Pasquale Cecchi e…Talete

Pasquale Cecchi e…Talete

a proposito di alcuni fogli elettorali del 1949

a cura del Dott. Raffaele Scala

Il primo documento, intitolato, Promesse e…realtà, presentato da Gaetano Fontana, infaticabile ricercatore e collezionista di storia stabiese, è una pubblicazione propagandistica della Democrazia Cristiana divulgata in occasione della campagna elettorale per le elezioni amministrative del 6 novembre 1949. Uno di quei pezzi di carta stampata destinati a diventare carta straccia il giorno dopo, banali fogli elettorali in cui le opposizioni politiche di ogni tempo e luogo denigrano a prescindere l’operato della maggioranza uscente per soppiantarli nel governo del territorio o dell’intero Paese.

Quando alcuni di questi si salvano dalla normale distruzione perché dimenticati in soffitta o in qualche anonimo cassetto di casa, assumono improvvisamente la dignità di documenti storici, facendoli emergere dal buio del passato, mettendoci nelle felici condizioni di entrare in un tempo che non è il nostro, ma quello dei nostri avi. Nel nostro caso ci proietta nella rossa Castellammare, alla vigilia di diventare Stalingrado del Sud. Gli antagonisti che emergono e si contrappongono sono due figure ormai leggendarie della nostra storia cittadina, il comunista Pasquale Cecchi eletto sindaco nelle prime elezioni libere del 1946 e il democristiano Silvio Gava, entrambi stabiesi acquisiti, il primo proveniente, ancora ragazzo dalla vicina Scafati nel 1912 e il secondo dalla lontana Vittorio Veneto, in fuga verso Sud, sul finire della Grande Guerra, all’indomani della fulminea e infausta rotta di Caporetto.

L’opuscolo parte elencando le promesse elettorali della Giunta socialcomunista e il relativo sostanziale fallimento degli impegni assunti. Cosa importa se la prima amministrazione democratica nasce all’indomani di venti anni di dittatura fascista, dopo quattro anni di guerra che avevano provocato ingenti danni al patrimonio immobiliare cittadino, le distruzioni, i rastrellamenti e le stragi nazifasciste del settembre 1943, l’occupazione militare anglo americana durata fino all’estate del 1946, il terrorismo, anche psicologico, di un forte nucleo di neofascisti nostalgici, poi confluiti nel Movimento Sociale Italiano, la dilagante disoccupazione e la diffusa miseria? E soprattutto tace sulle oggettive difficoltà derivate da un bilancio fortemente passivo, dall’essere una delle pochissime isole rosse della Campania, che si contano sulle dita di una sola mano, dal boicottaggio dei vari poteri istituzionali saldamente nelle mani delle Democrazia Cristiana a partire dai Prefetti, in grado di condizionare le politiche degli amministratori locali e dalle banche diffidenti e avverse alle Giunte rosse. Ad aggravare la situazione la cacciata dei comunisti dal Governo sotto l’impulso degli Usa, la dura sconfitta politica delle sinistre nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948 e la scissione socialista che si compì anche a Castellammare nello stesso consiglio comunale con la nascita dei socialdemocratici, assumendo i volti degli ex socialisti, Francesco Saverio Mascia. Renato Perna e Raffaele Lascialfari portando allo scioglimento anticipato della prima amministrazione rossa.

Nonostante le numerose attenuanti, a mettere sotto accusa la Giunta Cecchi fu anche la stessa sezione del Pci, insoddisfatta di come era stata amministrata la città. In particolare nell’occhio del ciclone vi entrarono sia Pasquale Cecchi, sia Luigi Di Martino, altra leggendaria figura dell’antifascismo stabiese, accusati di non essere stati capaci di incidere sul tessuto sociale ed economico della città. Furono alla fine riconfermati in lista e l’elettorato, nonostante tutto, tributò la fiducia ai due partiti della sinistra storica, conquistando nuovamente la vittoria.

A nulla valsero madonne e processioni guidate da clericali al soldo della Dc, in particolare l’immagine della Madonna di Pozzano inopinatamente utilizzata dalla Concentrazione Democratica che vedeva alleati la Democrazia Cristiana, il Partito Liberale e il partito monarchico. Gaetano Fontana ce ne mostra un fac-simile utilizzato dalla propaganda elettorale con la Madonna di Pozzano, cui non furono estranei gli elementi scissionisti del Psli, ormai entrati nell’orbita moderata, forse gli stessi estensori del secondo documento intitolato, La serva…nel pozzo.. rifacendosi alla figura letteraria descritta da Platone dove prende in giro il filosofo Talete, il quale tutto preso dalla osservazione delle stelle non si accorse del pozzo, cadendovi dentro e per questo preso in giro dalla servetta che aveva assistito alla scena, contrapponendo con ciò la realtà della mente semplice della serva con quella dello scienziato assorbito da inutili elucubrazioni della mente. Riteniamo, pur non avendo nessuna prova, che autore del documento sia Francesco Saverio Mascia. Chi più di lui, emerito professore di Storia e Filosofia al Liceo Classico Plinio Seniore poteva ricostruire l’aneddoto e sbeffeggiare i suoi ex alleati?

Per concludere, laddove non riuscirono madonne e processioni, scomuniche della chiesa, scissionisti, Prefetti e Ministri dell’Interno stragisti, a piegare la resistenza delle Sinistre bastarono una legge truffa e un rinnegato disposto a vendersi per 30 denari, quel Giovanni Cecere, operaio dell’Avis che salito sul palco della Dc, nel corso di un comizio elettorale, stracciò platealmente la tessera del Pci, partito al quale era iscritto, affermando di scegliere la libertà. Quella stessa notte fu aggredito e picchiato, ma ancor prima di finire in ospedale l’Italia intera seppe del pestaggio causato, a dire della vittima prezzolata, dagli ex compagni comunisti, opportunamente diffuso da una trasmissione radiofonica. Un piano diabolico utile a vincere le elezioni amministrative del 28 marzo 1954, per soli 300 voti in più.


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