Un Salone di Castellammare, foto archivio Liberoricercatore

Il barbiere

Il barbiere

di Giuseppe Zingone

Con o senza, due busti del Museo di Capodimonte

Con o senza, due busti del Museo di Capodimonte

E’ quasi un dubbio amletico verrebbe da dire, meglio radersi o curare barba e capelli, sono milioni gli uomini che si sono posti questa domanda sin dai tempi antichi. E’ chiaro che ognuno risponderà anche in base al patrimonio ereditato nel DNA che ci fa belli o meno, ma a dettare le regole di questo gioco, spesso è la moda del momento, Lo sanno bene i due busti che aprono l’articolo. Forse pensate che questo è un argomento lontano dai temi trattati da Libero ricercatore… Non è così! Si tratta di un vezzo propriamente maschile che appartiene ad ogni generazione ad ogni tempo ed anche a noi “maschietti” stabiesi.

Massimo Troisi in una scena di Pensavo fosse amore invece era un calesse

Massimo Troisi, in una scena di Pensavo fosse amore invece era un calesse

In ogni epoca storica, radersi o non farlo, aveva un suo significato. Simbolo di potere la barba poteva variare di lunghezza nelle diverse classi sociali; per gli egizi radersi completamente (anche il capo) era un dovere religioso oltre che igienico sociale. Presso i greci una barba lunga indicava prestigio e saggezza si pensi ai busti marmorei dei filosofi, fino a quando Alessandro Magno obbligò le proprie truppe (forse per meglio disciplinare i loro comportamenti) a radersi la barba.1

Anche Roma segui la moda del momento e Publio Ticino Menea nel 299 a.C. portò a Roma, dalla Sicilia, una truppa di barbitonsori.

Obblighi religiosi, igienici, militari, o semplicemente moda (come ai giorni nostri) quest’arte nei secoli conosce i propri momenti aurei e parentesi di declino, anche se ci piace ricordare che persino una barba lunga va sempre curata..

Non esiste al mondo, una città, un paese, un borgo, una landa desolata che non abbia soggiaciuto alla nobile arte del barbiere. Quella di un novello Figaro2armato di pettine, di forbice?
Ebbene credo di no!

Un Salone di Castellammare, foto archivio Liberoricercatore

Un Salone di Castellammare, foto archivio Liberoricercatore

Come dimenticare la nobile testa (argentea) del cavallino, pronto ad accoglierci sulla sua groppa a poltroncina per un taglio di capelli? Entrare dal barbiere, era come entrare a far parte di una congregazione, costituiva l’ingresso ai “misteri” degli adulti, una sorta di passaggio dall’età della fanciullezza spensierata, al mondo angusto dei grandi, in una ricca miscellanea di notizie sportive, parolacce, doppi sensi, politica e affermazioni maschili poco ossequiose del gentil sesso.

Ma chi è il barbiere?
Senza dubbio è un artista ed insieme un abile chirurgo!
Tutti ne hanno avuto almeno uno! Ed è l’unico uomo a cui affidare per pochi, ma intensi istanti la vostra completa vita, rimanendo praticamente inermi. Nelle sue mani, vi riconoscete agnello e vittima sacrificale, poche parole, qualche annuente bisillaba, per accordarsi sul taglio e lui vi si avvinghia alla testa con movenze sinuose da torero e ballerino, un polpo armato di pettine e forbice.

Rasoi di sicurezza e pennello, foto di Maurizio Cuomo

Rasoi di sicurezza e pennello, foto di Maurizio Cuomo

Altresì è un confessore, una figura più che paterna, un giudice che conosce la vita familiare e sociale dei suoi clienti e la racconta a tutti (anche la vostra) poiché a differenza del confessore, lui non ha segreti da proteggere e custodire nel nome di Dio, anzi è per questo che viene pure pagato; fratello e compagno si prodiga per soddisfare i suoi clienti con materei servigi.

Castellammare, Salone Zaino, collezione Vingiani

Il barbiere è l’unica persona che riesce a mettere una lama (il rasoio) sotto la gola, tanto di abili uomini d’affari, come di delinquenti, in quel momento nessuno osa parlare o contraddirlo, il momento è sacro, di altissima tensione, la lama percorre il viso asportando nuvolette di sapone abilmente montate e spalmate sul viso dell’avventore, sembra morbida panna condita di infiniti peletti di cioccolata. I presenti zittiscono, tutti sanno che basterebbe una minima distrazione, per arrecare un danno irreparabile al volto del cliente e al buon nome e alla carriera del barbiere, ma soprattutto a quel viso che nelle sue mani è blindato come in una cassaforte e che per un impensabile svarione, potrebbe diventare rosso fuoco, come l’eruzione improvvisa del Vesuvio. Ma la sua mano ferma non conosce margine di errore, corre veloce e sicura, tra un primo tempo di pelo e un secondo di contropelo, tutto volge al termine con un’asciugamano caldo ed umido ed il “capolavoro” è fatto, adesso è solo una questione di acqua di colonia.

Lui è sempre lì che vi aspetta attorniato dai clienti o da solo nel suo salone,3vi attende tra aromi estasianti di fresco, di agrumi e di tabacco che non riuscirete mai più a dimenticare.

Particolare di fotografia, del 1958, Liberoricercatore

Particolare di fotografia, del 1958, Liberoricercatore

Il barbiere dove si serviva mio padre, si trovava in via Principessa Mafalda qualche metro più in là dell’acquaiuolo, vi ricordate la rivendita di acque di Ciro lo Schiavo? Il salone di Nicola Cavallaro4era disposto in lunghezza, verso il ventre del palazzo sovrastante, al suo interno, in fondo c’erano le docce a pagamento, poiché fino a metà anni settanta era una rarità averle in casa. Mio padre aveva la fortuna di farla ogni giorno ai Cantieri Navali e quindi dal barbiere ci andava solo per il taglio dei capelli. Quando si radeva (a casa) era per me un piacevole gioco osservarlo ed è da lui che ho imparato, ma non ho mai fatto il contropelo. Sul cavalluccio ho avuto anche io il mio battesimo, circondato da pettini e scodelle, da lavandini e sedute col poggiatesta in pelle, dai simpatici flaconi del dopobarba con lo spruzzino che vaporizzava l’acqua mirablis, alle grandi specchiere, alla spazzola per la pulizia del collo che sbuffava talco profumato e tutti quei mille arnesi che fanno di un mestiere un’arte.

Poltrona da barbiere per bambini, immagine tratta dal web

Se a fine ottocento la nostra città aveva i caffè alla moda degli intellettuali, i barbieri invece raccoglievano e diffondevano la cultura popolare tra la gente comune; era un luogo di relax che il capofamiglia di tanto in tanto aveva l’obbligo morale di frequentare, magari dandosi appuntamento con amici e parenti, o per trasmettere ai giovani figli maschi un ricordo da custodire.

Non tutti i barbieri a quell’epoca avevano un salone, e alcuni andavano in giro per le case come oggi accade per le gentili signore, con le parrucchiere.5 Il barbiere faceva visita a domicilio soprattutto a persone anziane o gravemente inferme ricreando nelle civili abitazioni quel clima da salone che alcuni non potendo più riabbracciare che nei soli ricordi, ricostruivano a casa propria.6

A volte dal piacere che si prova per un ricordo recuperato nascono nuove abitudini ed ho condiviso con mio cugino Maurizio questi pensieri qualche mesetto fa, li ricongiungo (oltre ai miei) a quelli dell’amico Gigi Nocera che a sua volta donò a me quelle stesse riflessioni su questo tema  che a sua volta aveva ricevuto dal padre.

A Natale non vi nascondo, che non volendo i miei figli maschi tagliarsi i capelli, pur avendone io ahimè, di molto pochi, ho deciso di regalarmi una parentesi di pace e di breve relax da Enzo, l’abile artista che si trova a Piazza Unità d’Italia.

Da una chiacchierata fatta con mio padre, è emerso che il barbiere di mio nonno invece, aveva la propria bottega in un salone verso l’acqua della Madonna e precisamente sotto al palazzo del Marchese. A quel tempo mi diceva che anche il barbiere annotava nel suo quadernetto quante barbe e capelli i propri clienti gli dovevano. I conti venivano saldati ogni quindici, trenta giorni come accadeva anche per i beni di prima necessità. Un giorno mio padre seguì il suo dal barbiere in questione, mio nonno fece barba e capelli e credo che la cosa non durò molto visto il nostro blando patrimonio genetico in fatto di capelli. All’aspersione tramite pompetta del dopobarba, mio nonno si alzò si mise la giacca e salutò facendo cenno di andarsene. In quel momento il barbiere gli disse: “Uè Pe’ e nun me pave?“. Mio nonno rispose: “E che te dongo a fa i sorde, tu pure te spienne!“.

Articolo terminato il 03 Febbraio 2019 con un’aggiunta il 18/01/2020


Note

  1. Pogonotomia: La Pogonotomia è l’arte del radersi e nasce dalle parole greche πώγων pogon (barba) e τέμνω témno (tagliare). Questo temine fu reso famoso dal coltellinaio francese Jean-Jacques Perret, che scrisse: La pogonotomie, ou L’art d’apprendre a se raser soi-meme, avec la manier de connoitre toutes fortes de Pierres propres à affiler tous les outils ou instrumens, Parigi MDCCLXIX.
  2.  Il barbiere di Siviglia è un’opera buffa di Gioachino Rossini (1816), in due atti, tratto dalla commedia omonima francese di Pierre Beaumarchais del 1775. In Napoli milionaria, Eduardo de Filippo mentre discute con i suoi astanti, s’insapona e si sbarba. La figura del barbiere, compare anche in due distinti film di massimo Troisi, in ordine di tempo: Le vie del Signore sono finite 1987, e Pensavo fosse amore e invece era un calesse, 1991.
  3. Più nobile la parola barberìa, ma al sud, come da noi è salone.
  4. Il nome e cognome di questo barbiere sono frutto dei ricordi di mio padre.
  5. Mia nonna materna, era anche essa un’acconciatrice che girava per le case il suo contronome era: Nannina à capillara.
  6. Una mia carissima collega originaria della provincia di Benevento mi ha raccontato che anche il padre svolgeva la professione di barbiere prima di entrare a lavorare in ASL. Anche dopo aver cambiato lavoro il padre, Marcello Lombardi, continuò per amicizia e per passione a fare il barbiere, per le persone anziane del paese, dai suoi ricordi è emerso anche che quando qualche concittadino moriva, il suo papà veniva chiamato per radere il defunto prima del funerale.

Un pensiero su “Il barbiere

  1. Virginea Lombardi

    Grazie Giuseppe… per questo bellissimo dono a sorpresa.
    Leggere questo interessante articolo, dove viene ricordato anche il lavoro che un tempo fu del mio adorato papa’, mi ha emozionato. Già dalle prime righe mi hai fatto rivivere momenti della mia infanzia quando vedevo mio padre al lavoro nel salone di Benevento o nel mio paesello con i suoi affezionati vecchietti. Lui amava tanto questo lavoro ed era anche bravo e da lassù sono convinta che, attraverso queste righe, continua ad essere orgogliosissimo di questa professione che gli ha dato tante soddisfazioni.
    E poi quando alla fine ho letto che avevi menzionato anche il suo nome, mi hai fatto uscire le lacrime e ti ringrazio dal profondo del cuore anche perché lui sarebbe stato felicissimo e me lo immagino raccontarlo ai suoi amici d’infanzia, seduto davanti al bar del paese intenti a fare una partita a carte.
    Il tutto e’stato ancora più sentito perché sono venuta a trovare mamma al paesello, dove tutto mi parla di lui.
    GRAZIE caro Giuseppe!!
    Un grande abbraccio.
    A presto!

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