Muri a secco, un patrimonio da proteggere

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Muro a secco della Reggia di Quisisana

Tecnicamente un muro a secco è una costruzione in pietra realizzata impilando blocchi di roccia, senza ricorrere all’ausilio di malta o cemento come leganti. Una definizione, questa, troppo “fredda” che può andar bene a coloro che sono interessati all’aspetto puramente utilitaristico di queste costruzioni, realizzate un tempo per recintare una proprietà, terrazzare un versante di una montagna così da poterlo coltivare o per regimentare le acque piovane.

In realtà i muri a secco travalicano il concetto concreto associabile al manufatto muro. Rappresentano, di fatto, preziosissimi scrigni in cui è contenuta una incredibile risorsa culturale e naturalistica.

Un muro a secco è una carta d’identità del territorio, osservando le rocce che lo compongono è possibile conoscere la natura dei luoghi, perché le pietre per la costruzione provengono quasi sempre dalle sue immediate vicinanze. Per questo i muri a secco del vesuviano sono neri, perché nera è la lava del Vesuvio e, per lo stesso motivo, quelli della penisola sorrentina e dei Monti Lattari sono bianchi come le rocce calcaree.

Un muro a secco è un testamento, scritto col sudore di chi lo ha costruito. Il termine dialettale di queste strutture, in uso nel comprensorio stabiano, le “mangiarine”, che letteralmente significa “mangia schiene” (1), evidenzia in modo chiaro, quanto fosse faticoso e logorante il lavoro degli artigiani, che pietra su pietra le hanno tirate su, lasciandoci una grande eredità di tecnica, perfetto esempio d’ingegneria naturalistica, un dono per le generazioni future. Un muro a secco è un opera d’arte, un capolavoro capace di abbellire e addolcire un paesaggio antropizzato. È una sorta di piccola “Arca di Noè”, gli spazi  tra una pietra e l’altra ospitano una incredibile varietà di esseri viventi. Tra le viscose fronde della parietaria, gli esili cespi di capelvenere, gli splendidi fiori del cappero e del ciclamino, i morbidi cuscini di muschio, selaginelle ed epatiche, si crogiolano al sole le lucertole, cacciano i piccoli ragni, si muovono lente le chiocciole, svolazzano leggiadre le farfalle, offrendo all’occhio dell’osservatore uno spettacolo di autentica meraviglia. Un muro a secco è la testimonianza tangibile che l’uomo e il suo operato può ancora coesistere con il resto della natura.

Purtroppo, oggi, questo importante patrimonio è seriamente minacciato e rischia di sparire soppiantato dall’anonimo, economico e volgare cemento armato. Questo ho causato la perdita delle maestranze e delle conoscenze tecniche per la realizzazione delle strutture. Al più si provvede a rivestire i muri in cemento con lastre di pietra, l’effetto però è deprimente, come osservare la copia mal riuscita di un quadro famoso.  Sorte migliore non è toccata ai muri a secco già esistenti che non ricevono un’ adeguata manutenzione, alla lunga ciò provoca rovinosi crolli, seguiti dalla sistematica e disgraziata ricostruzione che consiste nella sostituzione delle pietre col cemento.

Nei paesi più piccoli, dove ancora si respira una sana aria d’altri tempi, vivono anziani artigiani capaci di realizzare muri a secco. È a loro che dovremo rivolgerci pregandoli di trasmetterci il loro sapere così da poter mantenere in vita la tradizione e la speranza di poter continuare ad ammirare gli splendidi tesori di questi piccoli scrigni di pietra.

Note: 1- l’etimo corretto del termine dialettale “mangiarina” è certamente macèria, ossia muro greggio non legato da calce, senza intonaco, destinato a chiudere una proprietà. Tuttavia la cultura, non scolastica, dei nostri carcarari ha voluto associare questa parola alla fatica materiale che occorre per realizzare questi muri. Noi Liberi Ricercatori così vogliamo ricordarlo.

Ferdinando Fontanella

Twitter: @nandofnt