‘O papagno, una pianta quasi dimenticata

Un breve racconto:

papagnoIl sole non è ancora sorto quando Mastu Ciccio si sveglia, tra qualche ora il cantiere navale lo chiamerà col suo fischio al duro lavoro da operaio, prima però deve badare agli animali nella stalla e al raccolto nei campi.

Muovendosi cautamente, per non svegliare i quattro figli e la moglie che dormono nella stessa stanza, si reca in cucina dove ha già preparato in un angolo la bacinella per lavarsi e su una sedia gli abiti per vestirsi. Prima di uscire è meglio mangiare qualcosa…nella credenza deve esserci un pezzo di quel buon pane ai semi di papagno, una novità comprata nella bottega di Catarina ‘a panettera.

Appena la porta si chiude Donna Manuela, che s’era appapagnata pe’ n’ate cinche minute, apre gli occhi, tra un po’ il marito dove andare a lavorare, gli deve preparare ‘a marenna. Ieri ai margini del campo coltivato a fagioli ha visto parecchi papagni, se si sbriga può raccoglierli e farli sfritti.

Quando Mastu Ciccio e Donna Manuela tornano dal campo i figli ancora dormono. Il piccolo Giorgio questa notte ha riposato bene, bisognerà ringraziare la signora Concettina, il decotto di papagno che ha preparato ha funzionato.

Il profumo e il crepitio dell’aglio, dell’olio e del peperoncino sfritti da Donna Manuela fanno svegliare la piccola Carmelina e le sorelle ‘Ntunetta e Rafilina. Il loro primo pensiero non è certo per la scuola, tra un po’ dovranno andarci; prima, però, c’è il tempo per giocare con la bambolina costruita ieri col fiore del papagno, che bella, somiglia tanto ad una ballerina spagnola.

La giornata è ormai iniziata, in lontananza si sente la voce della città che si ridesta, ecco Geretiello ll’acquaiuolo col suo bel cavallo Barone. Donna Manuela sentendolo arrivare prende ‘a langella e corre in strada per farsela riempire d’Acqua della Madonna. Ad un tratto si sente un gran baccano, ancora una volta Pascale e Vicienzo, i figli scalmanati della Cummarella Olga, si azzuffano…per fortuna arriva il padre ‘o Cumpariello Vittorio che con due papagni li zittisce. Ecco ‘o sisco do cantiere, sono le sette e trentacinque, alle otto inizia il turno, bisogna sbrigarsi.

‘O papagno nella cultura stabiese:

Come testimonia il racconto appena letto, il papagno è tante cose: prima di tutto è una pianta, il termine dialettale è, infatti, l’equivalente dell’italiano papavero.

Nel circondario stabiano abbonda il papavero comune o rosolaccio (Papaver rhoeas L.) ne esistono due sottospecie facilmente distinguibili, la più comune è caratterizzata da una chiazza nera alla base dei petali scarlatti (subsp. rhoeas) mentre la meno frequente non ha la chiazza scura (subsp. strigosum). Il Papavero comune è una pianta erbacea, annuale, che cresce nei coltivi come infestante, lungo le strade di campagna, nelle fessure dei vecchi muri a secco, tra i ruderi e nelle macerie. Meno abbondante è il papavero domestico (Papaver somniferum L.) questa specie si distingue dalla precedente per l’aspetto più robusto, per le foglie cauline che abbracciano il fusto e per il colore dei petali che possono essere bianchi, rosei, violetti ma non scarlatti.

Questa pianta, anch’essa annuale, è stata coltivata in passato per le sue proprietà medicinali si tratta, infatti, del famoso Papavero da oppio, per i semi aromatici usati per condire il pane, e come specie ornamentale.

Il papagno è un modo di dire, il termine è usato per indicare un pesante schiaffo inferto a mano aperta ed indirizzato al volto, tale da stordire chi lo riceve, così come stordisce l’oppio contenuto nel papavero. L’espressione appapagnarsi è invece l’equivalente dell’italiano appisolarsi e fa riferimento sempre alle proprietà anestetiche del papavero.

Papagno è anche una “medicina”, anticamente col papavero si preparavano dei decotti usati per calmare e facilitare il sonno dei bambini. Il termine papavero deriva dal celtico papa, cioè pappa ed è riferito all’usanza appena descritta.

Il papagno è poi una pietanza, la pianta raccolta quand’è ancora giovane, cotta e condita è un’ottima verdura. Può essere cucinata allo stesso modo della scarola, degli spinaci e dei broccoli. Mentre, mischiata ad altre erbe contribuisce a rendere uniche minestre ed insalate. Squisiti sono i papagni sfritti, tipica ricetta della cucina povera stabiese.
Infine il papagno è un gioco, usando i fiori di quest’eccezionale pianta è possibile realizzare una piccola “ballerina di flamenco”.

Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt

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