‘O Vuttaro

Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo


‘o Vuttaro
( a cura di Maurizio Longobardi )

Introduzione dell’autore
A distanza di qualche annetto torno su questa rubrica per portare un brandello di collaborazione. Da qualche giorno ho ripreso, nelle pause del lavoro, a scivolare tra le pieghe di questo bellissimo sito per annusare l’aria, sentire il sapore, vedere scorci, ascoltare le voci della mia amata terra. E così mi sono imbattuto nella rubrica “Antichi mestieri”, densa di godibile materiale.
Rimuginando, poi, ho recuperato un ricordo della mia adolescenza che, credo, sia degno di una menzione all’interno del decalogo da Voi elaborato.

I Costuttori di Botti, in dialetto napoletano i Vuttari

I Costuttori di Botti, in dialetto napoletano i Vuttari

‘O Vuttaro ( il bottaio, ovvero l’artigiano che fabbrica le botti )

Voglio ricordare che Castellammare ha avuto un suo “epigono” esperto di tale attività, uno degli ultimi in Campania e forse in tutta l’Italia del Sud. Il personaggio in questione, ma sul nome i miei ricordi sono vaghi, tale Don Ciro o Don Ciccio… (un nostro visitatore, Umberto Pepe, avendo letto con attenzione il presente articolo, a onor di cronaca, ci comunica in data 07/05/08, che l’artigiano in questione si chiama Mario Esposito, oggi ottantenne che vive tutt’ora in via Raiola, accudito amorevolmente dalla propria moglie Lucia De Martino e dai suoi tre figli, Luigi, Roberto e Lucia), è rimasto in attività fino ai miei 18-20 anni (oggi ne ho 44 ahimè!!!) ed operava in via Raiola che in illo tempore era meglio nota come via Napoli o, più espressivamente, “‘A via d’‘o cimitero) più o meno all’altezza del civico 19, ma sul lato opposto della strada (in sintesi, abitava ed operava di fronte casa mia, attuale residenza dei miei cari vecchietti). Ho il ricordo di un uomo sempre indaffarato, tutto compreso nella sua attività, uomo dall’aspetto mite che comunicava un innato amore per la sua arte; lo ricordo sempre, inverno ed estate, coperto solo di una maglia della salute a mezze maniche, un po’ sudata e sudicia. Aveva due figli maschi ed una femmina, dei tre ricordo Roberto, l’ultimo, che è anche stato mio occasionale compagno di giochi. Ho ancora in mente le fughe di questo scugnizzo un po’ ribelle inseguito dalla madre cui era demandato per intero l’onere dell’educazione della prole. Ricordo la donna che lo rincorreva ansimante, coprendolo di improperi irripetibili. Don Ciro o Ciccio… o altro, se ne rimaneva a bottega, imperturbabile, ben fermo nel suo ruolo di padre, di colui che deve guadagnare la pagnotta per mandare avanti la famiglia, altro che perdere tempo con un imberbe giovinastro. Il mestiere del bottaio, ai tempi in questione, era diventato un mestiere ricco perché molto ricercato; presupponeva grande destrezza artigiana e la cura maniacale di tutte le fasi: dalla cernita del legno migliore, alla sua sapiente stagionatura, fino alla forgiatura delle doghe di legno perfettamente calibrate in modo che a lavoro ultimato la botte fosse perfettamente “stagna”, cioè non avesse perdite. Approfitto infine per lanciare un invito ai miei concittadini, ovviamente col placet della redazione, e cioè inviare aneddoti, descrizioni di personaggi e quant’altro di interesse, magari da zone della città che sono poco citate, ma che a buon diritto fanno parte del tessuto connettivo di questa splendida comunità. Sono sicuro che, se non tutti, almeno i residenti nelle zone di competenza saranno lieti di riacciuffare qualche bel ricordo e, a tal proposito, credo che del bottaio di cui sopra molti navigatori di queste pagine avranno piacevole ricordo.

Tanti cari saluti, Maurizio Longobardi dall’Abruzzo

 

2 pensieri su “‘O Vuttaro

  1. Lucia Amendola

    Nel ricostruire il mio albero genealogico ho trovato che diversi miei antenati diretti erano bottai , a partire dalla metà del 1700 ai primi dell’ottocento, perciò sono stata molto interessata all’articolo.
    I miei antenati “vuttari” erano appunto di Castellammare di Stabia e si chiamavano di cognome Di Capua.
    Precisamente: Berardino Di Capua nato nel 1750, di cui non si conosce l’anno di morte, Angiolo di Capua, 1779-1832 e Francesco Di Capua 1809-1853.
    La figlia di Francesco , Teresa Di Capua 1831-11908, mia trisavola, era filatrice.
    Non so se i maschi Di Capua hanno conservato la tradizione di famiglia e non so se prima di Berardino altri fossero bottai.
    Purtroppo non conosco aneddoti su di loro, ma posseggo solo gli atti di nascita e/o morte, con la loro attività. Mi è piaciuto menzionarli perché sono affascinata da alcuni mestieri che si sono perduti, almeno a livello artigianale.

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  2. Lucia Amendola

    Ho omesso di dire che la moglie di Berardino Di Capua si chiamava Angiola Longobardi, come l’autore dell’articolo, cognome molto diffuso a Castellammare.

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