consentendo la fuga dei prigionieri. Con mezzi di fortuna, ma camminando quasi sempre a piedi, con pochi altri compagni di ventura, il giovane D’Auria riuscì finalmente a raggiungere Castellammare il 24 settembre. Appena arrivato sfuggì ad un rastrellamento operato dai tedeschi grazie alla prontezza di spirito di una ragazza che lo prese sottobraccio, allontanandolo dal pericolo. Nei giorni successivi, fino a quando i tedeschi non lasciarono la città, visse nascosto in casa di una zia.
Nella primavera 1944 andò a lavorare come motorista nello stabilimento AVIS, ancora militarizzato dagli inglesi, e gestito da un ufficiale della R.A.F, rimanendovi circa un anno e mezzo, fino a quando le forze alleate non andarono via, nel gennaio 1946. Licenziato, trovò un nuovo lavoro per circa sei mesi presso la Calce e Cementi, dove fu assunto come manovale. Costretto a lasciare anche quest’ultima occupazione a seguito di una lite con un compagno di lavoro, rimase disoccupato per lungo tempo.
Iscrittosi al PCI verso la fine del 1944 nella sezione Spartaco, la cui sede fu aperta, fin dall’immediato dopoguerra, al Corso Vittorio Emanuele, presso la Lega Pastai e Mugnai, il giovane D’Auria dimostrò subito un carattere esuberante, come dimostrano la serie di episodi che di seguito raccontiamo, tutti accaduti tra il 1945 e il 1948. La successione in alcuni casi è casuale, forse non corrispondente alle date trascritte, in quanto raccontati cinquanta anni dopo dallo stesso protagonista all’autore. In molti casi i racconti hanno trovato regolare riscontro in articoli di stampa dell’epoca, di cui daremo debitamente conto, o nei ricordi di altri militanti comunisti che hanno vissuto le stesse esperienze e le cui testimonianze furono raccolte da chi scrive nella seconda metà degli anni Novanta, in occasione di una ricerca sulla storia del movimento operaio stabiese, poi parzialmente pubblicata a puntate sul periodico Metropolis ed infine in volume nel 2009.
Nel 1945, con un nucleo del costituito Fronte della Gioventù (all’epoca movimento giovanile di sinistra che raccoglieva i militanti socialisti e comunisti, fondato da Eugenio Curiel nel gennaio 1944 a Milano), tra cui si ricordano l’operaio dei CMI, Davide Coda, Luigi Longobardi, Enzo Bisogno, Mario Longobardi e Raul Filoni, occupò l’ampia ex sede del Fascio, utilizzandola per la propria attività politica e sportiva. Nel 1947 la Camera del Lavoro, lasciando la sua prima, piccola, scomoda sede in Piazza Ferrovia, si appropriò di una parte preponderante della sede del Fascio, più rispondente alle molteplici esigenze dell’organizzazione sindacale guidata da Mario Arcangiolo. Entrambe le associazioni furono sfrattate nel 1952, a seguito di alcuni crolli nel Centro Antico, e il sindaco comunista, Pasquale Cecchi, requisì alcuni alloggi, compresa la Casa del Fascio per ospitare i senzatetto. Ancora una volta costretta a fare le valige, la Camera del Lavoro si trasferirà al Corso Vittorio Emanuele, 42.
Risale al 1947 la prima di una lunga serie di denunce penali per motivi politici conquistate dal giovane D’Auria. In quei primi anni dell’immediato dopoguerra, quando forte era la paura di una possibile conquista del potere da parte del Partito Comunista e nel gelo della rottura verificatosi tra Unione Sovietica e Stati Uniti, la contrapposizione in Italia tra gli opposti schieramenti toccò punte di puro parossismo. E, infatti, Luigi D’Auria si trovò a pagare il prezzo della follia, che agitava quel periodo, subendo la sua prima denuncia, da parte di un maresciallo dei carabinieri in servizio alla Corderia, perché diffondeva l’Unità, organo del PCI, davanti all’ingresso dell’antico opificio. Fu condannato a sei mesi con la condizionale.
In quella caotica e bollente fase di contrapposizione dura, in seguito ad alcuni, gravi incidenti accaduti a Milano nei primi giorni di novembre, a Castellammare, come in tante altre parti d’Italia, fu decisa di indire una manifestazione di protesta con comizio a Piazza Municipio, poi degenerata nell’assalto e devastazione della sede del Movimento Sociale Italiano (2). Sull’onda di questa protesta e dei conseguenti disordini, l’irrequieto Luigi D’Auria con i soliti compagni di fede, Raul Filoni, Mario e Luigi Longobardi ed altri preferirono dirottare la loro attenzione verso la sede dell’Uomo Qualunque, occupandola e decidendo di trasformarla in una propria sede per diversi mesi, fino ai primi giorni di gennaio del 1948. La sezione stabiese dell’Uomo Qualunque, situata al Corso Vittorio Emanuele 57 era stata fondata da Francesco Saverio D’Orsi, futuro notaio e sindaco democristiano della città dal 1962 in poi. Il giovane militante, proveniente dall’Azione Cattolica, nonché segretario della sezione qualunquista, si trovava nella sede, quando questa fu occupata. Naturalmente non oppose resistenza, in qualche modo riuscì a fuggire e non si fece più vedere, neanche quando la sede fu definitivamente abbandonata dai terribili ragazzi del Fronte della Gioventù.
In quello stesso periodo ci fu all’interno del Movimento Sociale Italiano locale una scissione guidata dal dentista Padula, assumendo la leadership di un nuovo gruppo denominato, Veri fascisti, la cui sede era posta nel suo studio di via Regina Margherita nell’ex Villa Rosa, adiacente alla stazione della Circumvesuviana. Ancora una volta la mente fervida di Luigi e del suo gruppo ne ideò un’altra delle sue riuscendo ad infiltrare due giovani comunisti nel gruppo neofascista, Mario Longobardi e Carlo Iezza con l’incarico di trafugare l’elenco degli iscritti. Riusciti ad impossessarsi della lista completa, i due passarono i fogli a Luigi D’Auria. Carlo Obici, responsabile organizzativo della Federazione provinciale comunista, venuto a conoscenza dell’esistenza di questo elenco se lo fece dare, portandolo con se a Napoli e consegnandolo a Salvatore Cacciapuoti, potente e temibile Segretario provinciale del PCI. S’ignora l’uso che ne fece.
Come se non fosse già ricca di eventi la vita della sezione, questo nucleo di giovani rivoluzionari, il cui sogno era di abbattere quel potere democristiano appena instaurato e ignorando quando a lungo sarebbe durato, fondò il circolo Don Basilio, riprendendolo da un settimanale satirico anticlericale e antidemocristiano, molto diffuso tra il 1945 e il 1950, raccogliendo diverse denunce, fino a ricevere la scomunica dal Vaticano (3).
La notte di un undici febbraio, anniversario dei patti lateranensi, firmato nel 1929 tra Vaticano e fascismo, questi giovani goliardici, muniti di secchi pieni di calce bianca, riempirono i muri della città con scritte anticlericali provocando grande scalpore il giorno dopo e anche quelli successivi. Si aprì una denuncia contro ignoti e l’apertura di un’inchiesta. Il commissario di polizia, Bianchi, uomo di provata fede antifascista, fece sapere a Luigi di essere fortemente sospettato dell’azione con i suoi soliti compagni d’avventura. Era quindi opportuno cambiare aria per qualche tempo, perché contro di loro vi era una denuncia per vilipendio alla religione e verso un capo di stato straniero.
Il gruppo dei quattro sospettati ed effettivi autori – Luigi D’Auria, Mario e Luigi Longobardi e Pasquale Di Nuzzo – non si fece ripetere l’invito due volte e si diede latitante per due settimane, trovando rifugio in Agerola. Correva l’anno 1946 (o forse era il 1947, il protagonista che ha rilasciato questa testimonianza non lo ricorda).
Venne l’inaugurazione del tratto ferroviario della Circumvesuviana, Castellammare di Stabia Sorrento il 6 gennaio 1948 e per l’occasione a tenere a battesimo questo importante tronco venne il Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi. La notte precedente il suo arrivo, Luigi, Franco Salza ed altri, con manifesti e la solita calce bianca cominciarono a tappezzare i muri della città e in particolare la stazione delle terme, appena completata, e prima tappa del nuovo percorso ferroviario. Nel mentre questo avveniva si svegliò il custode della stazione e resosi conto di quanto stava avvenendo chiamò la polizia, mettendo in fuga i goliardici del Fronte della Gioventù. Avvertiti, nella notte si mobilitarono anche i militanti dell’Associazione cattolica, facendo del loro meglio per eliminare le tracce dalle scritte sovversive contro il Presidente del Consiglio. Quando la mattina dopo il treno della Circumvesuviana, con a bordo Alcide De Gasperi, si fermò nella stazione di Castellammare, a dargli il benvenuto trovò una manifestazione di protesta di centinaia di militanti di sinistra, a maggioranza donne, che inveirono contro il governo e la sua politica. Secondo alcuni, pare che in quell’occasione confidasse ad uno stretto collaboratore tutto il suo dissenso, fino a pronunciare la frase fatidica, “Non metterò più piede a Castellammare”, emulando, forse senza saperlo, un suo illustre predecessore quando venne, nel settembre 1924, in visita ai cantieri navali e se ne ripartì immediatamente senza farvi più ritorno, offeso dal gelido silenzio con il quale fu accolto dalle maestranze.
Il 19 marzo 1948 si doveva tenere a Castellammare una manifestazione elettorale della Democrazia Cristiana nell’ambito delle elezioni politiche del 18 aprile. In città, provenienti da tutta la regione, affluirono torpedoni e camion carichi di simpatizzanti e militanti democristiani. Molti per arrivare a Piazza Municipio, passavano per il Corso Garibaldi, dov’era la sede del PCI e davanti alla quale, in quel momento sostava Luigi D’Auria. Questi a mo di scherno sventolò il suo fazzoletto rosso davanti ad un gruppo di democristiani che si avviava a piedi verso la Piazza dove doveva tenersi il comizio di Silvio Gava. Alla provocazione, i democristiani risposero prendendo di peso D’Auria e trascinandolo con loro verso la piazza, dove nel frattempo erano confluiti decine di comunisti. Lo scontro fu inevitabile e la rissa gigantesca. Le forze dell’ordine intervennero massicciamente sparando anche colpi in aria ma soltanto verso sera fu ristabilito l’ordine dalla famigerata celere.
Questa è la versione come la ricorda il protagonista, stando alla cronaca giornalistica è leggermente diversa: secondo il cronista della Voce, davanti alla sezione comunista vi erano diversi militanti che scambiavano reciproche pesanti battute con i simpatizzanti democristiani, man mano che questi passavano a piedi o in camion sul lungomare dov’era la sede del PCI. Ad un certo momento i comunisti si raccolsero in corteo, ingrossandosi man mano che si avvicinavano verso la piazza già gremita di democristiani, ma trovarono ad attenderli un cordone di militi disposti in assetto antiguerriglia. La tensione era altissima quando intervenne Giovanni D’Auria, il segretario cittadino del PCI, un protagonista del movimento operaio stabiese fin dal 1919. Il segretario tentò di convincere l’avvocato Gava a rinviare la manifestazione perché la tensione era molto alta ed erano possibili gravi incidenti, ma l’esponente democristiano non volle sentire ragioni e le conseguenze non si fecero attendere. I tumulti esplosero violenti e irrefrenabili, con i militi impossibilitati a riportare l’ordine, nonostante le cariche violenti contro chiunque si parasse loro davanti, senza distinguere tra colpevoli ed innocenti (4). Ci furono diversi feriti e seguirono numerosi arresti, tra cui Luigi D’Auria, Vincenzo Somma, Orlando Onorato, Giovanni Del Vasto, Antonio Martinelli, Vincenzo Verdoliva e Fortunato De Angelis, tutti con l’accusa di aver tentato di impedire con la violenza e con le minacce una riunione di propaganda elettorale. Chiamati in giudizio, la causa si tenne il 27 luglio 1949, ma finì con un nulla di fatto. Solo 11 giorni prima, il 16 luglio, Luigi si era sposato con Anna Faricelli, con rito civile.
Quella campagna elettorale fu combattuta senza esclusioni di colpi. D’Auria ricorda un comizio organizzato ad Agerola dal PCI stabiese. Vi arrivarono con un camion utilizzato anche come palco per gli oratori, ma non vi si avvicinò un solo cittadino, solo uno strano silenzio regnava nell’aria, rotto dal suono lugubre delle campane. Rassegnati i comunisti stabiesi fecero un mesto ritorno a casa ma, appena usciti dal tunnel furono accolti da una fitta sassaiola, colpendo in modo serio diversi militanti in piedi sul cassone del camion. In particolare rimase ferito lo stesso D’Auria, colpito alla testa e dalla quale perdeva vistosamente sangue. Fu costretto a ricorrere alle cure dell’ospedale San Leonardo, allora sito in Piazza Municipio, in un antico edificio, troppo frettolosamente e colpevolmente abbattuto e al posto del quale, oggi, vi è un brutto e moderno grattacielo. Quando ne uscì, fu invitato a salire sul palco da Pietro Adinolfi (1884 – 1965), socialista di antiche tradizioni riformiste, candidato al Senato nel collegio stabiese e tra i pochi risultati eletti, il quale stava tenendo un comizio proprio in quella piazza. Nell’invitarlo, Adinolfi lo additò come mirabile esempio di dedizione alla fede comunista.
La sconfitta del 18 aprile 1948 fu bruciante e in troppi non riuscivano a digerirla. Per dimenticare, Luigi e alcuni del suo gruppo, tra cui Raul Filoni, organizzarono una gita a Bomerano, qui entrarono in una sala dopolavoristica dove videro affisso un ritratto del re Vittorio Emanuele III. Senza perdersi d’animo, Luigi issò sulle proprie spalle Raul consentendogli di staccare il quadro e portarselo via, tra l’incredulità dei presenti. Inseguiti da un folto gruppo di democristiani, riuscirono a far perdere le proprie tracce. Ci fu una denuncia contro ignoti.
Ad accendere l’incendio ci pensò un colpo di pistola, sparato il 14 luglio da Pallante contro il Segretario Generale del PCI, Palmiro Togliatti (1893 – 1964), all’uscita di Montecitorio. La notizia arrivò all’improvviso, nel pomeriggio, si diffuse tra la gente, entrò nelle fabbriche e gli operai comunisti lasciarono precipitosamente i reparti e le officine affluendo in Piazza Municipio, dove tentarono di assalire la sede della Democrazia Cristiana. Non riuscendovi scaricarono l’ira assalendo la caserma degli agenti di Pubblica sicurezza e aggredendo quanti venivano incontrati per strada, come capitò agli agenti Bianco e Ferreri, entrambi aggrediti e percossi. In loro soccorso venne l’agente Paolo Spena ma fu a sua volta sopraffatto. Alcuni, capeggiati dallo stesso D’Auria, corsero verso i cantieri navali per tentare di impossessarsi di un cacciatorpediniere ormeggiato nella rada, ma si rivelò impossibile entrare e furono costretti a rinunciare. Per evitare ulteriori inconvenienti, la nave da guerra si allontanò verso il largo. L’assalto fu tentato anche contro la caserma della marina militare dove la celere si difese sparando e facendo addirittura uso delle bombe a mano, provocando numerosi feriti tra cui un ragazzo di dodici anni, Salvatore Esposito (5).
La notte portò un po’ di quiete ma il giorno dopo la guerriglia riprese con la folla che invase le sedi del Partito Socialista Lavoratori Italiani, del Partito Liberale, del Circolo Artistico e del Circolo Nautico, distruggendo gran parte dell’arredamento e degli infissi. Altri, tra cui lo stesso D’Auria, assalivano e distruggevano la sede della Democrazia Cristiana di Scanzano, fino ad appiccarvi il fuoco. Un vento di follia si era impossessato dei comunisti stabiesi, ma di peggio accadeva in altre parti d’Italia, con decine di morti e feriti. A tentare di calmare le acque venne a Castellammare Pietro Secchia (1903 – 1973) e lo fece ricordando le parole del “Migliore”, pronunciate subito dopo il ferimento, “State calmi, non perdete la testa”. Gli operai si calmarono e il 17 luglio ripresero il lavoro, come se nulla fosse accaduto. Passarono pochi giorni, poi le maglie della legge si mossero e scattarono le denunce e gli arresti. Si aprì un procedimento contro 37 più ignoti (6). Al momento del processo alcuni imputati si trovarono in carcere, altri erano riusciti a rendersi latitanti, tra questi Luigi D’Auria e Raul Filoni. Su ordine di Salvatore Cacciapuoti si rifugiarono a Pozzuoli, trovando rifugio presso la colonia dell’Unione Donne Italiane, poi ad Avellino in una casa rurale, in aperta campagna. Qui il giovane Raul fu preso da una crisi di nervi e per non lasciarlo solo, Luigi decise di rientrare con il primo treno per Castellammare, senza neanche avere il tempo di avvertire la Federazione. Nella città natia trovarono rifugio, ora in casa di compagni, ora di parenti ed amici. Infine Luigi, dopo alcuni giorni trascorsi in casa di una zia, si rifugiò presso la famiglia della fidanzata, poi sua futura moglie, Anna Faricelli, trascorrendovi il resto della latitanza. Il processo si finirà nell’estate 1949 con una condanna di 11 mesi di reclusione, con la condizionale.

La militanza sindacale nella CGIL e lotte operaie
Riavuta la possibilità di muoversi liberamente, Luigi D’Auria divenne diffusore dell’Unità, fino ad assumere l’incarico di Responsabile della diffusione stampa della Zona per il Partito. All’inizio degli anni ’50 assunse l’incarico di “Costruttore” del Partito”, con uno stipendio di 15mila lire il mese, fino a, quando, nel 1956 Silvano Levrero, Segretario Generale della Camera del Lavoro provinciale di Napoli, gli offrì di entrare nel sindacato, con un incarico di direzione nella categoria degli alimentaristi. Vi rimase fino a giugno 1957 quando fu trasferito all’INCA, il patronato della CGIL con il ruolo di vice del socialista Michele Vollono, Responsabile zonale di Castellammare. Dopo Michele Vollono, a guidare l’Inca zonale furono chiamati Giacomo Sulvi, poi Livio Facelgi, infine, nel 1960 venne il suo turno. Luigi mantenne l’incarico di Responsabile dell’Inca zonale fino al 1982, quando andò in pensione.
Verso la fine di ottobre del 1949, ad incrociare le braccia contro la decisione aziendale di ridurre l’orario di lavoro da 48 a 40, con pari riduzione della paga, furono gli operai dei CMI guidati dal Segretario della Commissione Interna, Agostino Nassi. La lotta s’inasprì fino ad arrivare all’occupazione della fabbrica, durata fino al 6 gennaio 1950. Durante l’intero periodo furono indette manifestazioni, scioperi, convegni, incontri con le forze politiche e sociali e finanche piccole feste per tenere su di morale gli operai occupanti. Si mobilitarono anche i giovani comunisti promuovendo sottoscrizioni in denaro e viveri, portando in questo modo la loro solidarietà ai lavoratori in lotta. Chi faceva campagna contro, fu il Giornale, quotidiano romano le cui pubblicazioni erano iniziate nel 1946, attraverso la pagina napoletana su cui scriveva il professor Catello Izzo. Questo, ferocemente anticomunista, con lo pseudonimo di PIC lanciava i suoi strali contro i sobillatori rossi e in particolare scriveva contro gli “agit prop”, agitatori e propagandisti del PCI. In particolare l’articolista si scagliò contro l’operaio dei CMI e attivo militante del PCI, Ignazio D’Auria, padre di Luigi, la cui passione politica non era da meno del figlio, fino a provocarne, pare, il licenziamento (7).
Il 1953 fu l’anno che segnò il secondo arresto di Luigi D’Auria, a seguito della manifestazione politica tenuta nella sera del 29 marzo contro la Legge truffa, cui seguirono disordini e cariche della polizia con 13 fermati. Per quel giorno la CGIL aveva proclamato lo sciopero generale, ma a Castellammare non vi era stata una grande partecipazione, in compenso la sera stessa era stato improvvisato un corteo senza autorizzazione da parte delle forze politiche di sinistra, provocando l’intervento del commissariato di pubblica sicurezza e della stessa celere. In 13 furono portati in commissariato e i fermi furono trasformati in arresti, anche se tre giorni dopo tutti poterono tornare a casa.
Un anno dopo seguì il terzo arresto: nel giugno del 1954 era giunto a Napoli il simbolo dell’imperialismo americano, la sua faccia guerrafondaia, il comandante delle forze NATO, Matthew Ridgway (1895 – 1993), il Generale Peste, come lo chiamavano i comunisti, per avere comandato la fase più acuta della guerra di Corea e distintosi per le atrocità e i massacri compiuti. In tutta Italia ci furono manifestazioni di protesta, accompagnate da disordini e arresti e Castellammare non era da meno. Anche nella Stalingrado del sud, contro la sua presenza fu indetta una manifestazione di protesta, il corteo attraversò le principali strade cittadine, fino ad arrivare in via Santa Caterina, dove furono accerchiati e caricati dalla celere. Il corteo tentò di disperdersi nei vicoli del Centro Antico e nelle stradine che portavano verso la collina. Intanto sui muri cittadini erano stati attaccati manifesti e adesivi, senza preventiva autorizzazione, a favore della pace. Gli autori del reato erano Luigi D’Auria e Luigi Longobardi e per questo furono denunciati, arrestati e condannati a cinque giorni di prigione da scontare nel carcere mandamentale cittadino.
Il carcere era ormai diventata una seconda casa per Luigi D’Auria, infatti, nei primi giorni di dicembre del 1955 ci fu una manifestazione di disoccupati, circa un migliaio, davanti al municipio per ottenere il pacco natalizio, consistente in viveri, dall’amministrazione comunale. L’intervento della polizia e la reazione della polizia provocarono ancora una volta denunce ed arresti contro i presunti responsabili degli avvenimenti. Tra questi furono individuati Luigi D’Auria, Michele Vollono e Liberato De Filippo, Segretario della Camera del Lavoro, denunciati per istigazione alla disobbedienza delle leggi vigenti e rinchiusi a Poggioreale (8). Difesi dall’avvocato socialista, Pietro Adinolfi, Vollono e D’Auria uscirono dopo quasi due settimane di detenzione, assolti per insufficienza di prove, mentre De Filippo, difeso dall’avvocato Giuseppe D’Alessandro, scontò per intero i 15 giorni di condanna. Durante la carcerazione, vissuta come detenuti politici e in quanto tali obbligati a passeggiare da soli, lontano dagli altri detenuti comuni, con i quali non dovevano assolutamente prendere contatti, i tre si erano comunque attirati la simpatia di un guappo, il gragnanese Matteo Sorrentino, braccio destro del più celebre Catello di Somma, che fece loro pervenire diversi pacchi di vivere in segno di solidarietà con la loro vicenda.
Se la cavò meglio nel 1957, quando in maggio cominciò l’agitazione degli operai dei CMI contro la procedura di licenziamento di 300 dipendenti. L’inutilità di scioperi, proteste e incontri ministeriali per risolvere la difficile vertenza, portò il 15 luglio i dipendenti della gloriosa fabbrica metalmeccanica all’occupazione dello stabilimento. Furono settimane terribili, con manifestazioni interne ed esterne alla fabbrica. Uno di questi cortei vide alla sua testa, neanche a dirlo, Luigi D’Auria e Umberto Bardiglia, un sindacalista della Commissione Interna dell’AVIS. Denunciati furono entrambi condannati il 12 agosto 1958 a pagare un’ammenda di mille lire ciascuno, “Per avere organizzato e inscenato un corteo per protestare contro i minacciati licenziamenti dei CMI”.
Candidato nelle liste del PCI, il 6 novembre 1960 fu eletto consigliere comunale e riconfermato anche nelle successive tre consiliature del 1962, 1966 e 1967.
Dal 15 giugno 1960 in tutto il Paese si susseguivano manifestazioni di protesta contro il governo di Ferdinando Tambroni (1901 – 1963) accusato di aver permesso al Movimento Sociale Italiano di tenere il suo Congresso a Genova, città medaglia d’oro per la Resistenza. Il clima si era surriscaldato quando il 25 la polizia aveva caricato, senza motivo, un corteo di protesta di giovani antifascisti e la Camera del Lavoro aveva risposto alla provocazione proclamando lo sciopero generale per il giorno 30. In segno di solidarietà, altre decine di città, in tutta Italia, facevano altrettanto. Nella tarda serata del 29 giugno Luigi D’Auria era nella sede della Camera del Lavoro, al Corso Vittorio Emanuele, 37, intento al suo lavoro all’INCA, quando improvvisamente, senza alcun preavviso, si presentò Abdon Alinovi, Segretario della Federazione provinciale del PCI. Gli spiegò, senza perifrasi, l’assoluta necessità della partecipazione di Castellammare allo sciopero proclamato anche in altre decine di città contro la provocazione fascista del governo Tambroni. La città doveva essere paralizzata, far sentire il suo peso. Castellammare, la Stalingrado del sud, non poteva rimanere fuori. Non si poteva dire di no al potente e carismatico segretario comunista, ma erano già le dieci di sera. Luigi si mise a telefono, svegliò il Segretario della Camera del Lavoro, i segretari delle diverse categorie, i responsabili delle maggiori fabbriche metalmeccaniche, i dirigenti del Partiti di sinistra. Il tam tam delle telefonate s’intrecciò tra loro, si bussò alle porte di decine di militanti, tutti quelli che avevano capacità d’aggregazione furono coinvolti e il mattino dopo il risultato fu visibile agli occhi di tutti: le fabbriche erano vuote e le strade e le piazze erano gremite di lavoratori, forse uno dei migliori e dei più riusciti tra quelli organizzati dalla Camera del Lavoro stabiese. L’8 luglio la CGIL proclamò lo sciopero generale nazionale e il 19, travolto dalla protesta popolare, Tambroni fu costretto a dimettersi scomparendo dalla scena politica.
Il quinto arresto di Luigi D’Auria avverrà nel 1961. Il 31 marzo, un venerdì, era stata una giornata di lotta a Castellammare di Stabia come a Pomigliano D’Arco, all’insegna di richieste salariali, nonostante fosse l’antivigilia di Pasqua. A Pomigliano ci furono incidenti gravissimi, con cariche della polizia, colpi d’arma da fuoco sparati in aria e lancio di bombe lacrimogene. Ci furono nove fermi, rilasciati soltanto grazie alla pressione della folla. A Castellammare a scendere in piazza furono i dipendenti dell’AVIS e un agguerrito gruppo di disoccupati, quando all’improvviso avvennero gli scontri. Tra gli altri fu violentemente aggredito e picchiato da un gruppo di agenti il disoccupato Catello D’Auria, fratello di Luigi, e costretto a ricorrere alle cure dell’ospedale (9). In segno di solidarietà andarono a fargli visita il sindaco Eugenio Postiglione, il suo vice Michele Vollono, il consigliere provinciale Liberato De Filippo e l’assessore Vincenzo Somma. Le organizzazioni sindacali unitarie provinciali proclamarono in segno di protesta contro la furibonda reazione poliziesca due ore di sciopero con comizio a Piazza Cavour. A Castellammare le forze politiche di sinistra, comuniste, socialiste e radicali, con le rispettive organizzazioni giovanili, affissero un manifesto in cui si condannavano le misure repressive della polizia, mentre la Camera del Lavoro invitava a sua volta la cittadinanza a portare la propria solidarietà ai lavoratori in lotta e a partecipare allo sciopero provinciale.
Nel cuore della notte, intorno alle tre del mattino del 16 aprile, furono improvvisamente arrestati nelle proprie case, il consigliere comunale e provinciale, nonché segretario cittadino del PCI, Liberato De Filippo, Luigi D’Auria, il fratello Catello e Vincenzo Imparato, operaio dell’AVIS e portati nel carcere di Poggioreale
Per avere, (A) in concorso tra loro e con molti altri rimasti ignoti, al fine di impedire ed ostacolare la libera circolazione, ostruito ed ingombrato, formando barriera umana, nonché mediante il fermo di autoveicoli, la Piazza Principe Umberto di Castellammare di Stabia e le vie radiali della piazza stessa, (B) per avere partecipato ed una radunata sediziosa formata da alcune migliaia di persone che manifestarono con atti di ostilità e di rivolta (grida, fischi, urla minacce) contro la pubblica autorità in guisa di turbare l’ordine pubblico e la stessa stabilità delle funzioni degli organi statali, con l’aggravante in ordine ai reati con l’accusa di blocco stradale, interruzione del traffico, adunata sediziosa, oltraggio e resistenza alla forza pubblica. Con l’aggravante a carico di D’Auria Catello, D’Auria Luigi e Liberato De Filippo per avere essi promosso, organizzato e diretto l’attività dei partecipanti ai detti reati (10).
La Camera del Lavoro reagì proclamando lo sciopero generale cittadino per il giorno 17 e la partecipazione si rivelò imponente con una manifestazione che si tenne in Piazza Municipio. Gli arrestati furono rilasciati il 3 maggio.
Seguirono alcuni anni di relativa tranquillità, con Luigi impegnato nella sua duplice veste di sindacalista della CGIL e di consigliere comunale: mozioni, ordini del giorno, interventi, poi la nuova denuncia con Eustachio Massa e il giovane Matteo Cosenza – figlio di Saul, operaio dei cantieri navali, antifascista, Segretario cittadino del PCI, figura mitica del movimento operaio stabiese – imputati “per avere partecipato ad una radunata sediziosa” il 2 gennaio 1969. Fu difeso dall’avvocato Giuseppe Ricolo.
Per dimenticare i guai giudiziari, invitato dal Partito Operaio, partì in luglio per la Polonia, non senza aver superato non pochi problemi di ordine burocratico. Infatti, si trovarono difficoltà nel rilasciargli il passaporto a seguito degli eccessivi carichi pendenti, superati soltanto grazie all’intervento del Commissario di polizia, Davide Baccari.
Pochi mesi di tranquillità, il 25 marzo 1970 si ritrovò per l’ennesima volta rinviato a giudizio e sospeso per sette mesi dalla carica di consigliere comunale, con Raffaele Massa, con l’accusa di aver partecipato ad una manifestazione di protesta di fruttivendoli avvenuta il 4 dicembre 1967. D’Auria reagì come sapeva fare, violando l’ordine di sospensione, presentandosi in consiglio comunale il 22 ottobre rivendicando il diritto a partecipare alla vita politica della città, ma quando chiese la parola gli fu negata da Roberto Gava che presiedeva la seduta. In segno di protesta Liberato De Filippo annunciò l’abbandono del gruppo comunista dall’aula consiliare, seguito dal PSIUP e dal PSU. Rimasero in aula venti consiglieri e la seduta fu sciolta per mancanza di numero legale. Prima di sciogliersi fu, però approvato un ordine del giorno proposto da Gava in cui si avvertiva la necessità di segnalare al Segretario Generale la necessità di trasmettere gli atti relativi alla seduta del consiglio comunale all’autorità giudiziaria per accertare l’esistenza di eventuali reati commessi dal D’Auria con la sua pretesa di partecipare al consiglio comunale. Luigi si ripresentò di nuovo il 26, stavolta in compagnia di Raffaele Massa, quando ci fu una nuova seduta del consiglio. Ancora una volta Gava propose un ordine del giorno, ma stavolta di solidarietà a favore dei due consiglieri sospesi e votato all’unanimità. Il 28 novembre la Gazzetta Ufficiale pubblicava la legge 852 con la quale si vietava la sospensione di consiglieri comunali in caso di procedimenti penali. Il 29 dicembre, giorno della causa, i due imputati furono prosciolti per avvenuta amnistia.
Il 17 febbraio 1971 ci fu una grande manifestazione unitaria contro le voci di un presunto tentativo di colpo di stato guidato dal Fronte Nazionale di Julio Valerio Borghese. La preoccupazione di un nuovo fascismo era forte nel paese e in particolare nella sinistra, A Castellammare si costituì un Comitato antifascista composto dai rappresentanti di tutte le forze dell’arco costituzionale e si preparò una grande manifestazione popolare per il 25 aprile. Il giornale dei giovani comunisti di Castellammare, Nuova Iskra, lanciava continui allarmi contro il pericolo fascista. La tensione era alta e l’intolleranza ai limiti della legalità, gli scontri tra i giovani militanti delle due ali estreme dello schieramento politico venivano continuamente sfiorati, ma senza concretizzarsi, fino a quando non si ruppero gli argini e una notte la rissa scoppiò tra le due opposte fazioni. Infine si decise di alzare il livello dello scontro e il 25 maggio 1971 partì la spedizione punitiva, con una ventina di militanti comunisti decisi a fare giustizia delle continue provocazioni da parte dei neofascisti: si diressero in Villa comunale distruggendo con una mazza di ferro la bacheca del MSI. Con la stessa mazza danneggiarono l’auto del maresciallo Aldo D’Avino e ferendo Liborio D’Avino, procurandogli varie lesioni. Non contenti si diressero verso la sezione missina, arrivando a sfondare la porta d’ingresso e distruggendo l’intero arredamento della sede. Completarono l’opera picchiando Bruno Ricci. Per tutti questi reati furono in tre a ritrovarsi denunciati, il solito Luigi D’Auria, con Matteo Cosenza e il poliedrico Mario Manganiello.
Anno difficile quel 1971, con una disoccupazione terribile, oltre 4mila iscritti nelle liste del collocamento, e per niente disponibile a subire passivamente gli eventi: in aprile ci fu l’occupazione del comune da parte di gruppi organizzati, chiedendo l’immediata apertura di cantieri scuola, ritornarono in luglio, ma stavolta ci fu l’intervento della polizia con nove fermati e citati in giudizio, infine la guerriglia urbana del 3 novembre. Due giorni di follia con cariche della polizia, bombe lacrimogene, lanci di acqua gelata sui rivoltosi, gimcane della celere, feriti, arresti, con giornali di tutta Italia e reportage della televisione che accesero i riflettori su una terribile situazione di miseria e speculazione. In quei terribili frangenti Luigi D’Auria e Saul Cosenza tentarono di trovare una labile mediazione con il vice questore, convincendolo a far allontanare la polizia, unica soluzione per riportare la situazione sotto controllo. Ma mentre la mediazione era in corso, il lancio improvviso di bombe carte da parte di extraparlamentari provocò un nuovo immediato intervento dei militi e la fine di ogni ulteriore discussione. Passata la tempesta, scattarono le denunce con 65 denunce per adunata sediziosa, 10 fermi e 7 mandati di cattura (11).

Lettere all’Unità
Irriducibile comunista, fedele ai principi della rivoluzione russa, cossuttiano di ferro, Luigi D’Auria non si arrendeva all’evidenza del fallimento dell’utopia marxista. Ai figli aveva imposto i nomi di Vladimiro, Ivana e Sonia, nel calcio tifava per l’Unione Sovietica, anche quando questa giocava contro la nazionale azzurra, abbonato ad una rivista della Germania comunista pubblicata in italiano, ne era anche un fervente diffusore. Così quando il settimanale Panorama pubblicò, con il numero del 1° marzo 1982, un articolo intitolato, Tutti gli uomini di Breznev, sembrò la cosa più naturale del mondo che il suo fosse l’unico nome campano a comparire nell’elenco degli irriducibili.
“E’ uno dei fondatori del PCI in provincia di Napoli. Settantacinquenne, D’Auria è una figura molto popolare in Campania”, scriveva l’articolista, Matteo Spina, chiudendo il servizio proprio con il suo nome. Polemista di natura, Luigi non si lasciò sfuggire l’occasione di una replica immediata, scrivendo, naturalmente, una lettera all’Unità, pubblicata il 12:
Cara Unità, esamina l’opportunità di pubblicare questa mia precisazione a Panorama. Egregio Direttore del settimanale Panorama, prego di pubblicare la seguente precisazione in merito all’articolo pubblicato sul n. 827/828 – 1 marzo 1982, dal titolo Tutti gli uomini di Breznev. Mi chiamo Luigi D’Auria, non ho 75 anni essendo nato il 16.7.1925, non sono uno dei fondatori del PCI in provincia di Napoli in quanto mi sono iscritto al PCI nel 1944 e poi non avrei avuto la capacità di essere uno dei fondatori, non sono una figura molto popolare del partito in Campania, dato che la mia attività di sacrifici e di lotta l’ho svolta a Castellammare, in provincia di Napoli, e al di fuori di questa federazione i compagni non mi conoscono proprio. Inoltre preciso che non mi ritengo uomo né di Breznev né di qualsiasi altro compagno, sono un comunista italiano, amico sincero dei compagni che hanno realizzato con grandi sacrifici e difficoltà il Socialismo reale e vanno avanti con altrettante difficoltà per la costruzione di una società comunista (dare a ciascuno secondo i propri bisogni). Grazie e fraterni saluti (12).
Luigi con questa lettera confermava di essere fedele alla sua idea di comunismo ideale, nonostante questa si scontrasse con la realtà del socialismo edificato nei paesi dell’est e in particolare nell’Unione Sovietica, per lui ancora la Patria dei proletari di tutto il mondo. Fu quindi con estrema sofferenza che visse l’evoluzione berlingueriana dell’esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre, ancor più vide come fumo negli occhi l’avvento di papa Wojtyla, Giovanni Paolo II e il suo aperto e per lui indiscriminato appoggio al sindacato Solidarnosc presieduto da Lech Walesa, un elettricista dei cantieri Lenin alla testa del primo sindacato libero e cattolico di un regime comunista. Così, quando Luciano lama, Segretario Generale della CGIL, nei primi di maggio del 1984, espresse la solidarietà del movimento operaio italiano all’uomo che simboleggiava la voglia di libertà del popolo polacco, non trovò di meglio che riprendere carta e penna scrivendo all’Unità per esprimere tutto il suo dissenso:
Caro direttore, premetto che diffondo l’Unità sin dal 1947 e che quando capita che qualche domenica o nei giorni festivi non si pubblichi il nostro giornale o che per ragioni organizzative non arrivi o arrivi in ritardo, per tutto il giorno mi sembra che sono venuto meno a qualcosa. Anche se da alcuni anni in certe occasioni non condivido i giudizi che dà sull’Unione Sovietica e in generale nei confronti dei paesi del socialismo reale.
Sono rimasto ancora una volta mortificato, in quanto iscritto alla CGIL, oltre che comunista, per l’ennesimo messaggio di Luciano Lama a Lech Walesa (questa volta in occasione del 1 maggio) pubblicato dall’Unità il 5 maggio, dove a nome della CGIL e del movimento sindacale italiano esprime solidarietà a Walesa per il “coraggio” e appoggia l’impegno per la ricostituzione dei diritti e delle libertà sindacali in Polonia, ecc. Non sarebbe più opportuno approfondire il tema dell’autonomia sindacale di Carniti e della CIL, di Benvenuto e della UIL? Vedi l’atteggiamento di questi sulla politica economica, decreto scala mobile e costo del lavoro (13).
Il mondo intorno a Luigi cambiava, ma lui si rifiutava di accettarlo, da 40 anni egli combatteva questo sistema e ora proprio il Partito al quale aveva dedicato la propria vita, veniva man mano meno, modificando lentamente la sua stessa ragione d’essere, fino a dimenticare il suo stesso atto di nascita. Così, quando nel 1988, per la prima volta nella sua storia, l’Unità non dedicò nessuna pagina celebrativa alla costituzione del Partito Comunista d’Italia, la polemica esplose con voci autorevoli, come quella di Gian Carlo Pajetta, ma anche quella, piccola, di Luigi D’Auria:
Caro direttore, mi sono molto indignato ( e con me molti compagni) nel leggere l’Unità del 21 gennaio (67° anniversario della fondazione del PCI) senza trovare un solo articolo, un annuncio, una celebrazione che ricordasse la nascita del PCI dalla scissione di Livorno del 21 gennaio 1921. In compenso hai pubblicato un intervento di Antonio Giolitti, “La scelta del riformismo. Perché siano chiare le opzioni fondamentali”, in contrasto con i principi, le scelte e gli obiettivi che si diede il nostro partito con la sua nascita. Anche il pezzo propagandistico pubblicato in quarta pagina per il tesseramento: “21 gennaio 1921-21 gennaio 1988”, non accenna alla fondazione del PCI. D’altra parte già altre date l’Unità ha dimenticato (anche se quella del 21 gennaio non era perdonabile), mi riferisco al 14 luglio 1948, attentato a Togliatti, 25 luglio 1943, caduta del fascismo, Quattro giornate di Napoli, ecc. Poi ci lamentiamo che i giovani e i quarantenni non conoscono la storia del PCI e anche dell’Italia del dopoguerra (i sei operai uccisi a Modena dalla polizia di Scelba, quelli di Montescaglioso, Melissa, Avola, ecc, quelli del governo Tambroni, 1960. Poi ci sorprende la sortita di De felice che parla del superamento dell’Antifascismo. Lo stesso partito ha snobbato questa grande data, difatti non ho visto un manifesto per l’occasione e le stesse sezioni e il comitato cittadino di Castellammare che avrebbe dovuto ricordare un’altra data, quella dei fatti di Piazza Spartaco, non le hanno ricordate con un manifesto, né esposto le bandiere.
Continuerò a diffondere l’Unità (come faccio dal 1947) con la speranza che cambi in meglio (anche per quanto riguarda le corrispondenze di Giulietto Chiesa da Mosca, impegnato sempre più alla ricerca del pelo nell’uovo in quella realtà forse più dei corrispondenti avversari) (14).
Il Direttore dell’Unita, Gerardo Chiaromonte, si difese replicando con una lunga, articolata risposta, per la quale rimandiamo alla lettura dello stesso quotidiano.

La fine del PCI e la fondazione del Circolo di Rifondazione Comunista
Quando, qualche anno dopo, Achille Occhetto annunciò la decisione di dare vita alla “Cosa”, poi concretizzatosi con la nascita di una nuova formazione politica, il Partito Democratico di Sinistra, pronunciando in questo modo la sentenza di morte del vecchio e glorioso Partito Comunista Italiano, ci fu una nuova, traumatica, scissione, dopo quella di Livorno del 1921. Giusto settant’anni dopo Armando Cossutta, Sergio Garavini ed Ersilia Salvato, non riconoscendosi nell’eresia di Occhetto, diedero vita a Rifondazione Comunista.
Castellammare non rimase immune, coinvolta come e più di altre, nella lotta fratricida, alla rottura di consolidate amicizie, alle risse tra antichi compagni di fede(15). A capeggiare la rivolta, ancora una volta e sempre, il vecchio combattente, Luigi D’Auria. Con lui l’anziano professore, Franco Martoriello e l’avvocato Giuseppe Ricolo. Aprirono una sede in via Padre Kolbe, poi in Piazza Ferrovia e si ricominciò daccapo, come 50 anni prima, a diffondere non più l’Unità ma Liberazione, organo della nuova formazione politica, erede del PCI. Lo vedevi dappertutto il vecchio Luigi, con il suo fascio di giornali, la sua rabbia, la sua simpatia dietro quei suoi baffetti di uomo piccolo di statura ma grande nel suo orgoglio di comunista per sempre. Una foto pubblicata il 12 ottobre 1991, dal Manifesto, lo ritrae in prima fila, dietro un grande striscione di Rifondazione, durante la manifestazione del 1° maggio a Napoli. Ma non era finita, perché Luigi ebbe modo di vivere una nuova rottura, una nuova scissione, quella verificatosi nel 1998, quando durante il Governo D’Alema, Fausto Bertinotti negò la fiducia all’ex compagno di partito, scontrandosi con Armando Cossutta ed Ersilia Salvato. Dalla costola di Rifondazione si costituì nel 1998 una nuova formazione politica, quella dei Comunisti Italiani, alla cui testa fu posto Oliviero Diliberti. La mini scissione ebbe ripercussioni anche nella vecchia e ormai ex Stalingrado del sud e ancora una volta capeggiata dal sempre più vecchio, ma non per questo stanco di lottare, Luigi D’Auria. Ancora battagliero, ancora diffusore di un giornale, ma stavolta chiamato Rinascita della Sinistra, riprendendo la vecchia, gloriosa testata del PCI fondata da Palmiro Togliatti nel 1944 e da anni non più in edicola dopo un vano tentativo di rilanciarla nei primi anni novanta.
La prima sede stabiese del nuovo partito cossuttiano si aprì in via Carrese.
Il vecchio Luigi, stanco e malato, lentamente si ritirò dall’attiva militanza, scomparendo il 21 marzo 2010, nel silenzio e nell’indifferenza della città (16).

Note:

(1) L’Unità del 22 agosto 1952: L’esperienza di Castellammare di Stabia, art. di Luigi D’Auria;
(2) L’Unità del 14 novembre 1947: La protesta antifascista di Napoli, di A. J. (Alberto Jacoviello);
(3) L’Unità del 23 novembre 1946: Un decreto del Sant’Ufficio contro “Don Basilio”;
(4) La Voce, 20 marzo 1948, art. Vergognosa provocazione stroncata dal popolo di Castellammare;
(5) Altri feriti saranno Raffaele Scodella, Raffaele De Nicola, Catello Discolo e Crescenzo Marano. Cfr Il Risorgimento del 17 luglio 1948;
(6) Tra gli imputati ci saranno altri due fratelli del D’Auria, i più giovani Francesco e Catello. Altri imputati, destinati a fare la storia politica e sociale della città saranno, Domenico Scevola, Vincenzo Conte, Eustachio Massa;
(7) Testimonianza di Luigi D’Auria all’autore;
(8) L’Unità del 12 dicembre 1955: Manifestazione di lavoratori a Castellammare di Stabia;
(9) L’Unità del 1° aprile 1961: La polizia contro i lavoratori;
(10) L’Unità del 17 aprile 1961: Oggi sciopero generale a Castellammare di Stabia contro una grave rappresaglia poliziesca;
(11) L’Unità del 4 novembre 1971: A Castellammare polizia scatenata contro la protesta dei disoccupati;
(12) L’Unità del 12 marzo 1982: “Non mi ritengo uomo di nessun compagno”, in Lettere all’Unità;
(13) L’Unità del25 maggio 1984: Mortificato per il messaggio, in Lettere all’Unità;
(14) L’Unità del 2 febbraio 1988: Evitiamo le celebrazioni rituali, in Lettere all’Unità;
(15) Cfr. Raffaele Scala: La Camera del Lavoro di Castellammare di Stabia, 2009;
(16) In realtà il Partito Democratico emise, lo stesso giorno della scomparsa, un comunicato stampa in cui ricordava la figura dell’antico militante comunista. Questo il testo completo: “E’ scomparso Luigi D’Auria, amato e stimato dirigente politico e consigliere comunale di Castellammare di Stabia. Il Partito Democratico di Castellammare di Stabia è vicino alla famiglia in questo momento di grande dolore e ne ricorda l’appassionato impegno in favore dei diritti dei lavoratori e nell’interesse della città. Il suo è stato un fulgido esempio di militanza e di lavoro istituzionale svolto con rigore morale e disinteresse personale”.

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