L’antica Stabiae – un patrimonio archeologico inestimabile

Storia e Ricerche

L’antica Stabiae

un patrimonio archeologico inestimabile

articolo di Maurizio Cuomo

Il frigidarium di Villa San Marco (pittura del maestro Umberto Cesino)

Il frigidarium di Villa San Marco (pittura del maestro Umberto Cesino)

Seppur brevemente, in questa pagina ricordiamo le antiche ville romane di Stabiae, sicuramente tra le maggiori risorse su cui si basa il patrimonio inestimabile (purtroppo, sigh!, ancora troppo poco valorizzato), offerto dal territorio in cui insiste la nostra cara Castellammare di Stabia.

Tra i siti archeologici della Campania, l’antica Stabiae e le sue ville di otium (di riposo) catturano senza dubbio un’attenzione particolare. Questo insediamento, situato in località Varano su un antico pianoro panoramico affacciato sul magnifico Golfo di Napoli, occupava la zona più esposta e attraente del territorio. I ricchi patrizi romani lo scelsero come luogo di villeggiatura, finché la devastante eruzione del Vesuvio del 24 agosto del 79 d.C. non lo seppellì completamente, infliggendo la stessa sorte anche a Ercolano, Oplonti e Pompei.

Per secoli, si perse quasi del tutto memoria di Stabiae, finché i Borbone, diversi secoli dopo l’eruzione, non iniziarono a riportarla alla luce. Tra il 1749 e il 1762 e poi tra il 1775 e il 1782, operarono due campagne di scavi rudimentali, mosse principalmente dalla ricerca di ori e preziosi. Dopo aver esplorato le antiche strutture, decisero però di ricoprire l’area, restituendola così alla coltivazione agricola.

Gli scavi borbonici e la riscoperta moderna

“Nel 1749 il nome di Castellammare veniva ricordato un po’ dovunque, in seguito agli inizi degli scavi archeologici, che avevano l’intento di portare alla luce i resti delle ville della famosa Stabia Romana. Questa campagna di scavi, iniziata il 7 giugno 1749 sulla collina di Varano (ripa di Barano) fu voluta da re Carlo (di Borbone), e continuò tra alterne vicende, fino al 1762, con risultati disastrosi e con effetti deleterii pel nostro patrimonio archeologico”.1

Nonostante abbiano condotto esplorazioni disordinate e tutt’altro che scientifiche, i Borbone si accorsero sin dai primi ritrovamenti che la pioggia di cenere e lapilli, pur se all’epoca portatrice di morte e distruzione, aveva paradossalmente preservato in modo eccellente i decori parietali e le suppellettili.

Considerarono quindi quella coltre vulcanica una vera manna dal cielo. In poco più di trent’anni, riportarono alla luce un numero impressionante di reperti, che nei decenni successivi si dispersero in musei e collezioni private in ogni parte del mondo, tanto che oggi risulta praticamente impossibile redigerne un elenco completo.

Quando terminò l’epoca d’oro degli scavatori borbonici, gli archeologi abbandonarono le ville di Stabiae. Col passare degli anni, la terra le ricoprì di nuovo. La memoria di quei tesori andò lentamente perduta.

Tuttavia, nel secolo scorso, Stabiae tornò a risplendere. Dal 1950 al 1962, Libero D’Orsi, preside stabiese, guidò con passione e tenacia una nuova stagione di scavi. Condusse le indagini in modo sistematico e metodico, restituendo alla luce le antiche ville sepolte.

Oggi, gli studiosi riconoscono a D’Orsi il merito della riscoperta definitiva di Stabiae. Alla sua memoria è legato il rilancio moderno del sito archeologico.


Note:

1. Testo tratto da: Stabiae dalle origini ai Borboni, Giuseppe Greco – pag. 277.

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