Cronaca stabiese di cento anni fa

Una cronaca stabiese di cento anni fa. Correva l’anno 1923

a cura del dott. Raffaele Scala

È una storia di cento anni fa, sembra una favola finita male, o se volete, secondo i punti di vista, finita bene con il trionfo della legge. Il quotidiano napoletano, Il Mezzogiorno, l’unico che pubblicò questo fatto di cronaca – fa nomi e cognomi dei protagonisti e delle comparse, persone realmente esistite e quindi dobbiamo, vogliamo crederci che tutto sia vero e non il frutto della fantasia del cronista in cerca di facili emozioni da vendere ai suoi ingenui lettori. Io ve la racconto così come l’ho letta poi ognuno ne tragga le sue conclusioni.(1)

Ambito napoletano, Paesaggio da Pozzano

Torniamo alle notti fredde di fine febbraio del 1923, quando la quiete notturna di Pozzano è rotta da convegni di uomini mascherati dall’aspetto poco rassicurante che soli si aggirano su quel colle. I pacifici abitatori della zona nel vedere quelle ombre notturne, credendoli terroristi o chi sa che si erano rimanevano rintanati nelle loro case. Avevano, in verità avvertiti i carabinieri e fatte arrivare le loro proteste alla locale sezione del Fascio. Per il maresciallo erano sicuramente dei ladri, per i fascisti dei comunisti che tramavano contro la Patria.

E nel pensare ciò, già avevano preparato un discreto quantitativo di olio di ricino da far ingollare ai presunti complottatori. Detto fatto alcune sere dopo, placatasi la pioggia che aveva sferzato il circondario un folto gruppo di fascisti si avviò, intorno alle 22,30, per l’ennesima spedizione punitiva contro gli ultimi irriducibile soviettisti. Non appena giunto sulla piazza il primo gruppo di tre camicie nere, composto da Paolo Esposito, Luigi Porpora e Lucarelli, si diedero ad ispezionarla.(2) Fu il Porpora a scorgere in fondo alla terrazza, dove si erge l’obelisco, delle ombre che al loro apparire si erano nascoste dietro ad alcuni alberi. Senza perdersi in chiacchiere furono addosso ai manigoldi, aiutati in ciò dagli altri camerati che tosto li stavano raggiungendo. Questi erano Mariano Carrese, Mario Fiume, Giorgio Baries, Attilio Castellano, Filippo Ziino, Mariano Gaeta, Paolo Scognamiglio, Giovanni Luise e Pasquale Amato.(3)

I sei presunti banditi furono in meno che non si dica perquisiti e legati con robuste corde e cinghie. A terra, ai piedi dell’obelisco furono rinvenuti zappe, picconi, pale, una lanterna ed i segni di uno scavo da poco iniziato. Considerato il luogo i fascisti credettero che ne avessero fatto il deposito dove nascondere la loro refurtiva o le armi, quindi lasciato un gruppo a guardia, gli altri portarono i sei malviventi alla caserma dei Regi Carabinieri.

Durante il percorso provarono a interrogarne uno, un tale Bottiglieri, detto Giretiello, da Ciro, figlio di NN, il basista della banda e tra gli altri quello dotato di una discreta parlantina, chiedendogli cosa stessero facendo a quell’ora in quel punto, muniti di zappe e pale. E Ciro Bottiglieri, detto Giretiello, non si fece pregare:

Nel mese di agosto dell’anno precedente si era presentato al circolo, “D’o Cecato”, Antonio Carbone, un vecchietto uscito da poco dalla galera, dopo aver scontato una lunga pena per aver partecipato con altri all’assassinio della figlia del ricchissimo armatore Ciampa di Sorrento e che in quell’epoca era andata in sposa del principe Pignatelli. La banda di criminali aveva assalito la coppia di sposi nel corso della loro luna di miele depredandoli di tutti i loro averi. Dopo aver messo al sicuro la refurtiva, gli assassini furono però catturati e incarcerati. Uno dopo l’altro questi morirono durante il periodo di carcerazione e il segreto sarebbe rimasto tale se il solo Carbone non fosse sopravvissuto per poterlo poi raccontare allo stesso Giretiello e a tale Masone. Naturalmente i due si guardarono stupiti per tale confessione e quindi venne naturale chiedere al vecchio come mai non fosse andato lui stesso a recuperare la ricca refurtiva per vivere negli agi i suoi ultimi anni di vita.

A tale richiesta il vecchio assassino ebbe un sussulto, togliendosi il vecchio berrettone che gli copriva il capo e, fattosi il segno della croce, senza altri indugi sentenziò: – Ho espiato dinanzi agli uomini, debbo espiare dinanzi a Dio.

Immaginate la sorpresa di quanti stavano ad ascoltare increduli, ma con gli occhi già pieni di cupidigia e in particolare il Masone, avvicinandosi e offrendogli un bicchierino cominciò a tempestarlo di domande. Lo invitò infine ad un pranzo finché il Carbone, ormai intenerito dalle attenzioni non svelò per intero il suo segreto.

Sopra Pozzano – disse il vecchio Carbone – ai piedi dell’obelisco e propriamente dalla parte opposta di quella che guarda il mare a due palmi sotto terra si troverà inciso sul marmo un nome, Luigi Di Donna, ancora più sotto tre mattoni, dove è l’indicazione precisa della giacitura del tesoro.

Una volta attinte le preziose informazioni la banda fece al suo interno una colletta, raccogliendo sessanta lire che furono generosamente dispensate al loro benefattore.

Per vari motivi lo scavo fu più volte rimandato, fino a quando il lunedì precedente non si recarono sul posto per iniziare lo scavo, per poi portarlo a termine quella stessa sera in cui furono malauguratamente sorpresi e arrestati. Cornuti e mazziati, come si suol dire, visto che i sei aspiranti ladri ci avevano rimesso il pranzo e sessanta lire e ricompensati con la galera.

Intanto erano giunti nella caserma dei carabinieri dove furono identificati. I loro nomi? Eccoli: Vincenzo e Gabriele Massa di Scanzano, Giovanni Gargiulo, Domenico Donnarumma e Ciro Bottiglieri da Pimonte ed infine Antonio Esposito di Castellammare di Stabia.

Il prosieguo della pratica e delle indagini è stata affidata al maresciallo dei carabinieri di Scanzano,

Le mie conoscenze si fermano qui. Se qualcuno più curioso di me intendesse approfondire come è andata a finire la pratica – come la definì il nostro misterioso

cronista – non sarebbe male. Gli stabiesi curiosi sono tanti e chissà quanti sono quelli desiderosi di sapere a quanto ammontava il tesoro, se veramente vi era sepolto, se fu restituito ai legittimi proprietari. E magari, perché no, qualche notizia più approfondita su questa povera sposa di Sorrento, della cui violenta morte non ho trovato traccia, ammazzata nei giorni forse più belli della sua giovane esistenza per quattro sporchi gioielli.

Il grande colpo sarebbe se tra i lettori ci fosse un discendente, una discendente dei protagonisti citati nel racconto, e non sono pochi, che magari conosce la storia tramandata da nonni a nipoti. Se qualcuno/a c’è, batta un colpo. Noi tutti vi aspettiamo a braccia aperte.


Note:

(1) Il Mezzogiorno, 1/2 marzo 1924: Storia meravigliosa di un tesoro e dei suoi cercatori, Articolo non firmato.

(2) Paolo Esposito (1891 – 1951) fra i tre era il fascista più noto: squadrista della prima ora, fu tra i fondatori del Fascio stabiese sul finire del 1921, facendo parte del suo primo direttorio. Consigliere comunale eletto il 10 aprile 1921. Prese parte a tutte le azioni di carattere squadristico e partecipò alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922.

(3) In questo secondo folto gruppo di fascisti primeggiarono negli anni del regime, Mariano Carrese (1896 – 1966), un lontano passato di militante e dirigente del locale circolo giovanile socialista, fu anzi tra quanti lo rifondarono nel 1913. Dopo il 1920 a capo di una delle famigerate squadre d’azione punitive che terrorizzarono il circondario, Ispettore di Zona, fece parte del consultorio municipale negli anni Trenta; Filippo Ziino (1900 – 1981), fu con Esposito tra i primi ad iscriversi al Fascio ed essere nominato nel primo direttorio, mentre con Carrese partecipò a tutte le azioni di carattere squadristico e alla marcia su Roma, impiegato comunale; Mariano Gaeta (1893 – 1973), anche per lui un vago passato da giovane militante del circolo giovanile socialista, iscritto a Fascio il 20 gennaio 1921, fiduciario del sindacato locale comunale, fece parte delle squadre d’azione; Paolo Scognamiglio (1898 – 1974), figlio di negoziante,, iscritto al Fascio dal 15 gennaio 1921, fece parte del primo direttorio, capomanipolo, comandante delle tre famigerate squadre d’azione punitive che imperversarono nel circondario, partecipò a tutte le azioni di carattere squadristiche, consigliere comunale eletto il 10 aprile 1921;Giovanni Luise (1895 – 1956), iscritto al Fascio il 20 gennaio 1921, partecipò a tutte le azioni di carattere squadristico che si svolsero a Castellammare e nell’intero circondario, negli anni Trenta fece parte del consultorio comunale. Anche suo fratello minore, Pasquale (1897 – 1952), condivise gli stessi ideali, compiendo le stesse azioni; Pasquale Amato (1898 – 1985), ragioniere, squadrista, marcia su Roma, vice segretario del fascio nel 1929, negli anni Trenta fece parte del consultorio comunale e finanche commissario del locale fascio nel 1939 in sostituzione del segretario, Gaetano D’Auria promosso Ispettore Federale; Mario Fiume, all’indomani del primo conflitto mondiale, nel 1918, fu Presidente dello Sporting Club, iscritto al fascio dal 1921, fu promosso centurione, comandante di una delle tre squadre punitive. Nel direttorio del locale fascio dal 1925. Non si hanno notizie su Attilio Castellano e Giorgio Baires.

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