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Pillole di cultura: Cafone

a cura del prof. Luigi Casale

A chi piacerebbe essere chiamato cafone? Eppure non c’è niente di moralmente degradante nella parola cafone! Lo spiega bene Ignazio Silone (1900-1978), nella prefazione al romanzo Fontamara (1933), dove sceglie per sé il ruolo del narratore, un cafone, al quale altri cafoni hanno raccontato la storia che egli si accinge a narrare “fedelmente” nel romanzo. In effetti questa parola è connotata sotto l’aspetto sociologico e non dovrebbe avere nessuna implicazione di carattere morale, come ho detto. Però, attraverso l’utilizzazione – involontariamente oppure no: non si sa – maliziosa, che ne fanno i rappresentanti della classe egemone cioè i ricchi borghesi, le si dà un significato di tipo socio-economico o addirittura morale, snaturando completamente il suo originario significato.
Silone, dando al testo la forma del genere autobiografico di prima e di seconda mano (il narratore che riporta il racconto dei personaggi narranti [come fa Manzoni col manoscritto.]) riscatta la condizione del cafone, facendo vedere che se qualche discriminante, civile e morale, esiste nei rapporti sociali in termini di educazione e di umanità, questa è assolutamente svantaggiosa per la classe dominante. La povertà non è una vergogna, come non lo è la condizione di cafone. Spesso è più vergognoso il comportamento dei ricchi e dei potenti
Infatti, cafone etimologicamente non significa né povero, né contadino, né incolto, come spesso siamo portati a credere. Lo si evince dal discorso che se ne fa nell’insieme del racconto siloniano.
All’origine della parola c’è un vocabolo greco, tipico del meridione italiano dove più a lungo si è conservato l’uso del greco attraverso la cultura bizantina. Kakòphōnos (plurale: kakòphōnoi), sono quelli che parlano male una lingua. Ma questo è il giudizio che ne danno quelli che ritengono di parlarla bene, senza rendersi conto che la loro è una lingua diversa.
E’ la classica scena delle rappresentazioni stereotipate di una realtà di paese in cui il prete, il maestro elementare, il farmacista si collocano al di sopra del livello del popolo per la loro prerogativa di parlanti colti.