Settembre 1943 – I Partigiani di Castellammare di Stabia

Premessa:

Alla vigilia dell’otto settembre mi presento con una ricerca sui tragici avvenimenti del settembre 1943, utilizzando nuovi documenti disponibili, ricevuti grazie alla generosità dell’amico professore e storico, Gianni cerchia, autore di una pregevole ricostruzione sul Mezzogiorno. La mia è una ricostruzione ancora parziale perché diversi sono i tasselli che mancano, nonostante siano trascorsi 74 anni da quei fatti. Molte le domande che mi pongo, qualcuna banale, e forse frutto della mia ignoranza, per esempio che è il Mariconda che lanciò la bomba sulla camionetta in Piazza Principe Umberto? Forse l’avvocato Sebastiano Mariconda, consigliere comunale e assessore negli anni 60 e 70?
E mi piacerebbe sapere di più su Worowski Giordano, oltre al fatto di essere il figlio di Vincenzo, uno dei protagonisti di Piazza Spartaco nel 1920, comunista, che pagò con il confino politico il suo antifascismo e l’asfissiante controllo poliziesco per tutto il ventennio mussoliniano.
Ma soprattutto da questa ricerca emerge la figura del capo partigiano, Luigi Mas, di cui ignoriamo tutto tranne la sua partecipazione alla resistenza stabiese all’invasore tedesco. Chi può dire qualcosa su questo personaggio, e sugli altri indicati sopra, è pregato di contattarmi, anche tramite la redazione di Libero ricercatore. 

Ringraziando anticipatamente il buon Maurizio, la redazione e tutti coloro che aiuteranno a completare la ricerca. Il vostro, Raffaele Scala.


Per non dimenticare

Settembre 1943 – I Partigiani di Castellammare di Stabia

articolo di Raffaele Scala

Sull’antifascismo stabiese diversi storici tra cui i compianti Antonio Barone, Pippo D’Angelo e Antonio Ugliano, hanno provato a ricostruire le vicende legate ai fatti accaduti a Castellammare di Stabia dopo l’8 settembre 1943: le violenze, le stragi, i rastrellamenti, le distruzioni operate dagli ex alleati, poi trasformatosi in invasori dopo la firma dell’armistizio. Una violenza alla quale gruppi di operai, studenti, soldati e marinai risposero eroicamente difendendosi e attaccando con le armi, provocando e subendo vittime. E’ sconosciuto il numero di nazisti uccisi, alcuni, riferendosi ad una imprecisa relazione conservata nell’Archivio Storico Comunale, parlano di almeno 4 tedeschi ammazzati in combattimento, indefinito il numero dei feriti; 32 sono invece i nostri, tra militari e civili, caduti combattendo o per rappresaglia. Almeno sedici i feriti ufficialmente riconosciuti.

Più recentemente ne hanno scritto Antonio Ferrara, Antonio Cimmino e il sottoscritto, basandosi sulla poca documentazione disponibile nei vari archivi e su ricordi e testimonianze di quanti vissero quel periodo, con tutti i limiti di memoria e voglia di protagonismo a posteriori, da parte di alcuni, che questo comporta. Molto rimane ancora da scoprire, infatti solo in questi ultimi tempi si stanno catalogando nuovi documenti riferiti a quanti furono impegnati concretamente nella Resistenza, contro il nazi-fascismo, nelle giornate successive all’otto settembre. E da questi documenti, di fatto molti ancora inediti, emergono volti ed episodi finora ignoti, eroismi rimasti sconosciuti. E probabilmente eroi ridimensionati ed altri da rivalutare.

Tra gli eroi ignorati da tutti ricordiamo, per esempio, Luigi Mas, fu Emanuele, nato il 7 dicembre 1901, operaio del Regio Cantiere, ed abitante, all’epoca, in via San Bartolomeo, sul quale diverse testimonianze, raccolte pochissimi anni dopo e conservate nell’Archivio Centrale di Stato (ACS), concordano che l’11 settembre 1943 assunse il comando di un gruppo armato di concittadini partecipando a diverse, pericolose azioni di guerriglia urbana1.

Soprattutto emergono altre verità che dimostrano una resistenza più diffusa di quanto si pensava finora, seppure sfortunata e pagata con il sangue di tanti innocenti e la deportazione di migliaia di giovani, molti dei quali non sono più tornati. Una storia quest’ultima, ancora tutta da scrivere, considerando che a 74 anni dagli eventi non esiste un’anagrafe completa dei deportati civili nei campi di concentramento situati in Italia e nei territori del Terzo Reich. Solo elenchi parziali, realizzati soprattutto grazie ad Enti ed associazioni private composte da ex deportati rientrati fortunosamente in Italia.

Fin dalle prime ore del mattino, Luigi Mas, Nunzio Sorrentino, Ciro Coppola, Santolo Contaldo, il giovane elettricista, Davide Coda appena ventenne ma già sposato con due figli, ed altri, si erano impossessati, con l’aiuto degli stessi militari di quel comando, di fucili con caricatori e bombe a mano prelevati da una caserma sita alla via Calata Oratorio. A loro si unirono anche il giovanissimo saldatore autogeno Francesco Iaccarino (era nato il 6 settembre 1925) e il giovane meccanico Agostino Circiello che a loro volta, riusciti a infiltrarsi nel Comando militare situato al Corso Vittorio Emanuele, si erano impossessati di alcune casse contenenti bombe a mano e pistole con caricatori. Da subito Luigi Mas dimostrò di avere le doti del capo, assumendo la guida del gruppo. Con queste armi attaccarono, in collaborazione con alcuni marinai del quartiere, un piroscafo francese sul quale si era asserragliato un nutrito gruppo di militari tedeschi, cercandovi riparo. Nello scontro, riuscito vittorioso, obbligando il nemico alla ritirata, lasciando un loro camerata morto, si impadronirono di altri 25 moschetti e di un centinaio di bombe a mano. Armi sequestrate dai tedeschi ai nostri marinai nelle ore successive all’armistizio. Il piroscafo sarà poi affondato dagli stessi militari tedeschi.

Il gruppo di coraggiosi partigiani, avvertiti per tempo dell’arrivo di due micidiali carri Tigre, provenienti, pare, dalla vicina Pompei, si ritirarono verso piazza Municipio, dove si scontrarono con altri tedeschi, ferendone due. Lasciata anche piazza Municipio si diressero verso la villa comunale dove attaccarono con una mitraglia e bombe a mano alcune camionette tedesche, riuscendo a distruggerne una. Negli stessi luoghi, non è ben chiaro se in maniera autonoma o seguendo un medesimo piano d’azione, agirono anche altri gruppi armati. Tra questi, alcune testimonianze ricordano la presenza del giovane Giordano Woronski (in realtà Worowski, NdA), il quale, ben appostato su di un tetto, riuscì a colpire in pieno una camionetta militare ferma davanti al bar Spagnuolo, facendola incendiare.2

Ancora una volta, a soccorrere i commilitoni in pericolo, arrivarono i carri Tigre, probabilmente gli stessi già visti nella precedente azione bellica. Ad avere la peggio fu il povero Agostino Circiello colpito ad una natica da un proiettile. Pur ferito, Agostino reagì ma il moschetto gli scoppiò tra le mani e fu nuovamente colpito a morte dai tedeschi da altri tre proiettili che lo presero nella pancia. Agostino era solo un ragazzo, poco più che diciottenne. Era nato il 11 gennaio 1925.

A cadere in villa comunale, sotto i micidiali colpi tedeschi, fu anche Santolo Contaldo, nato a Pagani il 3 marzo 1900 ma residente a Castellammare, in vico San Catello 36. Era un operaio dei Cantieri Navali e fin dal mattino si era unito a Luigi Mas e agli altri partigiani, partecipando ai vari combattimenti. Rimase colpito in villa comunale da due colpi di fucile. Morì in ospedale, dove vane risultarono le cure prestatigli.

Nella stessa giornata, intorno alle 16,30, un altro gruppo composto da Antonio Aiello, allora studente universitario appena ventenne, il ferroviere Giuseppe Staibano e il perito Ignazio Scala, si unirono in Piazza Principe di Napoli, a un plotone di circa quindici soldati italiani per opporre resistenza alle truppe germaniche che avevano iniziato l’occupazione armata di Castellammare di Stabia.  Giuseppe Staibano, nativo di Maiori, il più anziano del gruppo essendo nato nel 1896, era già stato decorato con medaglia d’argento al valor militare per azione svolta contro i tedeschi nella precedente guerra mondiale del 1915-18. Era mutilato di guerra per aver perduto un braccio, quello sinistro.

 Racconta il partigiano Antonio Aiello nella sua testimonianza scritta rilasciata il 18 maggio 1946 alla Commissione per il riconoscimento delle varie qualifiche (partigiano, patriota, mutilato, caduto per la lotta di liberazione) e suffragata dagli altri partecipanti:

Durante il combattimento svoltosi quel pomeriggio demmo la scalata ad un tetto di un palazzo sito in fondo a via Surripa nel difficile ma riuscitissimo tentativo di distruggere un camion tedesco carico di munizioni, che fu da noi fatto esplodere in seguito a precisi lanci di bombe a mano (…). Procedendo coraggiosamente nell’azione intrapresa, e con l’ausilio di una mitragliatrice in nostro possesso, incendiammo un secondo camion tedesco, anch’esso carico di munizioni, il cui scheletro rimase per alcuni mesi abbandonato nella locale villa comunale.3

Poiché il sottoscritto, come altri, in più occasioni hanno già scritto sulle sanguinose giornate di quel tragico settembre del 1943, soffermandosi sui diversi episodi, in questa sede non dirà nulla su quelli ormai famosi, come la difesa del Cantiere navale da parte del capitano di corvetta Domenico Baffico, al comando di un manipolo di coraggiosi marinai. Difesa terminata con la fucilazione di cinque coraggiosi ufficiali, compresi lo stesso Baffico. Né dirò del coraggioso carabiniere, Alberto Di Maio e del carpentiere Oscar De Maria, caduti difendendo i Cantieri Metallurgici, il primo in combattimento e il secondo fucilato, dopo aver lanciato una bomba sugli attaccanti. Citerò appena il trentunenne Gaetano Aprea, fucilato dai tedeschi perché sorpreso mentre tagliava i fili di comunicazione telefonica. Il corpo fu ritrovato il 28 settembre a Largo Pozzano, ma ucciso, secondo alcuni, lo stesso 11 settembre, più probabilmente il giorno 21. In realtà la data rimane incerta.

 In questa località trovarono la morte otto persone, fucilate sulla spiaggia tra il 16 e il 22 settembre, in tre furono sorprese e uccise durante atti di sabotaggio e per questo riconosciuti Caduti per la Liberazione, le altre cinque fucilate per rappresaglia.  I cinque uccisi per mera vendetta furono   Antonio Giannullo, Liberata Infante, Pietro Longobardi, Luigi Santaniello e il piccolo Umberto Palatucci di appena otto anni.  A trovare la morte in combattimento oltre al già citato Gaetano Aprea, furono Vincenzo Curcio, ucciso in combattimento il 16 settembre, almeno stando alla dichiarazione rilasciata dalla vedova alla Commissione istituita all’epoca, e Vincenzo Pennarola, nato a Napoli il 19 febbraio 1899, ferito il 18 settembre e morto lo stesso giorno a Vico Equense.

In base alla dichiarazione della vedova sembra morto in combattimento e per questo riconosciuto Caduto per la Lotta di Liberazione.4

Una lapide nella basilica di Pozzano ricorda il sacrificio di queste persone cadute vittime della barbarie nazista. Assassini che non si fermarono neanche di fronte a donne e bambini inermi.

Altri caddero a Scanzano, come Vincenzo De Simone, oppure di fronte allo stabilimento della Cirio come la ventiduenne Anna Foresta, mentre Luigi Di Somma rimaneva ucciso presso la Reggia di Quisisana, non si sa bene se morto in combattimento, come dichiarato dalla vedova, o fucilato per rappresaglia.5

Tra gli ultimi sfortunati concittadini caduti sotto i colpi dei teutonici ricordiamo il ventiduenne Francesco Franchini, massacrato il 30 settembre e Gennaro Esposito, caduto addirittura il 1° ottobre. Il primo in assoluto, tra gli estranei agli scontri armati, pare sia stato invece Raffaele Lupacchini, 29 anni, il cui unico errore fu quello di affacciarsi al balcone di casa sua, in Piazza Ferrovia, oggi Piazza Matteotti, nel momento sbagliato. O forse anche lui volle collaborare come tanti altri concittadini, a lanciare suppellettili di varia natura sui tedeschi che stavano attaccando il comando italiano posto nell’Albergo Italia, lo stesso palazzo dove oggi è situato il bar Fontana. Scontri che si ebbero l’11 settembre e che terminarono con la resa dei nostri militari.

Violenze, distruzioni, rastrellamenti e stragi si ebbero anche nei comuni limitrofi, da Scafati a Pompei, da Torre Annunziata a Gragnano, da Sant’Antonio Abate a Casola, colpendo perfino nel piccolo, tranquillo, isolato borgo di Santa Maria la Carità, dove quattro innocenti furono massacrati senza pietà.6

A Castellammare di Stabia le prime proteste operaie si erano avute anzitempo, fin dal primo settembre, quando gli operai dei diversi stabilimenti industriali lasciarono le loro fabbriche per unirsi in corteo e sfilare per le strade cittadine, fino a scontrarsi in Piazza Principe Umberto con le forze dell’ordine e le milizie fasciste, coordinate dal capitano dei carabinieri, Angelo Simio, fascista convinto e spietato collaboratore dei nazisti, prima e dopo l’8 settembre. Per il suo collaborazionismo sarà, in seguito, processato e condannato dal Tribunale militare di Napoli.  Il suo stretto collaboratore, e a sua volta collaborazionista, il maresciallo Turchetti, rimarrà invece ucciso nello scontro con alcuni dimostranti, quando questi entrarono nella caserma di via Coppola per prendersi le armi con cui combattere gli occupanti nazisti.

 Alla fine degli scontri del primo settembre si conteranno decine di feriti e 80 arresti, tra cui Luigi Di Martino e Giovanni D’Auria, due protagonisti dell’antifascismo stabiese che avevano già conosciuto le patrie galere per la loro dura e coraggiosa opposizione al regime nero di Benito Mussolini. Nel carcere mandamentale stabiese di Salita San Giacomo rimarranno 17 giorni, fino a quando non saranno liberati da un tumulto popolare, composto in prevalenza da donne e ragazzi.  L’insperata liberazione li salvò dalla sicura deportazione di massa verso i duri campi di concentramento, posti in Austria, in Germania e in Polonia. Meno fortunati furono gli oltre duemila stabiesi rastrellati nelle giornate tra il 21 e il 28 settembre. In molti, militari e civili, non ritorneranno più a casa, come Alberto Amendola classe 1923, Luigi Apuzzo (1917), Michele Armeno (1925), Aniello D’Auria (1908), Andrea Di Capua (1914), Francesco Esposito (1922), Antonio Ferrara (1922), Gaetano Infante (1926), Catello Ingenito (1918), Raffaele Russo (1920), Ferdinando De Martino (1906), tutti morti di stenti e malattie nei vari campi di concentramento e di lavoro ubicati nei vari territori del Terzo Reich.7

Nessuna opposizione neanche da parte del commissario prefettizio, Gioacchino Rosa Rosa (1895 – 1958), ricco commerciante in legnami, con villa a Scanzano, iscritto al Fascio fin dal 1925. La sua fedeltà al regime non salverà tre dei suoi cinque figli dalla deportazione. Finiranno in uno dei peggiori campi di concentramento, quello famigerato di Dachau, il primo aperto in Germania dai nazisti, dove sui 200mila prigionieri che vi transitarono, oltre 41mila vi lasciarono la vita.

Forse anche in seguito a questa tragica vicenda, Gioacchino Rosa Rosa lascerà l’incarico, abbandonando Castellammare al suo destino. Al suo posto il Maggiore Simpson, Comandante Civile delle Forze Alleate insediatosi in città, nominerà il segretario capo del comune, Eusebio Dellarole, nonostante l’evidente incompatibilità, ma soprattutto nonostante la sua, ampiamente provata, collaborazione con il regime appena defunto e con il locale presidio tedesco, anche dopo l’occupazione militare. Non a caso, chiarendo il suo pensiero politico, il maggiore Simpson si dimostrerà apertamente ostile nei confronti dei Comitati di Liberazione che si andranno ad insediare a Castellammare come nel resto della provincia. A chiarire come stavano le cose provvidero due rapporti negativi stilati sia da parte del Sottocomitato di Liberazione Nazionale, sia dal locale commissariato di polizia, chiedendone l’immediato trasferimento.8 Il suo posto, a metà dicembre, sarà preso, su indicazione del Comitato di Liberazione, dal cinquantenne dottor Carlo Vitelli, tra i fondatori della sezione stabiese di Italia Libera nel 1924 e aderente ad una loggia massonica, assaltata e distrutta da un manipolo fascista nell’inverno del 1925.

Subito dopo la ritirata delle truppe naziste, scappate via non senza aver prima minato industrie e ponti alle proprie spalle, si ricostituirono partiti, sindacati e associazioni civili. Tra i primi il PCI sotto la guida di Giovanni D’Auria, il PSI con Raffaele Guida, la DC con Silvio Gava, il Partito d’Azione con Andrea Luise e Achille Gaeta, i liberali con Antonio Sorrentino. Infine si ricostituì anche la Camera Confederale del Lavoro con il mai domo Antonio Cecchi. Non molto tempo dopo anche l’Associazione commercianti riaprì i battenti eleggendo Catello Sorrentino suo primo Presidente.

La democrazia riprendeva il suo lento, faticoso e tortuoso cammino dopo venti lunghi anni di dittatura, a Castellammare di Stabia, come nell’Italia intera.

Raffaele Scala


Note:

 

  1. Testimonianza di Davide Coda resa il 25 giugno 1946 alla Commissione Regionale Campania per il riconoscimento della qualifica di partigiano e di altri partecipanti agli scontri armati. In realtà su Luigi Mas ed altri ne ha brillantemente scritto recentemente Gianni Cerchia nel il suo bel volume: La memoria tradita. La seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno d’Italia, Edizioni dell’Orso, 2016, cfr. pag. 179 – 181
  2. A Worowski Giordano fa riferimento Vittorio Iovino nella sua rievocazione dei fatti pubblicati su Libero Ricercatore, con il titolo: L’8 settembre a Castellammare c’ero anch’io.  Anche Antonio Cimmino lo cita, sempre sullo stesso sito web, nella sua cronistoria: Castellammare di Stabia (8 – 28 settembre 1943) ricordando che il giovane Worowski, con l’avvocato Mariconda, posti sul vicino tetto di un palazzo, lanciarono bombe a mano sulle camionette tedesche dirette verso il cantiere navale e provenienti probabilmente dal Corso Vittorio Emanuele, dove era situato il loro quartier generale. Worowski era il figlio primogenito, nato nel 1914, di Vincenzo Giordano, detto il tarantino perché originario della città pugliese, dove era nato il 2 novembre 1894. Carpentiere del Regio Cantiere, comunista, Vincenzo Giordano pagò la sua opposizione al regime con tre anni di confino politico. Con lui furono arrestati gli altri due irriducibili, Antonio Cecchi e Giovanni D’Auria, considerati i tre più pericolosi esponenti comunisti della zona. Vincenzo Giordano fu tra i protagonisti dei fatti di Piazza Spartaco del 20 gennaio 1921. Nel dopoguerra fu membro del Comitato di Liberazione locale.
  3. ACS, Compart Campania: Antonio Aiello, fasc. 2775, pratica 3254, Ignazio Scala, f. 2794, pratica 3335, Giuseppe Staibano, f. 2797, pratica 3327.
  4. Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, scheda curata da Isabella Insolvibile.
  5. Atlante delle stragi, cit. ad nomen
  6. Cfr. Raffaele Scala: Santa Maria la Carità. 23 settembre 1943: una strage dimenticata, Booksprintedizioni, 2017
  7. Tra i deportati civili rientrati a Castellammare si ricordano, tra gli altri, il giovanissimo Giovanni Desiderio, deportato a Dachau quando aveva solamente 16 anni, i 18enni Umberto De Cunto, Francesco Paolo Pappalardo e Salvatore Donnarumma; Ernesto Manfredonia, Francesco Paolo Giordano, Mario Cusatti, Giusepe Lauro, Ernesto Buono, Vittorio Russo e Michele Covito, internato ad Auschwitz, padre della scrittrice Carmen. In ultimo ricordo mio zio Matteo Cinque, anch’egli deportato poco più che ragazzo. Cfr. Stabiachannel, varie annate
  8. Cfr. ASN Gabinetto Prefettura, secondo versamento, Defascistizzazione, busta 92. Eusebio Dellarole era nato ad Avigliano Vercellese il 27 novembre 1883 ed era giunto a Castellammare di Stabia nel 1940, proveniente da Valenza, in provincia di Alessandria. Di sentimenti fascisti e filo tedeschi, cooperò attivamente con l’ufficiale tedesco comandante del presidio stabiese. La stessa figlia di Dellarole, Lucia, collaborò con i tedeschi occupanti con la funzione di interprete   e a sua volta collaboratrice e assidua frequentatrice del circolo ufficiale tedesco. Stando ad un rapporto di un ufficiale di pubblica sicurezza, stilato all’epoca la ragazza: non avrebbe prestata una vera e propria collaborazione ai tedeschi, ma si sarebbe trattato soltanto di aver prestato la sua opera per la conoscenza della lingua tedesca, non essendosi potuta esimere per timore di eventuali rappresaglie. Cfr.  Maria Porzio: Arrivano gli Alleati. Amori e violenze nell’Italia liberata, nota 512, Laterza 2011. L’ex Podestà sarà trasferito nel 1945, lasciando definitivamente Castellammare di Stabia.

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