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Tosacavallo (antichi mestieri)

Antichi mestieri

‘o Tosacavallo
( a cura di Antonello Ferraro )

tosacavallo e maniscalco

Un antichissimo mestiere ormai scomparso dalla nostra Città è “‘o Tosacavallo”. L’ultima bottega rimasta a testimoniare questo spaccato di storia è all’angolo tra Vico Mantiello e Via Virgilio. Quest’artigiano aveva due importanti mansioni: di maniscalco, cioè colui che ferra gli zoccoli dei cavalli, e di tolettatore dell’animale. Ricordo ancora quest’omino che arroventava la piattina di ferro nel fuoco per poi batterla con forza sull’incudine (da qui l’espressione: mi trovo tra incudine e martello); il cavallo nel mentre attendeva legato ad un cerchio di ferro sul muro fuori della bottega. Seguiva poi una spuntatina alla criniera dell’animale. Con il trasporto su gomma, scompare non solo un mestiere, ma anche le romantiche carrozzelle che facevano da taxi nelle vie della città, le innumerevoli carrettelle con cui si trasportavano tutte le merci e l’elegantissimo trasporto funebre con il tiro ad otto. Oggi qualche artigiano ancora sopravvive, ma solo negli ippodromi.


Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo

Panzaruttaro

Antichi mestieri

 

‘o Panzaruttaro
( a cura di Gioacchino Ruocco )

Già all’epoca dei romani c’era la consuetudine di consumare cibi per strada acquistandoli nelle botteghe sottocasa o posti sui decumani; peccato che a quei tempi dalle nostre parti si ignorasse ancora l’esistenza della patata (importata per la prima volta in Europa nel 1535, dallo spagnolo Francisco Pizarro, quando al suo rientro in patria da un viaggio in America, ne fece dono ai regnanti), un particolare questo che di certo ha negato ai nostri avi il piacere di degustare qualsiasi stuzzicheria a base di questo tubero.

cuoppetiello di frittura

Personalmente ho visto per la prima volta un panzaruttaro ambulante, all’età di dieci anni, quando i miei genitori mi permisero di andare a cinema assieme ai ragazzi più grandi che abitavano nel vicolo. All’uscita dell’allora cinema “Nazionale” dove avevamo assistito, credo, al film dal titolo “La cena delle beffe” con Amedeo Nazzari, l’odore del fritto mi attirò inevitabilmente perché era tardi pomeriggio ed incominciavo ad avere fame, “tenevo na lopa”, come si diceva allora, quando Mc Donalds non era ancora arrivato dalle nostre parti. Dietro al banchetto c’era un uomo che riduceva , di volta in volta, un impasto informe in piccole palle che poggiava su un panno bianco per dar loro, successivamente, la forma di sigari girandole velocemente tra le mani. Nella parte del banchetto vicino alle stanghe, che servivano per guidarlo nelle fasi di trasferimento, era alloggiata una caldaia in rame stagnato per la cottura del prodotto che non era l’unico, vista la varietà di cibi di strada presenti nel repertorio culinario napoletano, come le palle di riso, i carciofi fritti, la pizza fritta, gli scagliuozzi e le crocchette di patate, che noi in dialetto chiamiamo panzarotti senza dimenticare quelli che hanno la forma di mezza luna e vengono riempiti con mozzarella e pomodoro, ecc. Bastarono due di essi a calmare il borbottio dello stomaco anche perché il costo di ognuno di loro non mi consentiva di comprarne di più con i soldi che mi erano stati assegnati. Il carrettino poggiava su due ruote e su un puntale dalla parte delle stanghe, in modo da avere un assetto stabile in fase di fermo, in più presentava una copertura per proteggere il piano di lavoro contro la piaggia e dei ripiani vetrati che consentivano all’avventore di guardare il prodotto disponibile ma di non toccarlo: unica garanzia di igiene alimentare che all’epoca veniva offerta. Nelle mie escursioni saltuarie a Castellammare, l’ultima volta che mi è capitato di vederlo è stato una decina di anni fa. Di sera il carrettino veniva illuminato con una lampada ad acetilene che nel tempo lasciò, per la sua pericolosità esplosiva, il passo a quelle alimentate da GPL (gas di petrolio liquefatto). E’ vero che le perdite e le scomparse ci fanno recriminare contro il progresso o le norme che vietano la produzione di beni con le condizioni di igiene descritte, ma non ho mai saputo di qualcuno che abbia sofferto per i panzarotti così prodotti. I mestieri scomparsi nella pratica sono tanti, basta riandare alle pubblicazioni che ne trattano, fortunatamente per i golosi del fritto, questo mestierante ambulante è ancora attivo in diverse zone di Castellammare. La ricetta dei panzarotti (crocchette di patate) che ho rintracciato nell’Enciclopedia della donna (ed. Fabbri) e in altre pubblicazioni, prevede necessariamente le patate, il parmigiano, le uova, la noce moscata, sale quanto basta e olio per friggere. Le patate, le uova e il sale sicuramente c’erano nell’impasto di allora; il parmigiano e la noce moscata non credo proprio. Il pepe, estraneo alla ricetta, era sicuramente presente perché, profuso in abbondanza, dava fastidio allo stomaco. Il resto, nella mia prima volta, lo fece l’appetito, la fantasia e la temperatura calda del prodotto che fu divorato caldo, come raccomandava il panzaruttaro e l’autore del ricettario.


Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo

Lutammaro (antichi mestieri)

Antichi mestieri

Lutammaro
( a cura di Maurizio Cuomo )

Lutammaro

Lutammaro (immagine generata con IA)

Questo mestiere, oggi improponibile, trovava largo impiego in epoca rurale, quando veniva fatto un uso abituale di animali da traino (adatti per lavorare le vaste campagne), e di cavalli ed asini (utilizzati per il trasporto e la circolazione nelle strade cittadine).

Il “Lutammaro” raccoglieva per strada, stalle e masserie gli escrementi animali ed in particolare la cosiddetta “Lutamma” (termine indicante la paglia infradiciata sotto gli “animali da stalla” mescolata con l’urina ed il loro stesso sterco), per rivenderla a basso costo, come concime ai contadini.

L’evoluzione sociale, il progresso tecnologico e, in particolare, l’odierno e diffuso impiego di concimi artificiali, hanno progressivamente contribuito — ciascuno a proprio modo — alla scomparsa definitiva di questo poverissimo e degradante mestiere.

Col passare del tempo, infatti, le mutate condizioni igienico-sanitarie, unitamente al miglioramento del tenore di vita e all’affermarsi di nuove pratiche agricole, ne hanno reso inutile e impensabile la continuazione, relegandolo così a un ricordo lontano, appartenente a un’epoca di profonda indigenza e duro lavoro quotidiano.


Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo

Gallettaro (antichi mestieri)

Antichi mestieri

Gallettaro
( a cura di Maurizio Cuomo )

Antico mestiere tipicamente stabiese che identifica il produttore della “Galletta” (un caratteristico sfarinato durissimo, simile ad un biscotto dalla forma tonda e schiacciata).

Il Gallettaro

Il Gallettaro (immagine generata con IA)

La “Galletta”, definita anche “Biscotto di mare”, perché apprezzata e consumata già in epoca remota dai marinai, fu senz’altro prodotta con lo scopo di approvvigionare i velieri ed i mercantili per le lunghe traversate marittime. Un documento angioino risalente al 1283 relativo ad una commissione di gallette per l’armata navale, attesta l’antico nobile utilizzo di tal biscotto.

Gallette (foto Enzo Cesarano)

Gallette (foto Enzo Cesarano)

Secondo la tradizione locale il “Gallettaro” otteneva il caratteristico biscotto, cuocendo l’impasto (privo di lievito e sale), per un tempo addirittura doppio rispetto al comune pane (l’operazione era richiesta per eliminare qualsiasi traccia di umidità, in modo tale di poter conservare la “Galletta” per lunghi periodi, senza pericolo di ammuffimento).

Per poterla consumare, era necessario ammollare la “Galletta” con acqua di mare, che all’epoca era sicuramente meno inquinata. Questa operazione era essenziale per ammorbidire il biscotto e renderlo più saporito, altrimenti sarebbe rimasto del tutto insipido.

Per via della sua caratteristica durezza, la tradizione popolare ha tramandato un antico detto:
“È jute trentasej’anne pe’ mmare e nun s’è spuniata ancora”.


Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo

Carnacuttaro (antichi mestieri)

Antichi mestieri

Carnacuttaro
( a cura di Maurizio Cuomo )

A Castellammare di Stabia, pochi usano ancora il termine carnacuttaro. Eppure, questo nome indica una figura ben precisa: il venditore ambulante di carni cotte. Il carnacuttaro propone trippa, ‘o pere e ‘o musso (piede e muso di maiale) e zuppe calde di frattaglie in brodo. Un mestiere antico, radicato nella tradizione popolare, oggi quasi dimenticato nel linguaggio comune.

Il carnacuttaro

Il carnacuttaro (immagine generata con IA)

In passato, l’antica nobiltà disprezzava questi tagli poveri. Considerava trippa, muso e piede del maiale come scarti, inadatti al gusto raffinato delle tavole aristocratiche. Tuttavia, chi viveva nei bassi, chi lavorava come servitù e lottava ogni giorno per sopravvivere, imparava a non buttare nulla. Così, queste parti “povere” diventavano risorse preziose.

Col tempo, la gente le trasformava in piatti saporiti. Ne nasce una tradizione culinaria resistente e genuina. Il carnacuttaro allestiva la sua bancarella con cura: esponeva trippa fumante, piede e muso bolliti, e altri piatti caldi, pronti da gustare.

Carnacuttaro: la ricca esposizione da banco di carne cotta, trippa e pere e 'o musso.

Carnacuttaro: la ricca esposizione da banco di carne cotta, trippa e pere e ‘o musso.

Oggi, la tradizione continua. I venditori offrono ancora ‘o pere e ‘o musso tagliato a pezzetti, servito in un cartoccio. Basta un pizzico di sale e qualche goccia di limone per riscoprire il gusto antico di un cibo semplice ma ricco di storia. Così, ciò che un tempo era scarto, diventa prelibatezza.


Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo