vecchiaia

A vicchiaia è ‘na brutta bestia!

A vicchiaia è ‘na brutta bestia!

articolo del prof. Luigi Casale

Vi sono delle storie che non hanno né tempo, né luogo. E forse nemmeno personaggi. Come i “paraustielli”. Tanto è vero che nemmeno si raccontano. Ma non è che non esistano. Sono solo sottintese, codificate, al punto tale che la saggezza popolare (saggezza economica) le richiama mediante una tacita convenzione tra parlante e ricevente (narratore e narratario) con la semplice espressione: “Comm´’a chillo” oppure “Comm´’a chillo r´’o cunto”; a volte, per indicare a chi si riferisca la morale sottintesa presente in tutte le storie (favole), aggiunge anche: “Tu, je fatto comma a chillo r´’o cunto…” o “Nuje facimmo…” o anche “Lloro facetteno…” e così via, per sottolineare un soggetto, un attore, la persona cioè che come primo termine della similitudine si è comportata come “quello del racconto”; chillo r´’o cunto, appunto.
A questo punto non si capisce bene se sia il comportamento della persona della realtà a generare la storiella (il paraustiello) o proprio ‘o paraustiello, in quanto preesistente, che fa da modello al comportamento delle persone. Non è che non si capisca per colpa nostra, per un nostro limite cognitivo, diciamo così; ma è semplicemente perché le cose sono in sé stesse incerte, proprio come la storia dell’uovo e della gallina. A proposito, chi è nato prima?
Ora la storiella, o piccola storia (perciò, storia minima), che voglio raccontarvi è reale, fa parte del vissuto; solo che il tempo e il luogo sono sfumati, e gli stessi personaggi, a parte il narrante (che sarei io: e se potessi mi sprofonderei anch’io nell’anonimato) sono tenuti nel vago.
Molti dei modi di dire, proverbi e stroppole, le ho apprese da mio padre e da mia madre; e – spesso – esse sono caratterizzate proprio dalla loro provenienza. In qualche modo tradivano la diversa filosofia di vita dei miei genitori. Ebbene, mio padre era solito ripetere “‘A vicchiaia è ‘na brutta bestia”.

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All’epoca dei fatti ero giovane e fidanzato, e frequentavo, con rispetto e accettazione reciproca, la casa e la famiglia della mia futura sposa, dove tra i parenti c’era una zia signorina, come ce n’erano quasi in ogni famiglia. Per non tirarla per le lunghe soprassiedo sulla lode delle zie, signorine anziane o “antiche”, che erano la gioia e il tormento (ma soprattutto l’aiuto in tutti i sensi) delle famiglie che avevano la fortuna di averne una; oggi esse sono quasi tutte scomparse: a causa dell’avvenuta emancipazione sono state tutte promosse (o declassate?) a “signore ad honorem”.
Un giorno, durante una conversazione, un po’ per scherzo un po’ per dir sul serio, me ne uscii con questa espressione: ” Zi’ A’ [Anna], ‘a vicchiaia è ‘na brutta bestia!”. Al che zia Anna, sorpresa, mi disse: “Ma che si viecchio tu? E ch’avessa dicere io?”
Pronto, come spesso succedeva quando si voleva scherzare con zia Anna con equivoci e doppi sensi, le risposi: “Zi’ A’, ma chi v’ha ritto ca sto parlanno r´’a vicchiaia mia?”
“Stu fetentone!” fu il rimbrotto indignato (non so quanto scherzoso) di zia Anna; … e subito a rincorrermi per la casa.

Luigi Casale

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