La battaglia dei Cantieri metallurgici Italiani

( a cura del dott. Raffaele Scala ) 

Premessa dell’autore

Nei giorni scorsi sono apparse notizie riguardanti una zia stabiese del neo Papa, Francesco, poi rivelatasi una cugina, scomparsa nel corso degli anni Novanta. Questa cugina aveva sposato l’ingegnere pisano Ugo Sbrana, direttore dei Cantieri metallurgici, personaggio, a suo modo eclettico, che ben si inserì nel contesto stabiese. Lo ritroviamo, infatti, Presidente dello Stabia negli anni che videro la conquista della serie B nel 1951, membro del Comitato Scavi di Stabia diretto dal mitico Libero D’Orsi, Presidente del Rotary Club Castellammare Sorrento nel 1969-70. Qualche giornale ha ricordato, storpiando gli eventi, l’episodio della lotta dei lavoratori dei Cmi, una lotta leggendaria che secondo alcuni rinforzò il mito della Stalingrado del Sud e che vide tra i protagonisti lo stesso Ugo Sbrana.
Allora può essere interessante offrire questa storia alle vecchie e nuove generazioni, lo faccio estraendola dalla vicenda più complessiva della Storia del Movimento Operaio di Castellammare di Stabia, da me in parte pubblicata qualche anno fa e in attesa di una nuova più completa e definitiva edizione per la quale mi manca il necessario sponsor economico.

Targhetta CMI (collez. Catello Esposito Sansone)

Targhetta CMI (collez. Catello Esposito Sansone)

(….) si apre, nel maggio 1957, la vicenda epica dei Cmi. Nei primi giorni di quel mese la direzione aziendale comunicò il licenziamento di 333 operai su 1.000 in organico, a seguito dei processi d’ammodernamento degli impianti, resi necessari dalla mancanza di materia prima, la bidonit, cilindri d’acciaio dolce dalla quale si ricavava una lamiera assai sottile utilizzata per la produzione della latta indispensabile per il confezionamento delle scatole per il concentrato di pomodoro e degli altri prodotti conservati. Questo prodotto, ormai superato dalle nuove tecnologie, era fuori produzione in Italia e nel resto d’Europa, come ebbe modo di accertare il ministro Silvio Gava durante un suo viaggio in Lussemburgo, assumendo informazioni presso le aziende collegate alla comunità carbosiderurgica. I nuovi impianti, la cui capacità produttiva era molto elevata con notevole riduzione dei costi, avevano comportato una modifica nella produzione della banda stagnata, da calda a fredda, rendendo superfluo il reparto lamierini, in cui lavoravano gli operai in esubero. Iniziò in questo modo l’epopea di una lotta, divenuta ben presto, nell’immaginario collettivo, leggendaria. E ancora oggi rimane viva nella memoria di quanti la vissero.
Iniziarono da subito lotte e manifestazioni, con la partecipazione dell’intera città e degli stessi commercianti, con la chiusura dei negozi per due giorni consecutivi in segno di solidarietà con i licenziati. Una città con 5.200 disoccupati non intendeva sopportare tanti licenziamenti in una sola volta e per questo reagì con una virulenza inaspettata, schierando, una volta tanto, sullo stesso fronte sindacale perfino l’associazione dei commercianti, mobilitando l’intero corpo dei suoi iscritti. E non mancò il pesante intervento della polizia pronta a reprimere con la forza e la consueta arbitrarietà, cortei non autorizzati e proteste popolari a sostegno della lotta intrapresa da tutti i lavoratori. Uno di questi cortei vide alla sua testa, neanche a dirlo, Luigi D’Auria e Umberto Bardiglia, Segretario della Commissione Interna dell’Avis. Denunciati, furono entrambi condannati il 12 agosto 1958 a un’ammenda di mille lire ciascuno per avere organizzato e inscenato un corteo per protestare contro i minacciati licenziamenti dei Cmi.
I licenziamenti originariamente previsti per il 30 giugno furono spostati al 15 luglio su mediazione dell’Ufficio provinciale del lavoro. Comune e Consiglio provincia di Napoli si schierarono senza tentennamenti al fianco dei lavoratori in lotta e contro i licenziamenti, chiedendo al governo di impostare un elaborato e concreto piano di ammodernamento e sviluppo industriale nel più breve tempo possibile, sia per Castellammare sia per Pozzuoli dove un’altra fabbrica dell’IRI lottava per sopravvivere. Nel frattempo, senza perdersi d’animo, due giorni prima dell’invio delle lettere di licenziamento i dipendenti occuparono il reparto lamierino. Falk rispose ordinando la serrata con la messa in libertà di tutti i dipendenti, nella stessa giornata i dipendenti chiesero al direttore della fabbrica, l’ingegner Ugo Sbrana, di mettere in pagamento i salari maturati al 15 luglio, ne scaturì un diverbio, precipitato nell’aggressione al dirigente aziendale. La fortissima tensione che si respirava in fabbrica trovò, in questo modo, improvvisamente sbocco nel modo peggiore, esplodendo contro il massimo dirigente locale, costretto a ricorrere alle cure ospedaliere.
Troppe settimane erano passate vanamente, troppi giorni vissuti nell’incertezza più assoluta, sapendo che il tempo non giocava a loro favore, anzi maturava sempre di più la consapevolezza che tutta la solidarietà ricevuta, gli scioperi, le dimostrazioni, i telegrammi, gli ordini del giorno, le delibere del consiglio comunali, rimanevano vuoti attestati che non producevano nulla. E allora non rimaneva che l’esasperazione e la violenza.
Intanto, all’atto di ostilità dichiarato dall’azienda, aveva risposto lo stesso consiglio comunale di Castellammare convocatosi per ribadire la contrarietà a quell’inutile atto di forza e deliberando la requisizione del reparto interessato ai licenziamenti. Un gesto particolarmente apprezzato dai lavoratori in lotta, riconoscendo al sindaco democristiano, Giovanni Degli Uberti di muoversi correttamente a difesa di un pezzo importante della storia cittadina. Contemporaneamente si muovevano la Camera del Lavoro e la Fiom denunziando l’atto incostituzionale dell’imprenditore lombardo. Non mancarono le interrogazioni parlamentari fatte da numerosi deputati e durante il dibattito alla Camera sui fatti dei Cmi, cui partecipò una folta delegazione di lavoratori e lavoratrici, dal palco riservato al pubblico, furono lanciati volantini all’indirizzo di Silvio Gava, Ministro dell’Industria, suscitando grande scalpore sui diversi quotidiani.
L’inaspettata presa di posizione del sindaco Degli Uberti a difesa della fabbrica indispettì non poco la famiglia Falck, che reagì chiedendo l’immediato intervento del Prefetto contro il decreto emanato dal primo cittadino stabiese e immediatamente accontentato con un decreto prefettizio per sospendere l’esecuzione del provvedimento di requisizione. La Camera del Lavoro, su istanza della Fiom e del Consiglio delle Leghe, rispose proclamando lo sciopero generale, ma intanto il Ministero del Lavoro convocò le parti per il giorno trenta con la speranza di riuscire a trovare una soluzione alla difficile e sempre più drammatica vertenza.
Nella vertenza intervenne, nel frattempo, lo stesso Ministro dell’Interno, Fernando Tambroni Armaroli (1901 – 1963). Il reazionario antidemocratico, degno erede di Scelba, non esitò di chiedere al Questore, Carmelo Marzano di ordinare l’assalto e di far sgomberare la fabbrica, anche facendo uso della forza, se necessario. L’ordine fu girato al commissario di pubblica sicurezza di Castellammare, ma questi si rifiutò, fino a minacciare le dimissioni se costretto a obbedire. Per tentare una via d’uscita, il commissario convocò i dirigenti della lotta: il Segretario cittadino del Pci, Vincenzo Somma, costretto per questo ad abbandonare in fretta e furia la Scuola nazionale del Partito, alle Frattocchie a Roma, dove si trovava dai primi giorni d’aprile per seguire un corso di quattro mesi, i Segretari della Camera del Lavoro di Castellammare e di Gragnano, Liberato De Filippo e Luigi Alfano, entrambi impegnati a seguire la dura vertenza. Il commissario espose loro la drammaticità della situazione, dichiarando di non essere più in grado di reggere quanto stava accadendo, di avere avuto ordini precisi e di non poter più tergiversare. I presenti si guardarono negli occhi, erano consapevoli della svolta raggiunta dalla lotta, di essere a un bivio importante dai risvolti imprevedibili ma coscienti delle conseguenze, nel caso malaugurato di uno sgombero forzato: sarebbe sicuramente costato sangue innocente. I dirigenti politici e sindacali e lo stesso commissario sapevano che diversi operai barricati nella fabbrica erano armati di pistole, fucili e, addirittura di qualche bomba, seppure rudimentale. L’assalto, l’esasperazione, avrebbe potuto far perdere la testa a qualcuno, suscitare una reazione violenta e sarebbe stato un massacro. Si temporeggiò, si chiese ancora qualche giorno perché le trattative erano in corso al Ministero del Lavoro e seguite direttamente dalle segreterie nazionali dei metalmeccanici. La svolta era vicina. (1)
Lo sgombero forzato non ci fu, anzi furono gli stessi lavoratori a decidere di lasciare libera la fabbrica il 27 luglio per favorire un clima migliore nella trattativa, ma questa non fu per niente facile e indolore e l’accordo siglato nella tarda serata del 1° agosto lo dimostrò. Questo prevedeva il licenziamento di 288 operai rispetto ai 333 iniziali, una sconfitta atroce resa meno amara dal riconoscimento di un’indennità extracontrattuale di 220 mila lire da corrispondere a ogni licenziato, più un sostegno al reddito pari all’80% del salario, per due anni, erogato con fondi CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nata nel 1951 con lo scopo di favorire la libera circolazione tra i paesi firmatari dell’accordo. Altre 40mila lire sarebbero andate ai lavoratori rientranti al lavoro.
Non mancarono feroci polemiche e strascichi giudiziari. Nessuno aveva dimenticato l’aggressione subita dal direttore della fabbrica e, appena la vertenza si terminò, arrivò l’ordine d’arresto per i dieci operai autori del fatto, effettuato nella maniera più brutale possibile: alle tre di notte del 9 agosto gli operai furono prelevati con la forza direttamente dai loro letti e portati nelle carceri di Poggioreale. Vincenzo Somma, con i Segretari della Commissione Interna della Navalmeccanica e dei Cmi, Eustacchio Massa e Luigi Longobardi e uno degli operai licenziati, Luigi Spera, si recarono a casa del deputato comunista, l’avvocato Vincenzo La Rocca, affidandogli l’incarico di difendere gli arrestati. Decisivo per la scarcerazione dei dieci, avvenuta dopo circa un mese di galera, fu l’intervento del senatore Mario Palermo. (2)
In un tentativo puerile di vendetta la direzione dei Cmi tentò di non pagare l’indennità contrattata di 220mila lire ai dieci autori dell’aggressione all’ingegner Sbrana, obbligando le parti a chiedere l’intervento dell’On. Umberto Delle Fave (1912 – 1986). Il Sottosegretario aveva gestito in prima persona la durissima vertenza al Ministero del Lavoro ed era garante dell’accordo raggiunto. Delle Fave sarà poi nominato Ministro del Lavoro nel governo presieduto da Giovanni Leone (1908 -2001) nel secondo semestre del 1963 (…).

note:
(1) Testimonianze di Vincenzo Somma e Luigi Alfano all’autore
(2) Testimonianze di Vincenzo Somma e Luigi Alfano all’autore. I dieci operai arrestati furono i tre fratelli Langellotti, Michele, Luigi e Giuseppe; Aniello Stanga, Gino Pezzatini, Francesco Coda, Gennaro D’Auria, Biagio Lauro, Antonino Irto e Eduardo Di Martino

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