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Il quesito di don Salvatore Savarese, parroco dello Spirito Santo (San Ciro)

Tiempe belle ‘e ‘na vota

“Tiempe belle ‘e ‘na vota, tiempe belle addó’ state? Vuje nce avite lassate, ma pecché nun turnate?”, parafrasando per intero il ritornello di una vecchia canzone di Aniello Califano, rimettiamo all’attenzione degli affezionati lettori la presente rubrica in cui vengono raccolti, numerosi documenti che testimoniano in modo semplice ed affascinante un passato stabiese non molto remoto. Un passato che sembra essere distante anni luce dai giorni nostri e dal nostro moderno modo di vivere (o sopravvivere) in una società sempre più frenetica e opprimente, che impone un modus vivendi affannoso e alla continua ricerca della modernità o di una acclamata effimera moda del momento. Al fine di salvaguardare, in una vera e propria “banca del ricordo”, il passato tracciato dai nostri padri (il cui solco, purtroppo, per i motivi di cui sopra, sembra svanire e perdersi come le tracce sulla sabbia di un bagnasciuga battuto dalle onde di un incontrollabile burrascoso progresso), verranno qui raccolte e proposte delle rare immagini, locandine d’epoca e quant’altro possa testimoniare l’indiscutibile e fervente attività economica svolta a Castellammare di Stabia, nei bei tempi che furono…

Maurizio Cuomo

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Il quesito di don Salvatore Savarese, parroco dello Spirito Santo (San Ciro)

Caro Maurizio, don Salvatore Savarese, parroco dello Spirito Santo (San Ciro), mi ha scritto che ha trovato in un locale della chiesa il fazzoletto allegato e desidera sapere di cosa si tratta. Gli ho risposto che rimandavo la richiesta a liberoricercatore. Fraternamente.

Antonio Cimmino.

Il quesito di don Salvatore Savarese, parroco dello Spirito Santo (San Ciro)

Il quesito di don Salvatore Savarese, parroco dello Spirito Santo (San Ciro)

La Risposta del dott. Tullio Pesola

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Agostino Mosca congiurato borbonico

Agostino Mosca, nativo di Gragnano, nelle congiure contro il Re Giuseppe Bonaparte.

Tra il 1806 e il 1807, dopo l’insediamento di Giuseppe Bonaparte, sul trono di Napoli, iniziarono una serie di congiure contro il re francese, fomentate dai Borbone rifugiati in Sicilia sotto la protezione degli inglesi. Essi considerarono la permanenza nell’isola come un esilio e, come nel 1799, ne fecero la base per la riconquista delle province continentali.

 Le congiure ebbero il favore del popolo da sempre lealista, e scatenate dal comportamento dei francesi che apparivano più come truppe di occupazione, ebbero anche l’opposizione della Chiesa, sempre ostile alle idee portate a Napoli dalla rivoluzione francese. Il Papa Pio VII nel 1806 rivendicando diritti feudali su tutto il regno, rifiutò di riconoscere Giuseppe Bonaparte come legittimo regnante. Il Re di Napoli, infatti, con la legge n 130 del 2 agosto 1806, emanò l’eversione della feudalità ovvero l’abolizione di tutte le opere e prestazioni personali che riscuotevano dai cittadini.  Dal periodo angioino, infatti, Napoli versava annualmente al Papa un obolo feudale denominato chinea 1 Inoltre con le riforme socio-amministrative promulgate, il re francese si inimicò l’Aristocrazia, che sostenne gli emissari borbonici nel tentativo di destabilizzare il governo. Durante il biennio di Giuseppe, quasi tutti i ministri erano transalpini, tranne Murat che il 1º agosto 1808 fu nominato da Napoleone, re di Napoli. I francesi, quindi, a Napoli si mostravano con due facce, una quella della modernizzazione dello Stato e della Società, l’altra quella dell’occupante militare violento e tirannico.

Poco prima delle congiure, la flotta inglese tentò di colpire Castellammare di Stabia o sbarcarvi per sorprendere Re Giuseppe mentre soggiornava in quel di Quisisana.

Carlo De Nicola nel suo Diario Napoletano (II Volume 1801-1815), riporta alcuni episodi di conflitto:

  • il 12 agosto 1806 vascelli inglesi cannoneggiarono la città;
  • il 31 dello stesso mese un commando tentò di sbarcare a Meta ma fu messo in fuga subendo gravi perdite;
  • il 30 ottobre la città fu di nuovo sotto il tiro delle navi inglesi che, furono messe in fuga dai cannoni dei fortini che circondavano il Real Arsenale e così avvenne anche l’8 aprile dell’anno successivo. La città ed il suo arsenale erano ben difesi dai cannoni da 33 libbre posti a Porto Carello sulla strada di Vico Equense, a Pozzano proprio sopra al cantiere navale, nel forte casamattato costruito sul molo, nel fortino Eblè verso il fiume Sarno, sullo scoglio di Rovigliano ed infine a Punta Oncino a Torre Annunziata.

Le navi inglesi a disposizione dei Borboni in Sicilia, da novembre 1805 erano capitanate dal contrammiraglio William Sidney Smith 2 Per contrastare gli eventuali sbarchi dei marines inglesi e dei Royal Corsican Rangers al comando di Hudson Lowe, diversi reggimenti francesi furono dislocati a Torre Annunziata, a Castellammare di Stabia, Vico Equense, Sorrento e Punta Campanella.

Altri autori 3 tra i molti  tentativi di sbarco e cannoneggiamenti degli anglo-siciliani  in Campania, riportano i seguenti:

20 aprile 1806 da Palermo, Sidney si diresse verso il Golfo di Napoli con le navi Pompèe, Excellent, Athénien, Intrepid, e 12 cannoniere borboniche;

il 15 maggio il vascello Eagle, staccatosi dalla flotta inglese che incrociava davanti  Napoli, cannoneggia Castellammare;

– 9-13 luglio truppe da sbarco di lance armate della flotta inglese e 4 cannoniere borboniche fecero incursioni su Agropoli, Minori, Amalfi e Castellammare;

– 31 agosto da Capri, diventata la Gibilterra del Tirreno, Smith inviò 4 fregate, 1 brick, una nave trasporti e 6 cannoniere borboniche per una incursione a Meta.

Capri, Ponza e Ventotene erano sotto la sovranità dei Borbone; da tali isole Antonio Capece Minutolo principe di Canosa tentava di contrastare i franco-napoletani.

Pietro Colletta in Storia del reame di Napoli riporta alcuni episodi connessi alle congiure, tra cui:

  • L’impiccagione del colonnello marchese Luigi Palmieri
  • La decapitazione del figlio del duca Filomarino
  • L’imprigionamento di generali, nobili, frati, suore e finanche di monsignor De Felice vescovo di Sessa 4 Il vescovo Pietro De Felice (1797-1814) 5 fu arrestato ed esiliato ad Assisi.
  • Con l’arrivo di Murat sul trono del regno di Napoli quel clima di delazione e di sospetto non si placò. A Sessa venne piantato l’Albero della Libertà e fu costituito un governo municipale filo – francese.

Il principale tentativo, di attentato alla vita di Re Giuseppe, fu organizzato, da Agostino Mosca di anni 42, di Castellammare di Stabia ma nativo di Gragnano 6

Mosca già si era distinto nelle azioni contro i francesi; infatti, come comandante di una feluca, il 1° dicembre 1806 in flotta con 7 sciabecchi aveva tentato di soccorrere la cittadina di Maratea in procinto di essere presa da grosse truppe francesi. Dei 3.000 soldati e marines sbarcati, 800 furono trasportati dal Mosca incaricato, con il suo battello, sia delle comunicazioni con la squadra navale inglese, sia dell’approvvigionamento di viveri e munizioni. Per il suo “lealismo7 rappresentava il punto di forza dell’articolato complotto contro Giuseppe Bonaparte, che nei piani borbonici, doveva essere soppresso proprio dal Comandante Mosca.

Cronaca di un attentato

L’assassinio doveva avvenire nei pressi di Ponte Persica sul fiume Sarno a Castellammare di Stabia mentre il Re si recava a Quisisana. Il luogo fu scelto poiché gli stabiesi erano lealisti e contrari ai napoleonidi 8 come erano chiamati i seguaci di Giuseppe Bonaparte prima e, Gioacchino Murat dopo.

Il piano, ordito dalla regina spodestata, Maria Carolina d’Asburgo, e dal Principe di Canosa, fu programmato dall’abate Scagliotti, residente a Capri. Il disegno strategico prevedeva che il Mosca sbarcasse l’undici giugno a mezzanotte allo Scaricatoio, luogo nei pressi di Sorrento utilizzato fin dall’antichità come approdo per uomini e merci provenienti dal Sud. Agostino Mosca fu condotto a  Capri sciabecco corsaro di Salvatore Bruno detto il Cristallaro.

L’attentato fu sventato, con l’arresto di Mosca sul Monte Faito ad opera di Antoine Christophe Saliceti 9 nato in Corsica e fedelissimo di Napoleone, Saliceti era un uomo astuto, durante le campagne francesi in Italia, istituì un autentico moderno sistema di intelligence, con un telegrafo ottico (Telegrafo di Chappe) capace di collegare la pianura padana con la Francia, e colombi viaggiatori e cifrari segreti 10 L’arresto del Mosca avvenne nella notte tra il 22 e 23 giugno nell’ambito di una retata che coinvolse 84 persone tutte complottiste e inserite in una articolata congiura che prevedeva tre sbarchi in Calabria, a Salerno e nei pressi di Napoli. Nei programmi dei congiurati, oltre al sollevamento di migliaia di lazzari, dovevano scendere dai monti i briganti filoborbonici e 1500 galeotti liberati dalle prigioni napoletane con l’istituto del truglio, una specie di patteggiamento, siglato dal principe di Canosa, 11 anche lui fu catturato ed impiccato l’11 novembre a Piazza Mercato a Napoli.

Cronaca di un arresto

Quando i gendarmi napoleonidi sorpresero Mosca con i suoi complici sul Faito, gli fecero credere in un arresto fortuito dovuto alla delazione per gelosia di una ragazza corteggiata dal colonnello borbonico frivolo seduttore.

Catturato e tradotto a Napoli, fu imprigionato nel Castel Nuovo (Maschio Angioino) nelle prigioni del Miglio 12, poste sotto la Cappella Palatina; e subì il processo a suo carico per cospirazione col nemico, punita come delitto di alto tradimento e quindi con la pena di morte e col monumento perpetuo d’infamia. Delitto contemplato dall’articolo 20 del decreto degli 8 agosto 1806, che così recitava: “Tutti gl‘individui convinti di delitti contro la pubblica sicurezza, commessi a mano armata nelle campagne, o nelle strade pubbliche, i capi d’attruppamenti sediziosi, o armati, gli autori di movimenti popolari, i rei di reclutamento, di spionaggio, d‘assassinio di militari francesi, di corrispondenza criminosa col nemico, o in suo favore, saranno puniti di morte.”

Il primo luglio 1807 si riunì 13 nel Castel Nuovo, la Commissione Militare nominata dal governatore di Napoli Jourdan, convocata e presieduta dal colonello Espert e composta da 7 militari tra ufficiali superiori ed inferiori per giudicare Agostino Mosca per aver organizzato un attentato al Re di Napoli Giuseppe Napoleone. All’imputato fu contestato di essere un agente di Maria Carolina d’Austria 14. L’accusa diceva che su disposizione della Regina, il Mosca si era recato a Capri in mano inglese, per ricevere istruzioni sull’attentato dall’abate Vincenzo Scagliotti e poi, sbarcato nei pressi di Sorrento, si era incamminato verso Monte Faito accampandosi su Monte Sant’Angelo in attesa di agire. Una volta catturato lo trovarono in possesso di fucile 50 cartucce e documenti compromettenti.

Durante il dibattimento il Mosca, a sua difesa, asserì in un primo momento di voler invece mettere in guardia il Re Giuseppe e non di ucciderlo e che era sbarcato anzi tempo per avvertirlo della congiura ordita a Palermo, chiedere il suo perdono e la grazia per entrare al suo servizio.

Il pubblico ministero, non credendo a questa versione gli chiese come mai, invece di stazionare sul Faito assieme a compagni d’arme in uniformi borbonica con coccarda rossa sul cappello, non si fosse recato a Castellammare a palazzo reale per implorare il perdono al Re? Il Mosca non rispose. A questo punto fu esibito alla giuria i documenti ritrovati in sua mano:

  • Una commissione di comandante di un bastimento armato in nome dell‘ex-Re Ferdinando, e contrassegnata dall’ammiraglio Sidney Smith.
  • Un ordine di Sidney Smith a tutti comandanti inglesi di terra e di mare di rispettare, e di proteggere la persona, ed il bastimento del detto Mosca.
  • Alcune istruzioni in data degli 11 giugno 1807 dell’abate Scagliotti.
  • Una lettera data dei 28 febbrajo 1807, scritta per intero e firmata dall’ex-Regina Carolina, del tenore seguente: “Agostino Mosca, voi farete con zelo ed attività tutto quello, che al buon‘ servizio del Re avete promesso; e riuscendoci, potete contare sulla mia protezione. Li 23 febbrajo 1807. – CAROLINA”.

Una lettera in data, del 30 aprile 1807 dalla marchesa di Villatranfo, residente a Palermo presso l’ex-Regina Carolina: A S. S. Illustriss. il sig. comandante D. Agostino Mosca presso Messina. “Palermo, 30 aprile 1807. Vi prego ad esser obbediente a‘giusti voleri di D. Vincenzo Scagliotti, e v’assicuro ch’io e lui vi abbiam levato da una gran vergogna 15, esso è venuto a Capri con voi, per consigliarvi ad eseguir presto gli ordini, che vi diede la nostra cara Sovrana, fino dal mese di febrajo, e voi prometteste d’eseguire. Voi sapete già quanto ella è generosa; vi manterrà la parola di farvi colonnello, e vi darà beni in quantità, se vi fidate liberare la vostra patria dall’usurpatore; ricordatevi quanto ho fatto per voi, e pensate a farvi onore… ricordatevi di vostro figlio Antonio, che vi chiede la santa benedizione, non altro: mi dico vostra affezionatissima per sempre MARCHESA DI VILLATRANFO”

La Condanna

La Commissione incaricò perfino un pool di calligrafi per appurare la veridicità delle lettere che risultarono autografe. La certificazione di quei tecnici fu avvalorata dai pubblici notati Andrea Cinque e Nicola Maria Conzo. Fu anche esibito un braccialetto di capelli che il Mosca aveva sul braccio e che dichiarò datogli dal figlio del principe di Canosa, come dono della Regina che la stessa aveva intrecciato con i suoi capelli

Il Presidente domandò ai membri della Commissione, se avessero delle osservazioni da fare; sulla loro risposta negativa, egli  ordinò  alla scorta di riportare l’imputato in prigione.
il Presidente a porte chiuse chiese alla Commissione Militare:
“Il nominato Agostino Mosca, qualificato come sopra, accusato d’esser passato al nemico, d’aver portato l’ armi contro lo Stato, d’aver ricevuto la missione d’attentar alla vita di S. M. il Re Giuseppe Napoleone, d‘essere stato trovato latore delle carte suddette, e d’essere stato preso armato di un fucile carico a palla, e munito di 50 cartucce, sopra la montagna di Monte Sant’Angelo, è colpevole?”
La Commissione militare dichiarò  all’unanimità, che il Mosca era reo dei delitti a lui ascritti condannandolo  alla pena di morte, in conformità all’ articolo 20 del decreto 8 agosto 1806 16

Prima dell’emissione della sentenza, Agostino Mosca rilasciò la seguente confessione: “Io qui sottoscritto Agostino Mosca, per discarico di mia coscienza, volendo dire la verità, dichiaro con giuramento innanzi a Dio essere io stato incaricato dall’ex-Regina Carolina, dalla marchesa di VillaTranfo, e dal Principino di Canosa di rendermi in Castellammare, di riunire in quei luoghi il maggior numero di cospiratori, e di amici della Corte di Palermo per appostare il Re, ed ammazzarlo. Il luogo indicatomi come il più opportuno era il Ponte della Persica, dove era facile mettersi un’imboscata, giacché il Re vi doveva in ogni conto passare nel ritorno che avrebbe fatto da Castellammare a Napoli. Era io stato assicurato, che un tale assassinio formava lo scopo principale della vasta cospirazione, ch’erasi ordita nella Capitale. Mi era stato promesso da Carolina, e confermato dalla marchesa Trento e dal principino di Canosa, che sarei stato creato colonnello in attività di un reggimento di linea, se avessi compiuta la impresa di cui mi era compromesso.” Io Agostino Mosca dichiaro con giuramento quanto sopra.

La sentenza di morte doveva essere eseguita a Piazza del Mercato luogo adibito alle pubbliche esecuzioni. Ogni condannato affrontava il supplizio in modo diverso; chi rifiutava i sacramenti, imprecava, chiedeva dell’oppio per stordirsi, altri tremanti di paura veniva strascinati su una tavola. Molti mostravano pentimento, altri baciavano la terra ovvero si rivolgevano al popolo gridando la loro innocenza

Dal Diario Napoletano del 1 luglio 1807 si evince che la sentenza alla pena capitale del Mosca, prevedeva una macabra messa in scena. Il condannato doveva uscire da Castel Nuovo con addosso la veste prevista dalla pena e cioè un camicione rosso; al largo del Gesù gli si doveva amputare un braccio e mettergli nell’altro, una torcia con la quale doveva accendere il rogo preparato in piazza Mercato su cui gettato vivo. Ma fu modificata, facendo indossare al Mosca la divisa di colonnello di Ferdinando IV e cappello con coccarda rossa, davanti alla chiesa del Gesù gli fu messa la veste di pena e legato al braccio la torcia accesa per il rogo. Ma, in effetti, il supplizio fu tramutato in impiccagione dopo averlo stordito facendolo trangugiare molto vino.

La scoperta della cattura e punizione del Mosca, indussero i Comuni di Castellammare, Sorrento, Pozzuoli e Procida ad inviare lettere di felicitazioni al Re di Napoli.

Il Monitore Napoletano n. 141 di venerdì 3 luglio 1807 conclude del processo e sentenza del Mosca, scrivendo: è stata somma l’affluenza del popolo, che ha inondato le strade per dove il condannato è passato, e si è portato nella piazza della Trinità Maggiore e del Mercato”.  Di Mosca si sa solo che, benché ubriaco, il 2 luglio affrontò la morte con dignità. Il processo fu poi riportato nel n. 87 del Corriere Milanese i giovedì 16 luglio 1807 che, riferendosi alla sentenza scrisse:” …inoltre ha ordinato, che dopo della detta sentenza, il suo cadavere fosse consegnato alle fiamme e le ceneri sparse al vento”.

Nel 1808, divenuto Ferdinando IV re di Spagna, Napoleone mise suo cognato Gioacchino Murat sul trono di Napoli, sotto il suo governo la città ed il Regno vissero momenti di grande splendore ma, contrasti con suo cognato ed il suo tentativo di unificare l’Italia sotto il suo dominio, decretarono la sua fine. Fu fatto fucilato dai Borboni il 13 ottobre 1815 a Pizzo Calabrò. Così terminò il decennio francese.

 

  1. La chinea era rappresentata da un cavallo bianco, riccamente bardato, che si inchinava al Papa nel consegnargli del denaro situato in un vaso d’argento.
  2. sotto la giurisdizione del commodoro Collingwood, che era diventato il comandante in capo della Mediterrean Fleet  alla morte di Nelson. Smith era un provetto ufficiale di marina in contatto con l’americano Robert Fulton che stava sperimentando l’uso di siluri e mine. Con le sue navi, Sidney insidiò diverse volte le coste tirreniche del Regno
  3. AA.VV., Le Due Sicilie nelle guerre napoleoniche, S.M. Esercito, 2008
  4. Il vescovo De Felice poté ritornare a Sessa dopo aver giurato fedeltà al nuovo governo.
  5. Nel 1800 aveva pubblicato il Catechismo Reale
  6. Egli, all’atto del processo, dopo la sua cattura, si qualificò colonnello dell’esercito borbonico e “Comandante di bastimento armato” riparato a Messina dopo la seconda fuga dei Borbone.
  7. Lealismo: Lealtà verso il sovrano o verso i poteri costituiti (spec. in tempi di rivolta).
  8. Appartenente alla famiglia di Napoleone o discendente da lui per via diretta o indiretta; usato per lo più al plurale indicando anche i nobili legati a Napoleone e ad esso fedeli
  9. A. C. Saliceti, Saliceto, 26 agosto 1757 – Napoli, 23 dicembre 1809; nel 1806 fu nominato ministro di polizia a Napoli sotto re Giuseppe Bonaparte e dopo tre mesi assunse la responsabilità di massimo consigliere del Ministero della Guerra. Murat lo allontanò per invidia, ma prontamente Napoleone ordinò di reintegrarlo nei suoi compiti. Dal 1806 al 1808 fu primo ministro del governo partenopeo e membro della consulta romana. Organizzato un esercito d’emergenza, respinse le navi anglo-sicule sbarcate in Calabria con un’azione ancora di intelligence di straordinaria bravura, convincendo gli isolani a spalleggiare le sue truppe. Tecnica che in pochi giorni gli permise di triplicare il fronte di difesa, così com’era accaduto nella famosa battaglia di Tolone. Egli aveva istituito una sorta di “Servizio Segreto” in piena autonomia pur dovendo risponderne a Parigi. Lo storico sovietico Evgheni Viktoroic Tarle, scrisse nel 1936: “Non sapremo mai quante vittorie attribuite a Napoleone furono del Saliceti. Di certo sappiamo che morto lui, il Bonaparte si avviò inesorabilmente verso i campi di sconfitta di Waterloo
  10. Una torre ottica del telegrafo di Chappe fu installata anche a fianco della basilica di Pozzano in collegamento con altre stazioni telegrafiche del Regno e, naturalmente con la capitale.
  11. Un reparto agli ordini del principe di Canosa che li avrebbe distribuiti fra Capri e Ventotene, incrementando le truppe di Fra’ Diavolo, alias Michele Pezza, già ufficiale borbonico nell’armata sanfedista del 1799, che aveva continuato a servire il suo Re formando nel 1806 la Legione della Vendetta; spina nel fianco dell’Esercito Francese
  12. Dette anche “fossa del coccodrillo”, era utilizzata anticamente per depositare il grano della corte aragonese, ma sovente era usata anche come prigione in cui isolare i condannati a morte
  13. ai sensi del decreto 14 luglio 1806
  14. ex-regina consorte di Napoli e Sicilia, in quanto moglie di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, fuggita a Palermo insieme al marito dopo l’invasione francese della parte continentale del regno
  15. La gran vergogna cui accenna la marchese, era la titubanza del Mosca a commettere il regicidio
  16. “Tutti gl‘ individui convinti di delitti contro la pubblica sicurezza, commessi a mano armata nelle campagne, o nelle strade pubbliche, i capi d’attruppamenti sediziosi, o armati, gli autori di movimenti popolari, i rei di reclutamento, di spionaggio, d‘ assassinio di militari francesi, di corrispondenza criminosa col nemico, o in suo favore, saranno puniti di morte.”

Il bombardamento navale di Castellammare di Stabia

Caro Maurizio, credo che questo estratto da un libro edito dalla M.M. possa essere utile al nostro portale per chiarire alcuni aspetti del bombardamento del cantiere navale di Castellammare.

Buona giornata. Antonio Cimmino

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70° ANNIVERSARIO DALLA COSTITUZIONE DEL COMANDO IN CAPO DELLA SQUADRA NAVALE DELLA MARINA MILITARE

70° ANNIVERSARIO DALLA COSTITUZIONE DEL COMANDO IN CAPO DELLA SQUADRA NAVALE DELLA MARINA MILITARE

A cura di Antonio Cimmino e Corrado Di Martino – 15 gennaio 2022

Il Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare Italiana nasce il 15 gennaio del 1952, eredita le funzioni che furono del Comando delle Forze Navali (istituito il 9 dicembre 1940), erede a sua volta del Comando dell’Armata Navale (fondata il 26 agosto 1914).

Navi, sommergibili, mezzi anfibi, aerei ed elicotteri, equipaggi composti da oltre 16.000 militari, coadiuvati da circa 1.300 civili, sono il vertice del pilastro operativo della Marina Militare. Oggi si festeggiano i suoi primi 70 anni dalla costituzione.

(Qui in basso alcune pietre miliari del Cantiere Navale di Castellammare di Stabia)

Cincnav sovrintende alla preparazione, l’addestramento e la condotta delle forze marittime della Marina Militare, ha il suo quartier generale nella tenuta di Santa Rosa, periferia nord di Roma, un luogo storico, durante la seconda guerra mondiale, nella tenuta aveva sede il Centro Trasmissioni del Comando Operativo della Marina, storicamente noto col nome di Supermarina.

L’Ammiraglio di Squadra Aurelio de Carolis comanda la Squadra Navale, da egli dipendono le unità navali, i comandi operativi che le raggruppano e i reparti delle forze operative assegnati

Sopra e sotto i mari, dentro e fuori dal Mediterraneo, nelle nostre basi e al fianco del personale delle forze armate sorelle, nei teatri operativi fuori area, ovunque chiamata ad operare, la Squadra Navale dà sempre il massimo: per mare, cielo e terra, incluso il contributo che la Marina fornisce alle attività spaziali e di difesa cibernetica, secondo un moderno approccio multi-dominio” così l’ammiraglio De Carolis descrive il compito della Squadra Navale.

Tuttavia Cincnav svolge altre attività in collaborazione con altri dicasteri della Difesa, quali la vigilanza sull’inquinamento dell’ambiente marino, la ricerca e salvaguardia dei beni archeologici sommersi, la partecipazione alla campagna antincendi boschivi; il supporto alle operazioni di ricerca e soccorso in mare e alle operazioni di soccorso per calamità naturali.

Bonne chance Cincnav

Pontoni armati nel Regio Cantiere Navale stabiese

Pontoni armati nel Regio Cantiere Navale stabiese

Il territorio della laguna veneta è composto da una fitta rete di canali, sia naturali sia artificiali, con bassi fondali e circondati da canneti ed arbusti 1

Pontoni mimetizzati

Per la sua difesa, durante il primo conflitto mondiale, la Regia Marina fece costruire dai cantieri nazionali dei pontoni armati, alcuni semoventi ed altri statici cioè trainabili, tutti a chiglia piatta. Erano impiegati principalmente per bombardare le postazioni austriache del basso Isonzo.

Pontone armato

 I più famosi pontoni semoventi, in legno e acciaio erano il Faà di Bruno e l’Alfredo Cappellini.

Pontone Prima Guerra Mondiale

Allo scoppio della prima guerra mondiale furono  impiegati alla foce dell’Isonzo.

Dopo i buoni risultati, presto la loro area operativa venne notevolmente estesa sino al Piave ed alla difesa di Venezia con l’impiego di differenti tipi pontoni armati di artiglieria navale, sotto il comando della Regia Marina.

I pontoni semoventi appartenevano a classi differenti, alcuni anche di derivazione austriaca. Quelli della classe Monte Grappa avevano lo scafo metallico suddiviso in sette compartimenti stagno con paratie trasversali. I locali interni erano destinati a deposito nafta ed olio, apparato motore composto da due motori Diesel Fiat a due tempi da 350 Hp, motopompe ed elettro-generatore. Sottocoperta fu ricavato anche l’alloggio equipaggio. Marinai e cannonieri vivevano, quindi in locali angusti, tra le cariche e le granate, non potevano accendere il fuoco per scaldarsi in inverno né in qualsiasi stagione cuocere il cibo. In coperta, inoltre, in funzione di ponte comando, c’era una piccola plancia per il telemetro ed un albero che fungeva anche da coffa per la vedetta. Furono armati principalmente con cannoni da 381 mm destinati alle supercorazzate classe Caracciolo. I cannoni per i pontoni costruiti nel regio cantiere stabiese furono realizzati dall’Armstrong di Pozzuoli, pesavano 84.900 chili e erano lunghi 14,755 metri, altre bocche da fuoco dello stesso calibro, furono ordinate all’Ansaldo e alle Acciaierie di Terni.

Gli Ansaldo-Scheneider pesavano 62.600 chili ed erano lunghi 15,75 metri, quelli Vickers-Terni, della stessa lunghezza,  pesavano 83.825 chili.  Tutti, però potevano sparare proiettili da 884 chili alla distanza di circa 20.000 metri con alzo 20° e 27.000 metri con alzo 30° e con cadenza di 3 colpi al minuto. Alcuni cannoni furono destinati all’Esercito che li usò anche sui treni armati e per la difesa costiera. Quando i pontoni andarono in disarmo dopo la guerra, i cannoni furono tutti destinati alle batterie costiere e utilizzati fino alla seconda guerra mondiale.

Monti pontoni furono dotati anche di cannoni di calibro minore nonché mitraglie antiaeree. Dopo la sconfitta di Caporetto, i marinai a costo di enormi sacrifici spostavano velocemente i natanti in base alle circostanze belliche ed in funzione delle correnti; essi crearono un organico assetto difensivo, compiendo una gigantesca e  spesso sconosciuta opera che permettendo all’Esercito di trovare, a ripiegamento compiuto, un punto di appoggio, di salvare Venezia.

 I pontoni tenevano costantemente sotto tiro i ponti che gli austriaci gettarono sul Piave per sconfinare nella pianura padana e, uno dopo l’altro, li distrussero con tiri precisi con i loro cannoni. Nel novembre del 1917 fu creata la 55a Sezione del Regio Esercito che utilizzava gli aerostati per l’osservazione del tiro dei pontoni del Raggruppamento artiglieria della Regia Marina. Aerostati composti d palloni frenati del tipo draken ovvero A.P. (Avorio Prassone) che portavano una navicella per l’osservatore che comunicava le coordinate dei bersagli ai cannoni dei pontoni ed anche delle artiglierie terrestri.

Varo nave corazzata Caraciolo

Anche il regio cantiere di Castellammare di Stabia, in assenza di costruzioni di unità navali corazzate o sottili che fossero, contribuì al varo di pontoni semoventi e statici. A dir il vero, nel cantiere era in costruzione la super corazzata Francesco Caracciolo di 34.000 tonnellate, capo classe di quattro unità i cui lavori vennero sospesi nel 1916 in pieno conflitto, ripresero solo negli anni ’20 2

Castellammare, soggetta ad un altro periodo di crisi della cantieristica, dopo il primo anno di guerra e fino al 1919 si dedicò alla costruzione di rimorchiatori dragamine (RD dal n.1 al 21 e dal 31 al 37)  e MAS (dal n. 303 al 307 e 327, 328, 331, 332, 333, 334). Questo tipo di dragamine, con poco pescaggio, effettuavano il dragaggio meccanico o trascinando cavi metallici per recidere gli ormeggi delle mine ad urto che, una volta liberate, venivano fatte saltare sparando con le armi leggere di bordo. Erano anche utilizzati per rimorchiare fuori dai campi minati, navi danneggiate ed impossibilitate a muoversi. Il loro armamento consisteva in un cannone da 76/40 mm. L’impossibilità di grandi battaglie navali e le caratteristiche del bacino di operazioni dell’Adriatico costrinsero l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel ad ordinare la costruzione di decine di unità sperimentali leggere, di dimensioni ridotte e molto veloci adatte alle operazioni offensive. Queste imbarcazioni, costruite da vari cantieri, furono denominati M.A.S. (Motobarche Armate S.V.A.N.) e impiegate anche come posamine, cannoniere, antisommergibili, eccetera 3.

Nel regio cantiere navale di Castellammare, non più interessato quindi al varo di grosse unità, dal 1918 iniziò la costruzione dei pontoni armati. Al terzo anno di guerra, quindi, fu costruito il ponte armato semovente Monte Grappa: impostato il primo maggio 1918, varato il 21 settembre ed in servizio il 22 gennaio 1919. Il suo scafo era metallico, con murate verticali, fondo piatto e poppa e prora dritte. Era alimentato da due motori Diesel da 700 Hp e armato con cannone da 381 mm. Venne radiato il 13 novembre 1924. Il pontone statico, il Monte Novegno, venne varato a guerra finita il 31 maggio 1919 ed entrò in servizio nell’autunno dello stesso anno.  Anch’esso alimentato da due motori Diesel ed armato di un cannone Armstrong da 381 mm. nel 1921 venne classificato “cannoniera” e nel 1925 utilizzato come bersaglio per i siluri. Il 10 dicembre 1919 fu varato il pontone semovente Monte Cencio alimentato da un motore Diesel da 350 Hp. Sempre nel 1921 fu classificato “cannoniera”, radiato nel novembre del 1924 l’anno seguente fu utilizzato come bersaglio per i siluri. Il Montello, invece, era un pontone statico impostato il 10 maggio 1918, varato il 31 dicembre 1918, in servizio il 19 maggio dello stesso anno nella laguna veneta. Nel 1921 classificato “cannoniera”, venne radiato nel novembre del 1924. I cannoni da 381 mm destinati alla super corazzata Caracciolo, dunque, furono montati su questi zatteroni.

Nessuno dei quattro pontoni partecipò al conflitto, dopo aver stazionato in Alto Adriatico in una situazione post bellica alquanto tumultuosa dal punto di vista sia politica e sia economica, furono riconvertiti negli anni venti e poi radiati. Il cantiere si preparò ad affrontare un grave lungo periodo di crisi caratterizzato dal varo e demolizione della super dreadnought Caracciolo e sopravvisse costruendo bitte, un bacino galleggiante e altri piccoli natanti: era terminata definitivamente l’epoca delle grandi corazzate.

 

 

Bibliografia

AA.VV.  Storia della Marina – vol 1-10 – Fabbri Editore 1978

AA.VV. Ufficio Storico della Marina Militare – Almanacco Storico delle Navi Militari Italiane (1861-1995)

  1. Bravetta, La grande guerra sul mare, vol. I, Mondadori, 1925.

Cosentino M., Gli aerostati della Regia Marina durante la Grande Guerra, Marinai d’Italia, dicembre 2015.

  1. Veronesi – I pontoni armati nella Prima Guerra Mondiale – Rivista Marittima, gennaio 2010
  1. I canali interessano diversi corsi d’acqua dolce come i fiumi Piave, Tagliamento, Isonzo e le lagune di Caorle, Marano e Grado. Da secoli rappresentano un sistema fluviale di navigazione interessanti Venezia ed il golfo di Trieste. L’ammiraglio Thaon di Revel (1859-1948), diede personalmente ordine di mettere Venezia in comunicazione diretta e interna con il Po e l’Isonzo, il che permise di migliorare i rifornimenti per l’Esercito e, al momento di Caporetto, di portare via , attraverso i canali navigabili, gran parte del materiale bellico da Grado a Monfalcone.
  2. Le classi Caracciolo dislocavano 34 000 tonnellate a pieno carico, erano lunghe 212,08 m f.t (fuori tutto), e 210,60 al galleggiamento La larghezza massima era di 29,60 m, all’altezza di costruzione era di 13,75 m, mentre l’immersione media era di 9,50 m (con 1 800 tonnellate di nafta imbarcata). L’apparato motore si basava su 20 caldaie Yarrow alimentate a nafta, azionanti quattro gruppi turbine Parsons a ingranaggi su quattro assi. La potenza normale erogata era di 75 000 CV, che arrivava a 105 000 CV in tiraggio forzato. La velocità massima era di 28 nodi, l’autonomia era di 8.000 miglia a 10 nodi, mentre la capacità carburante era pari a 1 800 tonnellate di nafta. Il 25 ottobre 1920 venne venduta alla Navigazione Generale Italiana che intendeva trasformarla in nave mercantile e per trasporto passeggeri. Per motivi tecnici ed economici, il progetto venne abbandonato e fu decisa la sua demolizione. Oltre alla Caracciolo, furono impostate il Cristoforo Colombo, il Marcantonio Colonna e il Francesco Morosini, queste tre furono demolite sullo scalo nel 1918 ed i cannoni costruiti furono impiegati sui pontoni ed in altre postazioni a terra. Il Colombo fu impostato nel cantiere Ansaldo di Genova il primo marzo 1915, i lavori furono interrotti l’anno successivo e lo scafo fu demolito sullo scalo nel 1921. Il Colonna, impostato nel cantiere Odero di Genova Foce il primo marzo 1915 subì la stessa sorta del Colombo. Così il Morosini impostato nel cantiere dei fratelli Orlando di Livorno il 20 giugno 1915.
  3. Tra le innovazioni concepite nel 1915 e messe in servizio dal 1916 vi sono i MAS, che replicati in 244 esemplari si rivelarono decisivi in un conflitto in cui la preoccupazione principale dell’avversario era quella di mantenere intatto il potenziale della propria flotta, esponendola il meno possibile ai rischi di uno scontro in mare aperto. L’acronimo M.A.S. stava a significare Motobarca Armata S.V.A.N. Società Veneziana Automobili Navali); D’Annunzio inventò il famoso motto Mememto Audere Semper. Solo nel 1925 al termine Motobarca subentrò quello di Motoscafo. La sigla MAS dunque, seguita da un numero, fu data a tutte le unità