Mario 'o piscatore

Ricordi ‘e Natale

Ricordi ‘e Natale
di Giuseppe Zingone

Qualcuno ha detto: ” E il naufragar m’è dolce in questo mare…1

I nostri ricordi appartengono oltre che a noi, a tutte le persone con cui scegliamo di condividerli e negli ultimi anni una consapevolezza antica si fa sempre  più strada nella mia mente: Tutti gli uomini, di tutte le epoche ricordano con affetto la propria giovinezza, i primi amori ed ancor di più amano la propria infanzia, bella o brutta che sia.

Quante volte ci è capitato di sentire alcune espressioni della saggezza popolare o personale dichiarare con fermezza : “Se Steve meglio quanno se steva peggio….” Oppure, “Eh… quanno ero giovane io, era tutta n’ata cosa!”.

A volte ritornano pure quelle frasi inneggianti la religione, la monarchia le dittature. Cosi ognuno dei giovani che incontreremo tenderà a sottolineare come la sua gioventù era la  “Meglio”.2.

Ma lo era realmente? Lasciamo che ognuno risponda secondo la propria sensibilità, coscienza e cultura, pur con la consapevolezza che vi saranno in tal caso migliaia di versioni della verità, quante sono gli uomini e le donne a cui lo si chiede.

Ultimamente il signor Tucci Michele ha solleticato alcuni piccoli ricordi che erano rimasti momentaneamente imbrigliati nei “fili ra capa”. Ed ecco che me li sono ritrovati in fila proprio uno dietro l’altro. Momenti tristi e felici anche se confesso, quelli belli sono un’altra cosa, ma diamo spazio ai protagonisti. Il signor Tucci prende spunto dal Palazzo ‘e sant’Antonio, ora se questa non è una piacevole provocazione ditemi Voi cos’altro può essere?

Io incasso e rispondo rievocando i Natali che vedo susseguirsi dalla finestra del secondo piano che dava affaccio su via san Bartolomeo.

Mario 'o piscatore

Mario ‘o piscatore, foto Giuseppe Zingone

Dei venditori posti li, tra i primi, ecco presentarsi innanzi Mario ’o piscatore, c’è la consorte, il figlio più grande, un signore anziano forse il padre di lui, o di lei… Nei giorni a ridosso del Natale questo pescivendolo con un minuscolo negozio incassato nel convento delle Suore Adoratrici perpetue triplicava in larghezza e li dove si poteva anche in altezza. Sommessamente ed educatamente come dell’olio su un tavolo si espandeva, era un big bang ittico. Allora il pesce per me non era un piacere come oggi, lo rifuggivo, guardavo con sospetto queste strane bestie marine che non appartenevano al mondo umano. Alcuni pesci adagiati di fianco, altri ventre all’insù, piovre sinuose e viscide dai mostruosi tentacoli cercavano scampo fuori dalle vasche ed indi trovavano ad aspettarli solo una pentola bollente. E i capitoni e le anguille ne vogliamo parlare? Si tratta dell’unico pesce, venduto solo due settimane all’anno, a cifre da capogiro sulla qualità e bontà a tutt’oggi avanzo seri dubbi. C’erano poi le teste di pesci spada, in bella mostra, dall’occhio vitreo e ammiccante a catturare l’attenzione dei passanti. E poi gamberi, orate, seppie, calamari, alici, vongole, lupini, ostriche e taratufi, tutto questo alle fredde prime ore del mattino, con ai piedi scarpe bagnate e addosso panni umidi.

I fratelli Maresca e collaboratori

I fratelli Maresca e collaboratori, foto Giuseppe Zingone

La fortuna di Mario era data dal conforto che giungeva attraverso flebili sbuffi di pane caldo, proveniente dal panificio dirimpetto, dei fratelli Maresca. Una calda speranza aleggiava nelle ore buie, in quei pochi metri quadri di straducola, anzitutto che la merce venisse venduta in modo da produrre il giusto beneficio e godersi almeno le poche ore delle festività. La stessa scena si riproponeva, poi, alla vigilia di Capodanno.

Non dimentico pensando di fare un gradito piacere e un augurio di buone feste all’amico Pasquale Parmentola, il ricordo di Ntulino ‘o nzalataro e sua moglie, perché a dire il vero Natale in quel piccolo universo non arrivava se non attraverso l’odore di arance e mandarini. Anche qui un mini mercato di frutti e verdure, tutto condito dall’umidità, perché il sole tardava ad apparire in questo ritaglio di cielo stabiese e dopo un infimo capolino scappava via senza neanche salutare.

Per chi, invece, non poteva permettersi il pesce fresco, c’era sempre quello surgelato ed ecco vi presento Don Pasquale Barone detto Pasquale ‘o stuccaiuolo, ho avuto la fortuna di conoscerlo bene ed amarlo, quando cessò la propria attività divenendo il sagrestano della Parrocchia di Santa Maria della Pace, ha tutta la mia incondizionata stima ed anche io quando tornavo a Castellammare ho avuto più volte da Lui attestati di rispetto profondo. Quando si parla di memoria storica io ho in mente solo don Pasquale. Volevate rintracciare qualche parente lontano o cercavate una aleatoria figura umana? Bastava fornirgli poche coordinate, un nomignolo, un tratto fisiognomico e lui vi citava tutto l’albero genealogico del centro Antico fino alla quarta generazione con parenti, affini e amici dei suddetti. Poi a mo’ di approfondimento si passava ai soprannomi; vita, morte e i pochi miracoli che la gente del mio paese che amo ancora, sapeva fare.

Un giorno in Parrocchia don Catello Di Martino e don Pasquale intrapresero una discussione su alcuni parrocchiani, senza esagerare furono scaraventati dalle loro bocche in pochi secondi tra i venti e i trenta ignari individui, di cui molti, per me, senza volto; quando si dice una fiumana di gente. Si trattava di anagrafe popolare, inquilini fittizi del nostro rione, dai connotati sovrumani, fatti di spigolature secolari che oramai non corrispondevano più ai propri cognomi ufficiali, vai a spiegarla a Milano una cosa del genere.

Uno strano aneddoto mi capitò proprio mentre con mia mamma, nei giorni antecedenti un Natale, andavamo a comperare alcuni surgelati alla sua attività, posta ad angolo tra la seconda salita de Turris (oggi Via Viviani) e vico secondo Licerta. Entrammo nel negozio, li dove l’odore del pesce vi salutava ancor prima d’aver superato la soglia, una volta entrato il gelo esultava per la vostra presenza, dandovi il benvenuto con i suoi afflati ghiacciati, un po’ come quando due eschimesi si salutano al polo nord.

Io sgattaiolai via incamminandomi su via de Turris, fermandomi davanti ad una ripida, piccola ed infinita scala che terminava su un pianerottolo dove due donne, di cui una più giovane vestita con una sorta di abito da sposa, erano impegnate in una strana e teatrale interpretazione.  Quando mi scorsero mi lanciarono mille maledizioni, senza che io ne comprendessi il reale motivo, anzi colgo l’occasione se mi leggono, di favorirmi utili indicazioni a chiarire la propria posizione anche a distanza di decenni. Scappai, a rotta di collo, ero rapido e veloce come un gatto e avrei voluto nascondermi tra i pesci surgelati. Per fortuna la spesa era stata fatta e chiesi perdono a Sant’Antonio qualsiasi fosse stato il mio peccato, infine pensai: “Mo a Befana nun vene cchiù!”.

Vi era pure sotto il Palazzo di Sant’ Antonio, un negozio di abbigliamento, Ninna Nanna e la macelleria D’Apice, subito dopo una salumeria quella dei Celoro, alla quale ci servimmo per tanti anni. I vecchi proprietari erano i genitori del compianto Italo, una nonna di mio padre era imparentata con loro, avevano ancora i sacchi di iuta dove prendevi la pasta sfusa, (eravamo alla fine degli anni settanta), di questa salumeria oltre ai salumi penzolanti ciò che mi affascinava di più era l’affettatrice dove sgocciolavano quei piccoli residui di affettati che non venivano ordinatamente distesi sul foglio oleato, un resto di salumi allettanti per le mani abili, veloci e curiose di un bambino.

Eccolo si appresta come un Re Magio alla grotta del Salvatore nella mia memoria, il negozio di giocattoli di Vincenzo Molinari, a dire il vero, io ricordo una signora (forse la moglie), ma quel negozio aveva per me l’aspetto di un maniero, una enorme scatola magica, che faceva sognare i bambini tutto l’anno perché i giocattoli si ricevevano solo una volta l’anno. E fu così  che arrivammo alla Vigilia di tutte le Befane (tale è nei miei ricordi) che ho trascorso nel Palazzo do’ Zelluso. A questo punto Mario il pescatore e la sua bottega si sgonfiavano, quasi sparivano e cominciava la “spasa re pazzielle”. Immaginate con la fantasia tutti questi giocattoli, l’uno adagiato di fianco all’altro sulla strada e le piccole vetrine traboccanti dei sogni dei bambini, la sera fino a tardi soprattutto il cinque Gennaio, quella fetta di strada formava una Piedigrotta in miniatura, le ombre proiettate dalle potenti lampadine sotto il soffitto della stanza dove dormivo si allargavano, si stringevano, si capovolgevano, danzavano ed io dal mio lettino inseguivo nelle ombre le mie speranze dei giochi agognati.

Immagino che la mia Befana abita ancora sotto quel soffitto, di via San Bartolomeo, dove nella semioscurità del 5 Gennaio lei si districava e organzizava per portare almeno un dono ai bambini del mondo intero. Un anno in particolare era agli inizi di Dicembre, mi trovavo fermo davanti alla vetrina di destra entrando nel negozio di Molinari; avevo adocchiato un Goldrake in metallo, scintillante, quello con l’astronave, con il maglio perforante e l’alabarda spaziale; non avevo molte speranze, il costo poi era proibitivo tra le venti e le venticinquemila lire.

Nel frattempo era sopraggiunto mio padre, di ritorno dai cantieri navali il quale mi chiese: “Vagliò che guardi?” Ed io risposi: “Il robot! ”.

Goldrake, il dono ricevuto il giorno della Befana di tanti anni fa, Giuseppe Zingone

Ebbene, non ci crederete la Befana ci aveva visto e ascoltato e quell’anno mi portò Goldrake.

Nella mia mente ci gioco ancora…

Pubblicato 14 Dicembre 2014


  1. Giacomo Leopardi, l’Infinito, versetto 15, 1819, Canti
  2. La meglio gioventù, di Marco Tullio Giordana, versione cinematografica della omonima raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini del 1954

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