vestiti in eredità

I vestiti in eredità

Gli anni ’30 a Castellammare
 nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera

Proprio come un bene immobile, una volta i vestiti dismessi dal nonno o dal padre venivano… ereditati dal maggiore dei nipoti o del figlio. Questa abitudine era invalsa nelle famiglie di modeste condizioni economiche, e non era soggetta… a vincoli legali o notarili; il passaggio di…proprietà avveniva quando il nipote o figlio, lasciata l’età della adolescenza diventava un giovanotto; quando cioè incominciava a disgustarsi la bocca con la prima sigaretta e con l’infatuarsi dalla ragazza ritenuta la più bella del rione.

vestiti in eredità

vestiti in eredità

L’abbigliamento quindi non poteva essere la solita maglietta e i pantaloncini corti, ma ci si doveva vestire da uomo. Stante le ristrettezze economiche della maggioranza delle famiglie si ricorreva quindi alla suddetta… eredità.Il vestito così smesso veniva affidato alle sapienti mani del sarto del rione. E lui, con pazienza lo rivoltava e portava all’esterno quello che era interno e viceversa. Quindi lo adattava al fisico del giovanotto.Ma il trucco di far apparire nuovo quello che nuovo non era, veniva svelato da un piccolo insignificante particolare: una asola, una piccola asola che ultimato il…restauro non si trovava più nel suo posto originale. Questa piccola incisione che veniva praticata sul bavero sinistro della giacca, ultimata l’operazione di rovesciamento compariva, inevitabilmente, sul bavero destro. Che scopo avesse questo piccolo taglio non lo so dire. Forse per infilarci una gardenia (come canta Modugno nella sua canzone “L’uomo in frak”; oppure un garofano, per chi voleva fare lo snob). Non lo so.Nel parlare di questo particolare dei vestiti rivoltati mi è tornato alla mente un episodio comico/politico avvenuto durante l’ultima grande guerra. Ecco di che si tratta.Fin dall’inizio del 1943 la guerra si stava avvicinando alla fine in quanto l’esercito alleato anglo-americano era sbarcato in Sicilia e risalendo lo stivale si avvicinava a Roma; la popolazione era stremata dai bombardamenti aerei e navali e dalla mancanza di cibo, quindi non vedeva l’ora che la guerra finisse in qualche modo; le truppe dell’Asse italo-tedesca erano in ritirata su tutti i fronti di guerra e gli imponenti scioperi generali effettuati nelle fabbriche del Nord stavano facendo precipitare drammaticamente la situazione. Visto che anche per la monarchia dei Savoia si stava prospettando una fine ingloriosa, il re Vittorio Emanuele (e questa è la Storia che lo dice) con la complicità di alcun gerarchi fascisti fece in modo che Mussolini, capo del fascismo e del governo, desse le dimissioni per cercare di salvare il salvabile e prima di tutto Casa Savoia. Il 24 luglio del 1943, fu pertanto indetta una seduta del Gran Consiglio dei Ministri. Questa concitata e drammatica riunione durò molte ore e si concluse verso le 3 del mattino del giorno 25 con le dimissioni e l’arresto di Mussolini.A questo punto devo fare un altro passo indietro e dare la seguente informazione. Agli iscritti del Partito Nazionale Fascista, al quale tutti dovevano aderire altrimenti non trovavi lavoro, non potevi essere assunto negli impieghi statali, non potevi insegnare in nessuna scuola di ordine e grado, ed altre angherie del genere, veniva dato un distintivo che data la sua forma e il suo colore era detto “la cimice”. E quale era il posto più adatto per essere messa in vista questa cimice? Ma si, nella famosa asola di cui sopra.Ed ora ritorniamo ancora a quella famosa notte del luglio 1943. Data l’ora tarda la radio, l’unico mezzo di comunicazione che poteva raggiungere tutte le case, non aveva dato ancora la notizia della caduta di Mussolini, ma la “buona novella” era oramai sulla bocca di tutti.

In quel periodo la mia famiglia, per sfuggire i pericoli dei bombardamenti aerei, da più di un anno era sfollata in un granaio di una cascina in un paese ad una ventina di chilometri da Torino. E tutte le mattine, io e mio padre, prendevamo un trenino locale per raggiungere in città il posto di lavoro. Quel mattino del 25 luglio 1943 i viaggiatori erano particolarmente irrequieti ed euforici: la notizia della auspicata caduta di Mussolini era di dominio pubblico. E tutti, illusi! pensavano che la guerra presto sarebbe finita. Mentre doveva durare ancora quasi due anni, con ancor più grandi sacrifici e lutti. Difatti i tedeschi occuparono tutta l’Italia del nord e parte del centro, nacquero le formazioni partigiane ed iniziò la guerra di Liberazione. Con massacri e feroci rappresaglie. Fin qui la parte storica/politica; e la parte comica? Eccola!
Per non apparire ancora legati al fascismo i viaggiatori di quel treno facevano a gara a chi si liberava più in fretta possibile della famosa “cimice”. Il pavimento della carrozza ferroviaria sembrava un campo agricolo dove crescevano distintivi al posto delle fragole! E così anche il marciapiedi della stazione ferroviaria. Se in quel momento si fosse pensato che quei simboli fascisti, col tempo, fossero poi diventati dei reperti storici, raccogliendoli si aveva per le mani una piccola fortuna.
Perdendomi, nel ricordare la parte storica/politica di questo mio scritto, mi son dimenticato di aggiungere un altro particolare relativo all’abbigliamento dei giovani all’epoca dei vestiti rivoltati. Allora si portavano anche i calzoni alla zuava. Perché si chiamassero così non lo so, ma so descriverli con precisione. Si trattava di pantaloni con lo “sbuffo”, che partiva dalla vita, si allargava al massimo all’altezza del ginocchio per poi chiudersi al polpaccio della gamba. L’abbigliamento era completato da un paio di calzettoni coloratissimi.
Vestiti così si era abbastanza ridicoli, e se io mi fossi presentato così acconciato in Via Santa Caterina, sarei stato subissato da fischi e pernacchie, ed a ragione.

Gigi Nocera

 

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