Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio Vittorio Iovino
dalla Marina Militare alla Marina Mercantile

Vittorio da ragazzo

Vittorio da ragazzo

Sono nato a Castellammare di Stabia il 5 marzo 1929, precisamente alla Via Coppola nella zona di Caporivo. Appena adolescente ho frequentato la scuola per allievi operai del cantiere navale stabile appartenente alla Società Navalmeccanica. Nel 1949, richiamato alle armi in Marina, fui inviato a La Spezia ove mi assegnarono la categoria di “conduttore di macchina”.
Nel 1950 andai volontario in Somalia, protettorato italiano e fui imbarcato sulla nave coloniale Cherso che faceva base a Mogadiscio (1).

La nave coloniale Cherso

La nave coloniale Cherso

Il Cherso (foto sopra) era una ex nave-trasporto proveniente dalla Marina austro-ungarica, costruita presso i cantieri A.K.T. Ges Neptun di Rostok, fu iscritta nel Naviglio Militare nel 1923 e, nel 1927, fu trasformata in nave coloniale; nel 1938-39 partecipò a un’importante campagna idrografica in Somalia insieme con la nave Magnaghi al comando del Capitano di vascello Mario Bonetti, che esercitava la funzione di capo spedizione. Il Cherso venne radiato il 30 giugno 1951. La nave, che in precedenza era stata denominata Amalfi, aveva un dislocamento di 4.427 tonnellate; le dimensioni erano: 91,6 x 12,5 x 5,4 metri; l’apparato motore del tipo alternativo e sviluppava una potenza di 735 cavalli; l’armamento era composto da 1 cannone da 120 mm ed 1 da 76; mediamente il suo equipaggio era formato da 125 uomini.

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Iovino sulla nave Cherso in Somalia

Spesso andavamo in pattuglia a terra per sventare attacchi delle bande armate irregolari che facevano scorribande fino al porto. Partecipai a diversi scontri a fuoco per fortuna senza subire danni. Le bande irregolari erano dedite anche al contrabbando e alla razzia di persone e bestiame. La situazione in Somalia non era delle più facili. L’11 gennaio del 1948, a Mogadiscio, decine di italiani rimasti a vivere nella nostra ex colonia, furono barbaramente trucidati in una assurda ed imprevedibile manifestazione di violenza dei somali. Mi fu raccontato dai pochi superstiti che la domenica dell’11 gennaio centinaia di somali attaccarono gli italiani dovunque si trovassero; entrarono nelle loro case e massacrarono a bastonate o a colpi di coltello gli occupanti, passando poi a devastare e saccheggiare. Non ci fu pietà per nessuno: uomini, donne, vecchi e bambini vennero aggrediti e trucidati. Nessuno si poté difendere perché le armi era state requisite dagli inglesi – predisposti al mantenimento dell’ordine pubblico – che assistettero impassibili al massacro ed intervennero successivamente per liberare le strade dai corpi degli uccisi. Si salvarono solo 700 persone che si erano recate in cattedrale per assistere alla messa domenicale. Le vittime furono: 54 persone trucidate, 55 ferite in modo grave unitamente a decine di somali che avevano cercato di difendere gli italiani. Tutto questo fu, in un certo modo, preparato dagli inglesi che nei giorni precedenti avevano fatto affluire dal Kenia decine di poliziotti e persone di colore, particolarmente attive nel successivo massacro. Con questi presupposti, le nostre missioni a terra, qualche volta fino ai confini, erano particolarmente rischiose (2). Rientrato in Italia nel 1951, fui assegnato sul cacciatorpediniere Monzalbano in disarmo a La Spezia. Il Monzalbano era un cacciatorpediniere classe Curtatone, varato nel 1923 dai cantieri Orlando di Livorno. Il suo dislocamento era di 1214 tonnellate; le dimensioni, in metri, le seguenti: 84,9 x 8,0 x 3,1; l’apparato motore consisteva in 4 caldaie e 2 turbine per una potenza di 23.000 cavalli ed una velocità di 32 nodi. Dal 1942 l’armamento originarle era stato sostituto con: 2 cannoni da 102 mm., 6 mitraglie da 20 mm., 2 tubi lancia siluri da 533 mm. e 2 lanciabombe a.a.

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

Il marinaio stabiese Vittorio Iovino

 

Sul cacciatorpediniere non c’era nulla da fare, si attendeva solo la sua demolizione. Stanco della vita monotona di bordo, mi arruolai nella Finanza di Mare a Genova ma, poi, ritornai in Marina e fui imbarcato sul sommergibile Turchese, uno dei pochi rimasti a galla dopo la guerra.

Sommergibile "Turchese" in navigazione

Sommergibile “Turchese” in navigazione

Il Turchese risultava ufficialmente radiato dal 1948 perchè il Trattato di pace ci proibiva di possedere sommergibili; la falsa torre era stata asportata ed il battello ufficialmente era destinato a deposito di nafta. Ma noi rimediammo e costruimmo con lamiere la parte interessata alla torretta in modo da risultare il tutto efficiente per poter continuare ad uscire in mare. Gli americani sapevano tutto, ma chiudevano un occhio e noi potemmo di nuovo uscire in mare per le esercitazioni (3). A bordo seppi che il Turchese aveva avuto un comandante di Gragnano e cioè il Capitano di corvetta Gustavo Miniero (4). Sono stato, successivamente, imbarcato anche sulla nave cisterna Volturno.

La nave cisterna "Volturno"

La nave cisterna “Volturno”

Il Volturno era una cisterna per acqua, varata nel 1937 nel cantiere C.N.R. di Ancona. Il suo dislocamento era di 3.556 tonnellate e le sue dimensioni: 87,2 x 11,8 x 5,4 metri; due caldaie a tubi d’acqua tipo marina militare, fornivano vapore ad una macchina alternativa a triplice espansione con una potenza di 1.700 cavalli ed una velocità di 11,5 nodi; l’armamento originale era formato da 2 cannoni da 102 mm e 4 mitraglie antiaeree. L’equipaggio era di 72 uomini compresi 5 ufficiali. Ho saputo dal mio intervistatore che alla fine degli anni ‘60 i due cannoni erano stati sostituiti da una mitragliatrice binata a prua mentre sulle ali di plancia, si trovano ancora le vecchie mitraglie antiaeree. La nave forniva acqua alle isole Egadi, Eolie, Tremiti e Lampedusa. Congedatomi dalla Marina, lavorai per qualche tempo nel cantiere navale di Castellammare di Stabia, sempre come meccanico. Ma il richiamo del mare era forte e tornai ad imbarcarmi. Questa volta nella Marina Mercantile e precisamente nella Flotta Lauro in qualità di sottufficiale di macchina sulla Motonave Surriento (5).

Motonave "Surriento"

Motonave “Surriento”

Questa motonave fu costruita nel 1946 per la compagnia nordamericana Grace Line che la chiamò Santa Maria. Nel 1949 venne acquistata dalla Flotta Lauro e trasformata nel transatlantico Surriento. Aveva due fumaioli, 15.350 tonnellate di stazza e navigava sulla rotta Italia-Australia (6).

Vittorio Iovino è al centro

Vittorio Iovino è al centro

Vittorio Iovino a bordo della "Surriento"

Vittorio Iovino a bordo della “Surriento”

Anni dopo la Surriento fu rimodernata e ristrutturata (perse un fumaiolo) riuscendo, così, a raggiungere la velocità di quasi 20 nodi. Sulla motonave ho effettuato diversi viaggi in Australia per il trasporto degli emigranti. Il viaggio era lunghissimo e faticoso; a bordo non c’era l’aria condizionata e la sofferenza per il caldo tropicale era sia per i passeggeri e sia per l’equipaggio, specialmente noi destinati in sala macchina. Sempre con la Surriento sono andato più di quaranta volte in Venezuela, questa volta la nave aveva un impianto di condizionamento. Mi ricordo che una volta, in Atlantico, abbiamo speronato un grosso capidoglio che rimase per diverse ore incastrato nel dritto di prora. Solo dopo alcune manovre riuscimmo a liberarci ed a liberarlo.

Vittorio Iovino veterano dell' A.N.M.I. stabiese

Vittorio Iovino veterano dell’ A.N.M.I. stabiese

Agli inizi degli anni ’60 terminò la mia avventura in Marina Mercantile e, dopo lavori saltuari sempre nel comparto meccanico-navale, sono andato in pensione. Da allora frequento l’Associazione Marinai di Castellammare alla quale sono particolarmente affezionato.


Note:

(1) Il 1° aprile del 1950 si insediava l’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia (AFIS) con l’impegno, secondo l’O.N.U., che entro dieci anni, il Governo italiano avrebbe dovuto condurre l’ex colonia alla piena indipendenza, favorendone lo sviluppo politico, economico e sociale. L’Amministrare, in rappresentanza del governo italiano, era anche comandante delle Forze Armate i Somalia, composte da un Corpo di Sicurezza ed un Corpo di Polizia, il tutto sotto il controllo di un Consiglio Consultivo dell’ONU.

(2) Il massacro di Mogadiscio del 1948 rappresentò un’altra pagina oscura dei rapporti tra l’Inghilterra e l’Italia nel dopoguerra. Il governo inglese istituì una commissione di inchiesta (Rapporto Flaxman) presieduta dal maggiore Flaxman e dal console italiano a Nairobi, Della Chiesa. Furono ascoltati decine di testimoni. Ma tutto fu insabbiato. Il Rapport Flaxman divenne top secret; nessuno degli ufficiali inglesi preposti all’ordine pubblico a Mogadiscio in quel tempo, pagò per questo massacro. Neppure il governo italiano di allora fece niente: non si oppose alla secretazione del Rapporto Flexman, non cercò di scoprire ciò che era veramente successo. Tacque e si disinteressò dell’accaduto, il tutto per ragioni di Stato, per salvare i rapporti italo-britannico.

(3) A causa del Trattato di Pace, entrato in vigore il 15 settembre 1947, che imponeva il divieto di possedere sommergibili, la Scuola e il Comando Sommergibili cessarono temporaneamente di esistere. Al Comando Sommergibili subentrò MARISTRALSOM che ottemperò all’ingrato compito di provvedere all’affondamento o alla consegna ad altre marine dei battelli rimasti. Anche se ufficialmente soppressa, in realtà la Scuola Sommergibili proseguì l’attività addestrativa avvalendosi dei Sommergibili Giada e Vortice. Questi due battelli, non “ritirati” dalla Francia cui erano stati destinati in conto riparazione dei danni di guerra, con vari espedienti furono sottratti alla distruzione e classificati come “P.V.1” e “P.V.2” (Pontoni di carica veloce). Impiegati ricorrendo a sotterfugi e camuffamenti per eludere i divieti, permisero di proseguire una seppur minima attività addestrativi, sufficiente, però, a formare i nuovi sommergibilisti. Nel dicembre 1951, decadute le clausole più restrittive del Trattato di Pace, questi due battelli furono reintegrati ufficialmente nel naviglio dello Stato, con la loro funzione ormai soltanto addestrativa, e diedero inizio alla rinascita della componente subacquea Italiana. Sul Giada e sul Vortice vennero addestrati gli equipaggi che, alla fine del 1954, partirono per andare ad armare, a New London (U.S.A), i sommergibili Tazzoli (ex USS Barb) e Da Vinci (ex USS Dace), prime due Unità di una serie ceduta dagli Stati Uniti alla Marina Militare nell’ambito del programma di assistenza e che per oltre un decennio. costituirono la nostra forza subacquea.

(4) Il Capitano di corvetta Gustavo Miniero, nato a Gragnano il 14 ottobre del 1906, è stato comandante del Turchese negli anni ’40. Successivamente fu insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare sia come comandante del sommergibile Jalea e sia del Saint Bon. Al comandante Miniero gli fu conferita questa ultima onorificenza “ alla memoria” in quanto affondò insieme al suo equipaggio il 5 gennaio del 1942 al largo di Milazzo. La motivazione era la seguente:” Comandante di sommergibile, destinato a missioni di rifornimento, senza sostare nella dura fatica, portava la sua unità alla difficile meta, contrastando l’offesa nemica e la frequente inclemenza del tempo. Dimostrava entusiastica dedizione al servizio e sereno ardimento in queste missioni che, coll’ausilio portato contribuivano al successo delle altre Forze Armate” Il Saint Bon, uno dei più grandi e nuovi battelli della Regia Marina,, mentre navigava da Taranto verso Tripoli per trasportare un carico di 155 tonnellate di carburante e munizioni, fu avvistato dal sommergibile inglese Upholder che gli lanciò contro una salva di siluri. Il Saint Bon esplose ed affondò rapidamente con tutto il suo equipaggio. La torpediniera Pegaso, comandata dallo stabiese Francesco Acton , il 14 aprile 1942 affondò a sua volta il sommergibile Upholder.

(5) La Surriento fu successivamente trasformata in nave crociera e messa sulla rotta dei Caraibi. Fu disarmata nel 1966.

(6) Dopo la guerra, l’Australia avviò u n programma d’immigrazione iniziato nel 1945 dal Ministro Arthur Calwell che prevedeva il popolamento e lo sfruttamento delle risorse ad incoraggiare l’emigrazione verso la “Nuova America” – visto che la “Vecchia America” aveva ristretto il flutto immigratorio – fu un accordo stipulato il 29 marzo 1951 tra il governo italiano ed il Commo wealth australiano. Con tale accordo l’Italia si impegnava a selezionare ed assistere, sia dal punto di vista amministrativo e sia da quello sanitario, le persone che intendeva stabilirsi in Australia per un periodo di almeno due anni; il governo australiano assicurava loro lo stesso trattamento di quello riservato ai suoi cittadini.

 


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