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Villa del Satiro

Ricordi dell’antica villa di Stabia

Ricordi dell’antica villa di Stabia

Oggi

Castellammare di Stabia1

di

Richard Acton

Traduzione della Dottoressa Martina Cesarano

Interno di Copertina

Interno di Copertina

Prefazione
La ragione che mi ha convinto a scrivere quest’opera è la mancanza di nozioni precise sull’antica Stabia, e il poco ordine che c’è in quelle già pubblicate. Molti autori si sono occupati di questo tema ma considerano soprattutto la nuova Stabia, oggi Castellammare, che l’antica che sarà, in questa piccola opera, il principale soggetto delle mie ricerche.2
Avendo soggiornato per molti anni a Castellammare e avendo fatto numerosi corsi nelle vicinanze, avendo assistito a numerosi scavi che hanno fatto e avendo esaminato attentamente il suolo e le rovine di questa interessante città, posso essere in grado di dare un’esatta descrizione, illustrata delle scene rappresentati i monumenti più importanti e gli oggetti più curiosi.

Tomba di Marcus Virtius

Tomba di Marcus Virtius

Capitolo I
Situazione di Stabia, fertilità del suolo e salubrità dell’aria. La fondazione. La distruzione, prima di Sylla e in seguito dall’eruzione del Vesuvio.

I Situazione di Stabia

Stabia è situata nella contrada, chiamata dai latini “Ager Campanus”, faceva parte del Picentino, ed era conosciuta anche sotto il nome “Campania Felice”. Ecco come Strabone descriveva la Campania: “ Da Sinuessa (Mondragone) verso l’altra riva c’è un golfo di una certa grandezza che si estende fino al Miseno (Bacoli); poi un altro molto più grande (detto Cratere) dopo il promontorio del Miseno, fino a quello di Minerva; questo golfo è chiuso tra due promontori. È su questa parte della riva che è situata l’intera Campania, la più fortunata di tutte le pianure.”. Riguardo all’antico sito che Stabia occupava c’è una diversità di opinione tra gli autori. C’è chi lo situa a nord del fiume Sarno (precisamente dove si trova Torre Annunziata); ma è facile da capire che questa definizione è falsa; infatti è contraria alle testimonianze di Seneca:” Pompei, la celebre città campana, che da un lato ha la riva di Sorrento e Stabia e dall’altra quella di Ercolano”. Sembrerebbe uguale e contraria a quella di Galeno:” lo stesso posto, cioè Tabie (Stabia), è in fondo al golfo che vediamo tra Sorrento e Napoli; ma più di lato verso Sorrento. Tutto questo lato è formato da una collina molto grande che si estende verso il mar Tirreno e affonda dolcemente verso il tramonto e non avanza fino a mezzogiorno”. Al contrario delle testimonianze di Ovidio , che parlando del viaggio di Enea, dicono: “ In seguito si costeggia Capri e il promontorio di Minerva, le colline di Sorrento, le fertili vigne e la villa d’Ercole cioè Stabia e la tranquilla Partenope”. Anche se il poeta ha nominato la città di Ercolano prima di Stabia, l’ha fatto solo per necessità poetica. Al contrario di quello che diceva Cicerone, quando scriveva a Mario, che abitava a Pompei: “Non dubito, tuttavia, che da quest’antro sei entrato a Stabia, dove hai scoperto il Miseno, ma non usare il tempo della mattina per le tue piccole lezioni”. Infine molti scrittori moderni, come Mario Freccia, Camillo Pellegrino e molti altri, sostenevano di come gli Antichi, che abbiamo appena citato, che Stabia era situata al di là della riva sinistra del Sarno; ma senza essere d’accordo, del tutto, sul vero sito che la città occupava oltre il fiume. Avendo trovato tra Varano e Carmiano una gran quantità di edifici possiamo assicurare che l’antica Stabia è stata costruita in questo luogo prima della distruzione di Sylla. Osservando con attenzione tutte le colline, da quella di Pozzano, passando per Faiano, Quisisana e girando da Carmiano, San Marco Vetere, a Varano si trovano dei resti di templi, sepolcri e cantine (per il vino), tutte cose che fanno credere che se il centro dell’antica Stabia era situato tra Varano e Carmiano, la città attuale di Castellammare con Pozzano, Faiano e Quisisana non era che una periferia. Il resto delle antichità già scoperte, e che abbiamo trovato oggi a Gragnano e dintorni, non erano che monumenti situati nelle proprietà di Stabia o dei villaggi (Pagos secondo Plinio) che sono stati costruiti dopo la distruzione della città da parte di Sylla, quando tutti gli abitanti dell’antica città, per sfuggire alla spada del conquistatore, costruirono i villaggi nelle vicinanze. Il territorio di Stabia si estendeva, dai monumenti che abbiamo scoperto, fino a dove si trova attualmente Santa Maria delle Grazie (o Lettere) e consiste in due parti distinte: la prima contenente due altari, la seconda dedicata al Genio di Stabia.

Casa dei Geni

Casa dei Geni

Dall’altra parte comprendeva il versante settentrionale del Monte Auro (fino al luogo chiamato oggi Portocarello) e tutta la riva inferiore fino a Marina di Stabia o Marna. Questo territorio era separato da quello di Pompei da un’insenatura molto avanzata nelle terre che, cominciando dalla punta occidentale della città si estendeva all’interno verso quella che oggi chiamiamo Valle Diruta, dove si trovava la foce del Sarno, e arrivava fino al punto chiamato Bottaro, in maniera che le terre sulla riva destra del Sarno appartenevano al territorio di Pompei, quelle sulla riva sinistra, fino all’estremità dell’insenatura, a Nocera, e quelle sulla riva occidentale, a Stabia. In effetti, Plinio il giovane diceva:” Ercolano, non è molto lontana da Pompei, si trova di fronte al Vesuvio; invece il territorio di Nocera segue il flusso del fiume Sarno, e la città stessa di Nocera è a nove miglia dal mare”. Da questo passaggio di Plinio possiamo concludere l’esistenza di un litorale, nell’epoca precedente la grande eruzione, che si trovava a nove miglia da Nocera. Oggi partendo dalla Cattedrale (costruita sulle rovine di un antico tempio) contiamo circa undici miglia fino al mare, che si è ritirato di duemila passi. D’altronde questo prova quello che abbiamo ipotizzato cioè che tutto questo spazio, che si estende da Pompei all’attuale Castellammare, e che gli abitanti del paese chiamano Messigno, si trova qualche piede al di sopra del livello del mare, lungo la costa a occidente. Nessuna collina si estende su questa pianura, che discende dolcemente verso l’isola di Rovigliano, e se analizziamo il suolo di questa terra noteremo che è composto quasi interamente di pietra pomice e cenere del Vesuvio, fino alla profondità di quaranta piedi; ciò dimostra che questo spazio, prima di essere colmato, era parte un litorale profondo tra i venti e ventidue piedi. Quando gli abitanti del luogo avevano bisogno d’acqua per irrigare i territori, scavarono molti pozzi e trovarono dei grandi pezzi di legno,3 alcuni perpendicolari altri più obliqui ma trattenuti su una base. Nel 1819, il colonnello Piscicelli, scavando un canale per condurre l’acqua del Sarno verso le sue terre, in mezzo al territorio di cui stiamo parlando, ne trovò tre a quaranta piedi lontani gli uni dagli altri. Inoltre abbiamo scoperto questi pezzi di legno in mezzo a cenere e pietre pomici, a poche profondità sotto il livello del mare, e di conseguenza all’interno di un terreno che non sarebbe stato adatto a produrre degli alberi di tale grandezza, a causa dei depositi di acqua minerale che avrebbero impedito alla vegetazione di crescere. Questi pezzi di legno non sono stati tagliati ma sembrano essere stati lavorati per l’uso delle navi e sono stati seppelliti con loro al momento della grande eruzione, e quindi non sono altro che alberi di legno. Ulteriore prova è il tipo di legno: tutti i pezzi sono di legno di cipresso e come sappiamo gli antichi usavano il cipresso negli alberi delle galee con diverse file di remi, come si può vedere nella storia antica, dove si parla delle galee di Gerone, Denis, Tolomeo, Caligola, ecc. Alla fine del Marzo 1831, sul terreno del fattore Serrapico, abbiamo provato a dissotterrare uno di questi pezzi di legno che avevamo liberato fino alla profondità di dodici piedi, dove la pomice non opponeva più resistenza. Non ci siamo riusciti poiché l’argano si è rotto. Ciò suggerisce che la resistenza proveniva da un ostacolo sul fondo e che non era che un palo collegato alla costruzione da cunei di ferro. Infine tra i pezzi di legno scoperti, alcuni avevano dei cerchi di ferro con dei ganci alla fine; alcuni invece erano fatti alla maniera chiamata Calcese,4 che è ancora in uso nelle barche a vela. Sono stati trovate anche pulegge, cerchi, anelli di ferro, chiodi triangolari e altri oggetti appartenenti alle navi. Crostacei e pesci pietrificati sono stati trovati anche in questa pianura, nel luogo comunemente chiamato Marna o Marina. Da tutto ciò che abbiamo appena detto, possiamo concludere che queste campagne, dove furono scoperte, costituivano in passato l’insenatura di cui parlava Plinio: si trattava di una baia, probabilmente utilizzata come porto tra Pompei, Nocera e Stabia.

Villa del Satiro

Villa del Satiro

II Fertilità del suolo e salubrità dell’aria

Stabia non aveva niente da invidiare, come fertilità del suolo, alle altre contee d’Italia. Bastava osservare che si trovava in una delle più belle parti della Campania, ed è noto che gli antichi la consideravano tra le pianure più fertili. Il suo territorio era abbondante in eccellenti frutti, vino, olio, grano ecc. Era soprattutto nota per la salubrità dell’aria e l’eccellenza dei pascoli e forse è per questa ragione che la città fu chiamata Stabia, che in lingua egiziana significa “erbe salutari o medicinali”. Le campagne erano molto decantate dagli antichi per i pascoli che fornivano alle mandrie il latte balsamico, molto rinomato in passato. Galeno, nel 143 A.C ne fece un grande elogio, attribuendogli degli effetti ammirevoli e raccontò la guarigione di un malato che sperimentò lui stesso la medicina sulle numerose ulcere che aveva all’interno della trachea, derivate dal male che lui chiamava pestilenziale: “il quarto giorno a Stabia ho fatto uso del latte tanto decantato, non senza ragione, per le sue proprietà miracolose. Diverse circostanze portano a raccomandare il latte di Stabia per l’aria secca, la salubrità dei pascoli ecc”. L’autore stesso aggiunge una descrizione del monte Lattaro, dove il latte viene raccolto. Probabilmente il nome “Lattaro” viene da Lettere, un villaggio, con un castello, che una volta è stato una città episcopale. Si presume, inoltre, che il nome monte Lattaro fosse, in passato, attribuito a tutte le montagne che si trovano sul versante settentrionale del monte Auro. Ecco le parole di Galeno, citate anche nella Dissertazione Isagogica degli Accademici di Ercolano: “il sentiero che conduce qui (quello che descrivono come molto salubre per gli ammalati) si trova a poco più di trenta stadi dal mare. Sulla riva si trova la cittadina di Stabia (Oppido) nella più grande rientranza del Golfo tra Napoli e Sorrento, ma più sulla costa di Sorrento”. Aurelio Simmaco, vissuto nel 384 D.C nell’era cristiana, disse, parlando del latte di Stabia, che aveva una grande popolarità a quei tempi: “Desideravamo andare a Stabia per estirpare, con il latte delle mandrie, i resti di una lunga malattia”. Ecco perché ci ha inviato i suoi due figli Marco e Aurelio. Cassiodoro, vissuto nel 514 D.C, ne vanta le virtù e racconta che uno dei domestici del re Teodorico, chiamato Davide, fu inviato lì dal suo padrone per curarsi dalla tisi. Ecco cosa ha detto:” la salubrità dell’aria, unita alla fertilità del suolo, produce erbe di una qualità unica per il nutrimento delle vacche che, ingrassate da questi pasti eccellenti, danno un latte così sano che è idoneo a ripristinare la salute di tutti coloro i cui consigli dei medici erano stati del tutto inutili”. Questa salubrità dell’aria non ha cessato di essere la stessa dei tempi antichi e in effetti il Palazzo Reale di Quisisana deve la sua denominazione proprio a questo. Anche molti re di Napoli erano andati lì per riacquistare la salute, tra cui Carlo II d’Angiò, che preferiva questo posto a tutti gli altri, il re Roberto che vi guarì da una malattia, re Ladislao che si ritirò qui durante la peste, la regina Giovanna con suo figlio adottivo Alfondo d’Aragona ecc. Stabia fu celebre anche per le sue acque dolci e minerali. Le prime sono estremamente fresche, limpide e abbondanti, tanto che gettandosi in mare addolcisce l’amarezza e attira una gran quantità di pesci a riva. Le acque minerali di Stabia sono di diverse specie, in grado di guarire molti tipi di infermità; Plinio ne parla nel 2° capitolo della “Historia Naturalis”. Coloro che sono curiosi di avere un’idea esatta di come sono queste acque allo stato attuale, possono consultare tra l’altro i libri su questo argomento, quello di Gaetano Fornò.

III Fondazione di Stabia

Non possiamo fissare con precisione l’epoca della fondazione di Stabia, quindi bisogna accontentarsi delle poche notizie che ci hanno lasciato gli antichi storici. C’è chi l’attribuisce a Ercole l’egiziano, che approdato su queste spiagge, dopo le sue conquiste in Spagna; senza dubbio, Ercole, attratto da questi luoghi per la salubrità dell’aria avrebbe potuto desiderare di stabilirsi lì (in effetti il nome Stabia, o Stabiis, deriva dall’egiziano, come abbiamo già osservato, e significa erbe medicinali e salutari) e si narra che il luogo dove sia sbarcato prenda il nome di Pietra d’Ercole (Rovigliano). Se così fosse la fondazione di Stabia anticiperebbe quella di Roma di 485 anni, secondo alcuni studiosi, cioè intorno all’anno 1233 a.C. Alcuni storici, tra cui Servio e Conone, attribuiscono la fondazione ai Pelagi, che abitavano sulle rive del fiume Sarno, e che, secondo Virgilio, avrebbero anche fondato Nocera. Ma anche se i Pelagi avessero vissuto a Stabia, pensiamo che non siano stati loro i fondatori perché se così fosse la fondazione della città, secondo Diodoro Siculo, risalirebbe all’anno 125 a.C ed è impossibile che da quel momento fino ai tempi della distruzione per mano delle armate di Sylla, nell’anno 89 a.C (cioè in uno spazio di 36 anni), una città abbia raggiunto una tale grandezza e potenza da poter resistere alle forze delle armate romane. A sostegno della nostra ipotesi menzioneremo Caio Plinio il vecchio, che assicura che ai tempi di Sylla, nell’anno di Roma 665, Stabia era fiorente e bella.Oltre ai Pelagi altri popoli come gli Osci, Etruschi, Sarrastri e Sanniti, occuparono Stabia, conquistandosi a vicenda in tempi diversi.

Utensili della casa dei Candelabri

Utensili della casa dei Candelabri

IV La distruzione di Stabia prima per mano di Sylla, poi dall’eruzione del Vesuvio, sotto Tito

Le varie provincie e città italiane, vedendosi oppresse dall’impero romano, dalla grandezza che aveva raggiunto, che li sommergeva continuamente di tasse, togliendo loro le terre e riducendole in miseria, si videro costrette ad insorgere contro il governo oppressore della capitale. Ma non raggiunsero lo scopo fino al conseguimento del diritto alla borghesia romana, nella speranza di ottenere, con questo mezzo, la diminuzione delle tasse che gravava su di loro. Il Senato, che aveva messo a morte Valerio Flacco e Livio Druso, tribuni del popolo che si erano battuti per il diritto alla borghesia, fece capire che non potevano aspirare a nulla in quel senso. Allora si confederarono e iniziarono la famosa guerra, nota con il nome Guerra della Marsica, o guerra civile, in cui perirono più di trecentomila soldati e che mise Roma sull’orlo della crisi. Tra le città in rivolta, Stabia, dopo essersi valorosamente difesa sotto il comando di Caio Papio II, fu infine presa e distrutta da Lucio Sylla comandante dell’esercito romano e ridotta a piccoli villaggi nell’anno 89 a.C. Ecco le parole di Plinio sull’accaduto: “in Campania ci fu la città di Stabia fino al tempo del consolato di Pompeo e di L. Carbone, alla vigilia delle calende di Maggio Sylla, legato durante la guerra civile, la distrusse ed ella adesso è ridotta ad un cumulo di villaggi”. Gli abitanti che riuscirono a scappare al ferro del conquistatore, si rifugiarono sulle colline e montagne circostanti.

Condizioni

Condizioni


Note:

  1.  N.B.: le quattro scene contenute all’interno di questa prima stesura non hanno alcun rapporto con essa, crediamo di dover capire che queste serviranno a illustrare i monumenti che saranno menzionati più tardi, e che potranno essere messe al loro posto quando l’opera sarà completa.
  2. Tra gli altri Milante nella sua opera “De Stabiis, Stabiana Ecclesia et Episcopis ejus”, in cui si parla solo dei vescovi di Stabia e del diritto d’antichità che la loro diocesi si vantava di avere su quella di Sorrento, e l’autore del “Cenno Istorico -Descrittivo della città di Castellammare di Stabia” che dice ben poche cose dell’antica Stabia e si occupa solo dell’attuale. È lo stesso per le guide e i dizionari geografici ecc.
  3. I pezzi di legno trovati fino ad oggi sono circa 15 e tutti posati verticalmente o poco inclinati e ad una certa distanza gli uni dagli altri.
  4. Cima degli alberi dove i marinai salivano per fare delle scoperte.