I Conti di Castellammare – Capitolo II

Storia e Ricerche

Il Gran Tour dei Conti di Castellammare

CAPITOLO II

24 maggio – 1° giugno Firenze

Da Pisa il giorno 24 si incamminarono verso Firenze e la strada è meravigliosa, annotò nel suo diario Maria Carolina, ciascuna campagna è ben gestita e messa a fruttare essendo ben distribuita tra un popolo così numeroso, che mostra sia nei vestiti che nell’espressione del viso di essere pulito e ben nutrito.

Tuttavia, una volta arrivati, la regina restò delusa e la città è triste e desolata, il Palazzo Pitti[1](fig. 6), dove presero ad alloggiare, continuò a scrivere nel suo diario, è superbo, magnifico e di immensa grandezza, un vero labirinto, eppure io preferisco la bella Pisa e il Lungarno che sono più ridenti.

Comunque, ciò che apprezzò furono i giardini di Boboli[2] (fig. 11) che circondavano il palazzo e dei quali gradì la comodità, essendo in discesa, di potere passare,attraverso vialetti e terrazze,da un piano all’altro del palazzo stesso.

Fig. 6 Firenze. I giardini di Boboli in una planimetria del XVIII sec. (Dis. G. Vascellini)

Fig. 6 Firenze. I giardini di Boboli in una planimetria del XVIII sec. (Dis. G. Vascellini)

La sera, poi, si recarono al Teatro della Pergola[3]dove era rappresentata l’opera seria Giulio Sabino, sul libretto di Pietro Giovannini. Gli interpreti principali erano Domenico Bedini[4], Margherita Moriggie il tenore Giuseppe Simoni[5]. Alla fine, fu dato il nuovo balletto eroico il Gran Cid, immaginato e composto da Federigo Terrades. Questa la cronaca che ne fece il giornale “Notizie del mondo”[6]

Fu un punto di vista il più sorprendente il vedere la brillante comparsa di tante persone che dovevano agire, tutte vestite all’ultimo gusto, con decorazioni di carri trionfali, e con uno scenario allusivo al Campo militare, così bene condotto nella sua prospettiva, che sembrava un vero accampamento; il tutto poi fu eseguito con tal ordine, e maestria, che le Auguste Persone si degnarono applaudirne la bella idea, e felice esecuzione.

Ritornata a casa la regina confermò quella che era stata la sua prima impressione e scrisse:

Firenze è triste, i palazzi sono magnifici ma le persone hanno un aspetto sommesso, composto, mesto che mi rende ancora più triste.

Nei giorni successivi visitarono molti luoghi caritatevoli della città e in particolar modo alcuni ospedali, tra i quali quello di santa Maria Novella[7], che all’epoca accoglieva 1500 assistiti con un organico di 200 persone e l’ospizio dell’Orbatello[8],una delle principali istituzioni di assistenza fiorentina, che ospitava oltre a donne povere, derelitte, prive dell’assistenza dei congiunti anche ragazze madri. Visitarono anche l’Accademia di Belle Arti[9] e l’ex Convento delle suore Mantellate[10], che proprio in quell’anno era stato trasformato dal granduca Pietro Leopoldo in Conservatorio con la finalità di educare le ragazze.

Il giovedì parteciparono alla solenne processione del Corpus Domini[11](fig. 7) alla quale intervennero il Granduca Leopoldo, vestito del Manto come Gran Maestro del Sacro Ordine Militare di S. Stefano e trentuno nuove Compagnie della Carità.

Fig. 7 Firenze. Veduta del Duomo e della processione del Corpus Domini in una stampa del XVIII sec. (Dis. G. Zocchi)

Fig. 7 Firenze. Veduta del Duomo e della processione del Corpus Domini in una stampa del XVIII sec. (Dis. G. Zocchi)

I Cavalieri dell’Ordine medesimo in abito e cappa magna corrispondente e con torcetti[12] in mano la precedevano. La Granduchessa e i sovrani siciliani, invece, assistettero alla processione da un posto espressamente allestito, sotto le Logge della Signoria. Finita la funzione si trasferirono al Duomo per assistere alla S. Messa e quindi passarono in altre Chiese. In particolare, visitarono la basilica di San Lorenzo con la cappella dei Medici dove,oltre ai sarcofagi in bronzo della famiglia dei Medici, erano sepolti i due figli[13] dei granduchi, morti precocemente, e il duomo di S. Maria Novella, che in tale ricorrenza era riccamente adornato e grandiosamente illuminato. Conclusero la giornata andando al Teatro Nuovo[14] dove assistettero all’opera seria L’Olimpiade di Giovanni Battista Borghi[15] su libretto di Pietro Metastasio.

Il giorno seguente visitarono le scuole pubbliche di San Salvadore[16] e di San Paolo[17], due dei quattro istituti di educazione fondati dal 1778 al 1781 dal Granduca Pietro Leopoldo per l’educazione delle ragazze povere. Queste scuole per volere del Granduca erano rigorosamente laiche e lasciavano alle fanciulle la libertà di scegliere la propria strada seguendo la personale vocazione. Alle ragazze si forniva una discreta preparazione culturale e la possibilità di imparare un mestiere ea quelle più meritevoli, alla fine del loro percorso educativo,veniva assegnata una dote. La regina ne rimase favorevolmente impressionata e riconoscendone la grande utilità nel suo diario scrisse:

questi Istituti formeranno l’oggetto dei miei desideri e delle mie cure per poterli istituire anche a Napoli.

Videro anche il Conservatorio delle Signore Montalve[18] che, a differenza delle precedenti, si rivolgeva alle giovani nobili. Infatti, le cosiddette “Signore Montalve” insegnavano alle allieve, oltre alla dottrina cristiana e alla prassi di vita spirituale, materie culturali, professionali ed artistiche ed impartivano, inoltre, norme di buona educazione per il comportamento nell’alta società. Da lì si recarono alla casa di correzione,istituita da Pietro Leopoldo nella Fortezza da Basso (fig. 8)e aperta in via sperimentale fin dal 1782.

Fig.8 Firenze. Le mura esterne della fortezza da Basso (An. inc.1835)

Fig.8 Firenze. Le mura esterne della fortezza da Basso (An. inc.1835)

L’istituto era destinato ai giovani di entrambi i sessi, dai 14 anni in su, i cui comportamenti a rischio turbassero le famiglie o la quiete della società. All’interno della fortezza tutti dovevano svolgere un lavoro dietro un misero compenso mensile.  I ragazzi imparavano il mestiere di fabbro o di falegname nelle botteghe situate nella fortezza stessa e le ragazze si occupavano di filare, fare la calza e di altre incombenze domestiche. Coloro che non erano in grado di svolgere nessuna occupazione dovevano fare lavori di fatica, come ripulire la Fortezza o coltivarne gli orti. La sovrana rimase impressionata dai ricami eseguiti sulle lenzuola dalle ragazze e si fece fare copia di alcuni modelli che inviò a Napoli. Infine, fatta l’ultima visita al Conservatorio per le ragazze povere di san Giovacchino[19] se ne ritornano a casa. Nel pomeriggio si recarono sulle colline di Fiesole dove il Granduca aveva una villa detta “La Quercia”, e salita su una terrazza scrisse Maria Carolina: ho goduto di una vista superba la valle e le case di Fiesole sono un colpo d’occhio meraviglioso la valle è tutta coltivata a vigneti e le case in mezzo sono pulite e carine … abbiamo camminato liberamente nell’aria della campagna e mi sono sentita allargare il cuore.

In serata parteciparono ad un ballo in maschera data nel teatro La Pergola.

I sovrani napoletani, particolarmente attenti alle problematiche riguardanti il settore artigianale e manifatturiero, il giorno dopo si recarono a visitare molti luoghi degni della loro attenzione. Andarono alla fabbrica di porcellane di Ginori[20] (fig. 9), che attraversava un periodo di forte contrazione e che secondo il parere della regina non sarebbe durata a lungo, di lì si recarono allo studio dei Fratelli Pisani[21], scultori veneziani, lodando i lavori che in esso si trovavano, e poi alla nuova Fabbrica delle Biancherie dei Lensi posta al Ponte a Rifredi.

Fig. 9 Firenze. L’antica manifattura Doccia Ginori seconda metà del sec. XIX.

Fig. 9 Firenze. L’antica manifattura Doccia Ginori seconda metà del sec. XIX.

Qui si intrattennero circa un’ora osservando il modo di tessere tele operate e damascate con le quali si realizzavano biancheria da letto e da tavola, che riuscivano anche meglio di quella fatta fino ad allora venire dai paesi esteri. Soprattutto espressero la loro ammirazione per delle tovaglie damascate che in quel momento erano sui telai. Dopo, tutti insieme, si recarono a vedere le ville di campagna dove il Granduca e la Corte amavano trascorrere la primavera e l’autunno. In particolare, andarono a visitare i magnifici giardini della Villa di Castello[22]per poi passare alla vicina Villa La Petraia[23], dove pranzarono. Nel pomeriggio, dopo una passeggiata per la porta di San Gallo e una breve sosta a Palazzo per riposarsi, si recarono a teatro per assistere ad un’opera buffa e ad un balletto. Il genere comico era quello che preferiva Maria Carolina ed infatti anche la sera successiva assistettero ad un’altra opera buffa Il Serraglio, su musica di Giuseppe Gazzaniga.

Per il lunedì successivo, giorno dell’onomastico di re Ferdinando, era stata organizzata una grandiosa festa da ballo in maschera, dandone avviso per mezzo delle maggiori testate giornalistiche dell’epoca. Di seguito riportiamo quello dato dalla rivista “La Gazzetta toscana”[24]:

            È stato reso noto pubblicamente il seguente avviso: La sera del dì 30 di maggio 1785. S. A. R. darà una pubblica festa di Ballo, e Giuochi permessi nel suo Palazzo Pitti, alla quale potranno intervenire le persone di ogni rango, ceto, e qualità senza distinzione di sorte alcuna. Prima delle ore otto pomeridiane non sarà accordato l’ingresso nel Palazzo suddetto. Saranno poi ammesse tutte le persone vestite pulitamente, e decentemente. Tutte le persone Mascherate, tanto con volto coperto, quanto scoperto, e precisamente le Bautte[25] saranno ammesse senza ricerca di nome, o biglietto, all’esclusione soltanto della Maschera di Arlecchino, e simili, che comunemente non sono gradite nelle feste pulite. Per tutte le altre persone, che a forma di quanto sopra non fossero ammissibili ai Quartieri Nobili della festa, e per tutto il resto del popolo sia di Città, che di Campagna di qualunque sorte sarà libero l’ingresso nel Cortile del Palazzo, senza ricerca, né distinzione alcuna, né della loro vestitura, né della loro condizione, tanto mascherate, tanto nel Cortile del Palazzo suddetto per godervi di quelli illuminazione, quanto nell’Anfiteatro del Giardino di Boboli, che a questo effetto sarà illuminato, e preparato per un Ballo popolare, ed al quale avranno l’accesso unicamente per la Scala, e passare, che dal Cortile mette nell’ Anfiteatro. Per uscire dal suddetto Anfiteatro sarà libera la Porta di Boboli detta di Bacco. Nessuna Carrozza potrà in quella sera entrare nel Palazzo, compresevi anche quelle delle persone, che ordinariamente vi sono ammesse, e neppure quelle servite con la Livrea di Corte, per non dare incomodo ai Pedoni. Tutte le Carrozze per venire alla festa dovranno passare da Via Guicciardini tanto per caricare, che per scaricare, e dipoi partire sempre dalla parte di S. Felice in Piazza, secondo che indicheranno le Sentinelle. Le due Strade, dello Sdrucciolo dei Pitti, e l’altra detta Via de’ Marsili saranno serrate con catene per dare l’accesso comodo unicamente ai Pedoni.

Tuttavia, per una insistente pioggia, incominciata proprio in serata, la festa poté effettuarsi soltanto nei Quartieri Reali del Palazzo Pitti e la succitata rivista riporta che:

Erano circa 40 le superbe stanze tra gran Sale, Camere, e Gallerie preparate per la Festa. Egli è impossibile di dare con una semplice descrizione la vera idea dell’addobbo, ricchezza, gusto, e magnificenza della medesima a chi non le ha ocularmente veduta. La continovata luce sempre ripercossa dalla molteplicità degli specchi, placche, e lumiere gareggiava con quella del giorno il più luminoso. Due dei gran Saloni erano destinati per il ballo, ed il restante per il gioco, e per il trattenimento. Le numerose orchestre ripiene dei più eccellenti Professori in ogni genere di grato suono corrispondevano alla nobiltà dello spettacolo…Mai si cessò di ballare con un ordine il più regolato, da altri furono occupati diversi tavolini del gioco, e tutti avevano luogo di variamente divertirsi. Erano state preparate quattro stanze con ogni sorta dei più squisiti rinfreschi in quattro diversi posti in giusta distanza l’uno dall’altro.

La festa durò fino a notte inoltrata e si può solo immaginare la delusione di tutto il popolo, soprattutto quello numerosissimo proveniente dalla campagna, e per il quale si era appositamente addobbato il grande anfiteatro del Giardino di Boboli. Per questa ragione il Granduca decise che nella sera successiva si eseguisse quanto era già stato disposto. Infatti, alle ore cinque pomeridiane fu accordato l’ingresso indistintamente a tutti nel suddetto Giardino per diverse porte. Se grandiose sono state le feste date finora nelle diverse Città ai Reali viaggiatori“si continua a leggere nella stessa rivista” questa le ha sorpassate di gran lunga nel lusso, nel concorso, nel brio, nell’idea, nella magnificenza, e nella brillante esecuzione, favorita dalla situazione del R. Palazzo, e suoi annessi. Incominciava a sorprendere gli spettatori la nobile, e magnifica facciata, a cui provvisionalmente era stata aggiunta la branca destra con un Rondò eguale all’ altro per così compire ad un egual simmetria della vastissima fabbrica. Appena fu fatto notte risplendeva quella da per tutto per la bene ordinata illuminazione con viticci, e torce di cera, con fanali, e gran numero di fiaccole. Il cortile, con il restante dell’interna prospettiva accresceva la sorpresa, Furono, in essa costruite a bella posta due orchestre per intrattenervi al ballo in quella sera i numero si concorrenti. Tutta la superba architettura era ritrovata da cima a fondo con tanti lampioni di cristallo ornati di fogliami con viticci, e con molti lumi sì ben disposti da somministrare il più leggiadro colpo di vista. Il recinto della Vasca, e la Vasca medesima, che chiude il cortile e fa trionfo al di dietro del Palazzo, formava un nuovo disegno, della maggior vaghezza. Diversi gruppi a forma di trofei, un’infinità di lampioni, fanali ec. vi fissavano altrettanti prospetti, e vi accrescevano lo splendore a segno da farla comparire un’intera macchina rilucente. La parte più numerosa di popolo e specialmente del Contado fu il recinto del grande Anfiteatro di Boboli. Bisogna avere idea della vastità, e vaghezza propria di quel luogo per poter concepire a qual nuovo, brillante aspetto poteva esser ridotto, come infatti lo era, in si festevole occasione. Tutto si vedeva destinato per un ballo popolare : Nel mezzo stava eretto un rotondo palco vagamente dipinto con gran viticci attorno, costruito con diversi ordini di gradi, che andavano a terminare in un cerchio di sedili coperto da un Padiglione alla Cinese a foggia di vasto ombrello a più colori, con gran pennacchi, il quale girando intorno a se stesso dava moto a vari corpi sonori, che in gran numero pendevano dall’estremità del medesimo per accrescere sempre più l’ allegro strepito. La scalinata della maggior circonferenza era ripiena di suonatori in diverso abito rappresentante quello di varie Nazioni, cioè Napoletana, Spagnola, Paesana ec: Nella parte immediatamente sottoposta al Padiglione sedevano circa trenta leggiadre Ragazze di Campagna destinate a suonare il Cembalo. Non vi mancava alcuno degli altri suoni che sogliono praticarsi nei balli di Campagna. Chitarre, tamburi, catube[26], sistri[27], e strumenti da fiato, che coi violini formavano una non interrotta armonia...

Sull’imbrunir della sera distribuiti per ordine sul gran palco tutti i suonatori, incominciarono ad invitare al ballo. Allora fu che nello spazioso recinto si vedevano formati diversi cerchi occupati da machere, da Contadine galantemente vestite, e da ogni ceto di persone, che ripiene di festoso brio danzavano bizzarramente. Gli evviva, il batter, delle mani, il moto straordinario aggiungeva un nuovo genere di spettacolo. Ognuno era in preda della più grande allegrezza. Godevano, altri in ballare, ed altri si divertivano nel rimirargli Ovunque lo sguardo si rivolgesse trovava sempre di che restare appagato. Ogni angolo, ogni viale, ogni posto rideva di lumi, ed era pieno d’allegro popolo. Tutto il recinto insomma era tanto in tanto illuminato per mezzo di varie colonne ornate di verdura con un viticcio triangolare all’estremità, che reggeva altrettanti lucidi, lampioni. L’Anfiteatro poi continuava l’illuminazione del Palazzo, e faceva corona alla medesima. Ogni Nicchia aveva un ornato di copiosi lumi, un’Urna in mezzo, e due alle parti laterali con faci ardenti. Ricorreva nei balaustrati il disegno sull’ istesso gusto, formando il tutto un complesso di luce. Bello, era il vedere la numerosa, ed estesa scalinata dell’Anfiteatro medesimo, che fino dalle ore 5 del giorno fu ripiena tutta di gente. A questo popolo ancora si estese la Real Munificenza: molte migliaia di libbre di paste dolci, e gran quantità di vino fu il rinfresco destinato, e distribuito a profusione nel corso della notte a chi ne richiedeva. Tutti ne profittavano con piacere, e a tutti s’ aumentava l’allegria seguitata dagli altri che d’ ogni Ceto ed in gran numero ballavano nel Cortile. Da questo si passava ad un altro superbo colpo di vista con cui restava completo l’artefatto prospetto. Per la lunga estensione del Giardino dall’Anfiteatro fino alla Statua la Cerere ricorreva la copiosa illuminazione sempre sull’istesso gusto: e siccome quello spazio resta tutto in eminenza, ed in direzione del Real Palazzo, così dalla Ringhiera di questo si godeva interamente, ed in tutti i punti della sua vaghissima veduta. Per compimento di sì bella prospettiva fu eretta una gran macchina a guisa di Tempio, in mezzo del quale restava la Statua suddetta. Il disegno era de’ più grandiosi con due Elefanti alle parti laterali, che sostenevano due alte piramidi. Una tal macchina formata in modo da comunicare la luce anche internamente vedeasi così ripiena di lumi, che compariva da lontano un globo di vivo fuoco…

Oltre tutto ciò volle il Real Sovrano che si ripetesse la festa della sera antecedente nei Reali Appartamenti. Vennero questi illuminati di nuovo, ed ivi concorse la nobiltà, e la Cittadinanza in gran numero. La soddisfazione di tutto il Pubblico fu tale, che udivasi applaudire continuamente uno spettacolo grandioso e singolare, di cui fin’ ora non ci è stata memoria. Gli Augusti Monarchi, e tutta la Real Famiglia si trovarono sempre presenti, ed Essi pure si compiacquero del nobile insieme, e popolare Divertimento, che continovò fino alle ore 3 in circa dopo la mezza notte. Allora fu che le LL. MM. Siciliane partirono da questa Città, e si diressero alla volta di Bologna.

Infine, per immortalare il tanto gradito soggiorno dei due sovrania Firenze, l’incisore Weber[28]coniò due medaglie, una per il Re e l’altra per la Regina che furono dettagliatamente descritte sempre nella medesima rivista:

Il diritto della prima Medaglia aveva inciso il busto del suddetto Monarca colle parole attorno Ferdinandus IV. siciliarum Rex, e nel campo opposto la veduta del Porto di Livorno con navi, e sulla spiaggia i quattro Reali Sovrani, Re, e Regina di Napoli, Granduca, e Granduchessa di Toscana, che vengono ad incontrarsi. Vi si leggeva al di sopra l’epigrafe: Cognati Reges, ed a piè della medaglia stessa: Fausto in Etrur. Adventu.

La seconda rappresentava il Ritratto della Regina coll’ iscrizione: M. Carolina A. Austr. sicil. Regina. Nel rovescio apparisce la veduta di Firenze in prospetto, e sul campo gli stessi quattro Reali Personaggi, i quali si tengono per mano, mentre il Granduca accenna ai due Sovrani Ospiti la sua Capitale. Intorno si legge il motto preso da Virgilio: Jungimus hospitio dextras; ed inferiormente: Neap. RR. inEtrur. Adventu. 


Note:

[1] Acquistato nel 1550 da Cosimo I de’Medici e dalla moglie Eleonora di Toledo per trasformarlo nella nuova residenza granducale, Palazzo Pitti diventò ben presto il simbolo del potere consolidato dei Medici sulla Toscana. Reggia di altre due dinastie, quella degli Asburgo-Lorena (successori dei Medici dal 1737) e dei Savoia, che lo abitarono in veste di reali d’Italia dal 1865, Palazzo Pitti porta ancora il nome del suo primo proprietario, il banchiere fiorentino Luca Pitti, che alla metà del Quattrocento lo volle edificare – forse su disegno di Brunelleschi – al di là dell’Arno, ai piedi della collina di Boboli( cfr. www. Uffizi.it).

[2] I giardini di Boboli- fondati nel 1766 da Pietro Leopoldo sul recinto già di pertinenza del seicentesco giardino degli Ananas (cfr. Il giardino di Boboli a cura di Litta Maria Medri. Milano Silvana Ed., 2003).

[3] Il Teatro della Pergola è un teatro storico di Firenze ed uno dei più antichi e ricchi di storia di tutta Italia, eretto con una struttura lignea nel 1656 da Ferdinando Tacca (figlio dello scultore Pietro Tacca) su incarico dell’Accademia degli Immobili, presieduta dal cardinale Giovan Carlo de’ Medici. È considerato il primo grande teatro a ordini di palchi sovrapposti (“all’italiana”), mentre fino ad allora (come al Teatro Olimpico di Vicenza) si era sempre seguita la tradizione antica delle gradinate decrescenti semicircolari. … Il teatro, divenuto successivamente “teatro granducale”, fu interessato poi da varie trasformazioni e quello più importante fu intrapreso tra il 1753 e il 1755, quando su disegno di Giulio Mannaioni le strutture lignee della sala, particolarmente rischiose se si considera come l’illuminazione fosse esclusivamente affidata al fuoco delle candele, furono sostituite da strutture in muratura; (cfr. Wikipedia).

[4] Bedini, Domenico … (?Fossombrone, c1745; dopo 1795). soprano italiano castrato

[5] Tenore nato in Boemia (?-1832) il suo vero nome potrebbe essere Joseph Schimon.

[6] Firenze, 27 maggio 1785

[7] Fondato nel 1288 da Folco Portinari, il padre di Beatrice amata da Dante, è una delle più antiche e importanti istituzioni assistenziali fiorentine, che divenne nel corso dei secoli assai ricca e potente, grazie ai numerosi lasciti ed alle donazioni, potendo fra l’altro contare su numerose chiese dipendenti sparse su tutto il territorio toscano (cfr. Wikipedia).

[8] Venne fondato nel 1372 da Niccolò degli Alberti su disegno, pare, di Agnolo Gaddi. La costruzione fu completata nel 1378 e la sopravvivenza dell’istituzione fu assicurata da una cospicua rendita di proprietà terriere e immobiliari che Niccolò devolse, come ricordano le oculate disposizioni testamentarie del 1376 e l’iscrizione sul portale meridionale della chiesa (cfr. Wikipedia)

[9] L’Accademia di Belle Arti di Firenze fu promossa dal granduca Pietro Leopoldo nel 1784 nell’ambito di una generale riforma dell’istruzione superiore e sulla formazione artistica. La nuova Accademia sostituiva l’Accademia delle Arti del Disegno istituita nel 1562 dal granduca Cosimo I de’ Medici (cfr. www.accademia.firenze.it).

[10] Il Conservatorio delle Mantellate di Firenze ha avuto origine da una casa fondata ai primi del Trecento dalla beata Giuliana Falconieri, nella via Laura (già via della Crocetta), che nel 1716 fu annesso al convento di terziarie dell’ordine dei Servi di Maria. … Nel 1784, il granduca Pietro Leopoldo di Lorena fece trasferire il conservatorio delle suore nel monastero soppresso di S. Maria Regina Coeli detto “il Chiarito”, e nel 1788 lo dotò delle eredità dei monasteri soppressi di S. Piero Martire e di S. Pier Maggiore. (cfr. www.siusa.archivi.beniculturali.it/).

[11] Lotto da Sommaia, religioso domenicano, è il primo a introdurre la Festa del Corpus Domini in Firenze in S. Maria Novella prima dell’anno 1295.(cfr. Vincenzo Fineschi. Della festa e della processione del Corpus Domini in Firenze ragionamento storico del p. Vincenzio Fineschi …In Firenze : nella stamperia di Pietro Gaetano Viviani, 1768).

[12] Cero composto da quattro lunghe candele unite insieme, usato in processioni e cerimonie religiose.

[13] Si tratta degli arciduchi Alberto (1773-1774) e Massimiliano (1774-1778)

[14] Si tratta del vecchio teatro degli Intrepidi costruito dall’omonima Accademia nel 1778, su progetto di G.B. Ruggieri e G. Mannaioni. Il teatro, il più grande d’Italia, aveva una capienza di 2.400 spettatori, con 5 ordini di palchi ornati da stucchi dorati e da numerose pitture, tra cui un grande affresco sul soffitto di Giacinto e di Domenico Fabbroni. Grandioso anche il palcoscenico, che poteva ospitare cavalli e strumenti vari, dietro le quinte una trentina di camerini, oltre a magazzini, sale da biliardo e da ballo..(cfr. www.firenzeindiretta.it/)

[15] Il compositore italiano Giovanni Battista Borghi (Camerino, 1738 – Loreto, 1796) ricevette la sua formazione musicale dal 1757 al 1759 al Conservatorio della Pietà dei Turchini di Napoli. In seguito, prestò servizio come maestro di cappella dal 1759  al 1778 presso la Cattedrale di Orvieto e dal 1778 fino alla morte presso la Santa Casa di Loreto, succedendo così al teorico e compositore Andrea Basili. Inoltre, dal 1759 fu frequentemente in viaggio per rappresentare le proprie opere nelle più importanti città italiane (cfr. Wikipedia).

[16] La scuola di san Salvadore (fu) nel 1780 in surrogazione del soppresso Conservatorio dei Mendicanti nel quartiere di Santo Spirito (cfr. MónicaVázquezAstorga,Le scuole Leopoldine di Firenze e la loro storia (1778- 1976), Firenze, A.P. Archivi, Collezioni Storiche e Sdiaf, 2019)

[17] (Il) 7 luglio 1780, fu ordinata l’erezione della quarta scuola a vantaggio del quartiere Santa Maria Novella in una porzione di fabbrica del già soppresso Ospedale di San Paolo detto dei Convalescenti… Fu aperta il 19 marzo del 1781 (cfr. id. ut supra).

[18] Conservatorio delle Signore Montalve, istituzione fondata nel 1650 dalla nobildonna Eleonora Ramirez de Montalvo, che nel 1626 aveva già creato in Firenze la famiglia laicale delle Minime Ancille della SS. Vergine per le fanciulle povere. Alla nuova istituzione che godette fin dall’inizio della protezione granducale -in particolare della granduchessa Vittoria della Rovere che lasciò un ricco legato alle fanciulle- venne destinata una sede più consona al raccoglimento e alla meditazione, una villa signorile situata alle pendici di Monte Morello, alla Quiete di Castello, dove la Ramirez si ritirò e dettò gli scopi della comunità volti all’educazione delle fanciulle di ceto nobiliare (cfr. www.archivitoscana.it).

[19] Si tratta del Conservatorio femminile francescano posto nella diocesi di Firenze. Fu fondato intorno al 1741 quando Anna Felice Farina, Maria Maddalena Tremamondo di Livorno e Maria Giovanna Cartoni di Prato si fecero promotrici della fondazione di una comunità femminile, con finalità educative, simile a quella delle maestre pie, sottoposta alla regola del terz’ordine francescano. L’iniziativa trovò l’appoggio del padre guardiano del convento dei frati minori di Monte alle Croci, Bonaventura da Monteloro, e le consorelle si riunirono in una casa fuori della Porta S. Niccolò, in luogo detto Ricorboli, dedicandosi all’istruzione gratuita delle ragazze povere. Nel 1743 fu loro ordinato di lasciare la casa di Ricorboli, considerata troppo vicina al convento francescano, per trasferirsi fuori Porta S. Frediano, in luogo detto Legnaia. Da qui, nel 1749, si trasferirono in Borgo Ognissanti per insegnare alle ragazze del quartiere di S. Lucia sul Prato. In questi anni il controllo esercitato sulla comunità dai frati di Monte alle Croci dovette accentuarsi, determinando attriti con le Oblate – in particolare le tre fondatrici – desiderose di mantenere e rafforzare le finalità educative dell’istituzione.

Nel 1751 sei delle consorelle più remissive alle disposizioni dei francescani furono trasferite in via della Scala, mentre le altre rimasero in Borgo Ognissanti per altri quattro anni, spostandosi quindi in una casa situata sul Prato di Firenze(Cfr. www.dati.san.beniculturali.it)

[20] Nel 1737 Carlo Ginori impiantò una fabbrica di porcellana nei pressi della sua villa di Doccia, vicino Firenze.

[21] La bottega dei Fratelli Pisani nacque attorno alla metà degli anni Settanta del XVIII secolo, su iniziativa di Pietro, giunto da Venezia nell’estate del 1771 alla ricerca di un buon impiego dove lavorare e perfezionare le sue nozioni di scultura (cfr. Chiara Radice: Giovanni Insom (1775-1855): uno scultore trentino a Firenze. Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i beni storico-artistici, 2012.).

[22] La Villa medicea di Castello si trova nella zona collinare di Castello a Firenze è famosa soprattutto per i magnifici giardini, secondi solo a quelli di Boboli. Dal 1538, Cosimo, divenuto nel frattempo duca di Firenze, fece ristrutturare la villa da Giorgio Vasari e commissionò a Niccolò Tribolo il progetto del giardino, considerato dal Vasari uno dei più “ricchi giardini d’Europa” (cfr. Wikipedia).

[23] La Villa Medicea La Petraia è ritenuta una delle più belle e celebrate ville medicee, collocata in una posizione panoramica che domina la città di Firenze. Nel Settecento la villa dovette perdere di interesse agli occhi dei suoi proprietari, tanto da essere gradualmente spogliata…I Lorena riarredarono gli ambienti e ripristinarono il corredo della villa: fu realizzata una sala da gioco, una sala con una raccolta di acquerelli cinesi acquistati dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1785, e venne ricomposto il giardino (cfr. Wikipedia).

[24] Firenze 28 maggio 1785, p. 85.

[25] Maschera veneziana del sec. XVIII, composta da una mantelletta nera con copricapo a tricorno e da una mascherina (cfr. dizionari.corriere.it). E ancora:

A questo proposito significative sono le bautte veneziane, il cui uso era obbligatorio nelle cerimonie ufficiali con l’evidente funzione di esibire i ruoli dei loro portatori, confermando così l’ordine sociale. E’ un caso evidente di uso delle maschere né simulatorio né dissimulatorio ma diretto a ribadire identità e verità. Le stesse bautte venivano utilizzate dagli appartenenti alla nobiltà per conservare il segreto nei loro spostamenti, dunque diversamente dal caso precedente, per non essere identificati(cfr.Francesco Casetti, (et al…). La realtà dell’immaginario: i media tra semiotica  e sociologia : studi in onore di Gianfranco Bettetini. Milano: V&P università, 2003).

[26] Antico sinonimo di grancassa.

[27] I sistri sono sonagli muniti di dischi di metallo infilati su una o più bacchette. Il suono viene prodotto attraverso lo scuotimento dello strumento (cfr. www. Musicacolta. eu)

[28] Giovanni Weber, detto Zanobi o Zanobio nipote del medaglista Lorenzo Maria Weber, fu allievo dello zio nell’imparare l’arte di incidere i coni, ma non ne raggiunse lo stesso livello artistico. Negli anni 1770-1785 l’artista lavorava certamente alla zecca di Firenze. Nel 1785-86 ebbe il permesso di andare a lavorare alla zecca di Parma. Nel 1805 era ancora al lavoro nella zecca di Firenze.Come medaglista Giovanni Zanobi fu alquanto prolifico: sono state individuate circa 120 medaglie sue. È probabile che la maggior parte le realizzasse in proprio, poiché fra i documenti archivistici della Reale Zecca di Firenze non figura quasi mai come autore di medaglie. (cfr. Wikipedia).

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