Falesia di Castellammare (schizzo a matita del naturalista Fontanella)

Castellammare città di mare

Passeggiando per le vie di Castellammare è possibile osservare quello che resta del  paesaggio fisico preesistente alla urbanizzazione; piccoli segni che affiorano dall’intricato tessuto urbano moderno.

Falesia di Castellammare (schizzo a matita del naturalista Fontanella)

Falesia di Castellammare (schizzo a matita del naturalista Fontanella)

Una delle idee più suggestive che spesso mi accompagnano e stimolano la mia fantasia è il pensare che la odierna Castellammare (frazioni alte escluse) è cresciuta su quella che non molto tempo fa era una spiaggia e ancor prima era mare. La prova di quanto ho appena affermato è rappresentata dalla splendida falesia fossile che si erge maestosa proprio alle spalle dell’abitato cittadino e con un decorso quasi perpendicolare alla fascia costiera dal porto arriva fino al quartiere Petraro. A guardarla dalla funivia del Faito sembra una diga (in alcuni punti raggiunge i 40 metri d’altezza) che frena l’avanzata del cemento cittadino.

Per capire come si è formata e da cosa è formata la falesia fossile di Castellammare bisogna intraprendere un viaggio nel tempo, così da ritornare con la fantasia all’epoca dell’ultima grande glaciazione  pleistocenica (60.000 – 15.000 anni fa). In quella fase (come durante le glaciazioni precedenti)  una notevole parte dell’acqua disponibile sulla Terra fu sequestrata sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari e nei ghiacciai di montagna; le une e gli altri molto più vasti di oggi. Di conseguenza vi era meno acqua nei bacini oceanici ed il livello dei mari si abbassò. Nel momento più freddo del periodo glaciale (circa 18.000 anni fa) il livello marino era 120 metri più basso di quello odierno e la linea di costa era collocata oltre l’isola di Capri, tanto che questa era collegata direttamente alla penisola sorrentina.

Piccoli ghiacciai si svilupparono persino sull’Appennino meridionale, ma solo sulle cime più alte di 1600 metri e solo sui loro versanti esposti a nord o nord-est. Ma ovunque si ebbe un forte decremento delle temperature minime e medie ed una diminuzione delle precipitazioni annue. Sui Monti Lattari i boschi di latifoglie scomparvero e lasciarono il posto a vegetazione steppica con rari boschi di conifere. I cristalli di ghiaccio che, a causa del freddo, si formavano nelle rocce fratturate contribuivano a frantumarle. Il detrito che di conseguenza producevano le scarpate rocciose si riversava verso i fondivalle da dove, durante le piene, i torrenti lo prelevavano per portarlo verso il piede dei rilievi.

In questo modo il Rivo di Gragnano, il Torrente della Calcarella ed altri torrenti minori formarono potenti ed estesi depositi alluvionali (conoidi di deisezione) al piede dei Monti Lattari. Le varie fasi alluvionali che costituirono questi conoidi si intervallarono con le eruzioni dei vicini apparati vulcanici vesuviani e flegrei, dando luogo a successioni di strati detritici e piroclastici. Per vederne qualche esempio sul terreno basta visitare gli scavi archeologici di Stabiae e affacciarsi dal belvedere di villa san Marco e di villa Arianna, oppure basta semplicemente entrare nella stazione della Circumvesuviana di piazza unità d’Italia, costruita ai piedi della falesia; stupendi sono gli strati che si possono osservare in Viale Puglie o passeggiando in via Grotta San Biagio e nel quartiere Cicerone.

E’ in tali materiali che fu erosa (tagliata) la falesia di Castellammare. Tale erosione avvenne quando, finita la glaciazione, il livello marino si risollevò rapidamente ed altrettanto rapidamente la linea di costa migrò verso l’interno. Il grosso della risalita si ebbe tra circa 15.000 e circa 6000 anni fa, dopo di che la risalita rallentò e si ebbero solo fluttuazioni di ordine metrico. Il mare non si limitò solo a sommergere la ex pianura costiera, ma col moto ondoso prese a smantellare le parti più periferiche dei conoidi alluvionali, tagliandovi una parete verticale che anno per anno arretrava per scalzamento al piede e crolli. Nacque così la nostra falesia.

Successivamente, a causa dello stabilizzarsi o quasi del livello marino, si ebbe una netta inversione di tendenza: la capacità di far crescere spiagge che il fiume Sarno ed i torrenti esercitavano coi loro apporti detritici sulla costa non fu più controbilanciata (e vinta) dal mare e la piana costiera cominciò quindi a crescere spingendo di nuovo verso il largo la linea di costa.

Si formò così una fascia di pianura davanti alla antica falesia, che -non più raggiunta dalle onde- smise di arretrare. Questa situazione si era già embrionalmente realizzata in  epoca romana, quando esisteva già una sottile striscia di pianura alla base della falesia.

Dall’alto della scarpata (zona di Varano) il panorama doveva essere straordinariamente bello: una baia riparata dove il mare turchese incontrava una lussureggiante e fertile pianura solcata da un fiume dalle acque limpide. Tanta bellezza non passò inosservata ed infatti è proprio alla sommità della falesia che i ricchi patrizi romani costruirono le sontuose ville residenziali dell’antica Stabiae che oggi a distanza di più di 2.000 anni sono ancora là affacciate su quel golfo, peccato che il paesaggio circostante sia radicalmente cambiato oggi sulla spiaggia dove approdò Plinio nel 79 d.C. sorge una nuova città (l’attuale Castellammare). Stessa sorte è toccata alla lussureggiante pianura del Sarno anch’essa invasa da una marea di case. Anche il fiume non è più lo stesso: le sue acque limpide hanno lasciato il posto a scuri e oscuri reflui maleodoranti.

Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt


Testi consultati:

  1. Cinque A. & Russo F., 1986. La linea di costa del 79 d.C. fra Oplonti e Stabiae nel quadro dell’evoluzione olocenica della piana del Sarno. Boll. Soc. Geologica Italiana, 105, pag. 111–121, Roma.
  2. Press F., Siever R., 1997. Capire la terra. Zanichelli, Bologna.
  3. Vallario A. et altri, 2001. L’ambiente geologico della Campania. Cuen, Napoli.

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