Il gioco, i giochi.

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Lo spunto per questo “ricordo” me lo ha dato una domanda rivoltami giorni fa dal caro e giovane amico Giuseppe Zingone: “Ma voi ragazzi degli anni ‘30 cosa giocavate, dove e come?” Questa innocua e lecita curiosità mi ha costretto a rovistare nei cassetti della mia memoria ed ecco cosa vi ho trovato:

1° Che molti di quei giochi non si praticano più, perché sono stati soppiantati da altri più sofisticati… in particolare dai giochi elettronici;
2° Che ai miei tempi i maschietti giocavano fra loro, come del resto facevano le femminucce (del resto anche le classi miste negli istituti scolastici non esistevano ancora);
3° Che i nostri giochi si svolgevano in prevalenza in strada o in spiaggia. Per nostra fortuna (bambini di allora) a Castellammare ne esisteva una, bellissima, proprio nel centro cittadino, facilmente raggiungibile da tutti i rioni; ho sottolineato il verbo per richiamare l’attenzione sul fatto che la stupidità e la incuria degli uomini l’ha trasformata in un prato “Ca nun c’azzecca niente cu stu mare”.

'o strummulo

‘o strummulo

Giocare fuori dalle nostre abitazione forse era già, inconsciamente, un primo passo per ottenere la ricercata libertà che in quelle nostre case anguste e sovraffollate, non potevamo di certo avere. Case in cui non potevamo dare libero sfogo alle nostre irrequietezze; lo spazio e la libertà di azione invece serviva proprio per liberarci di quei rimproveri dei nostri genitori: tiene arteteca, addò tiene ll’uocchie tiene pure ‘e mmane!
Noi ragazzi giocavamo sempre e studiavamo poco. Per me poi tutte le occasioni erano buone per combinarne una. Persino quando, da chierichetto della chiesa della Pace, partecipavo alle funzioni religiose in quanto addetto ad agitare il turibolo per meglio espandere quell’inconfondibile e mai dimenticato profumo di incenso. Ebbene io, invece di imprimergli il classico movimento pendolare, a volte gli facevo fare un giro completo a 360 gradi, sopra le teste dei fedeli in preghiera. A questo punto gli occhi del buon parroco, don Luigi Castellano, fumavano più dell’incenso e se ne avesse avuto il potere mi avrebbero incenerito. Questa mia arditezza veniva poi sistematicamente pagata con la esclusione da qualche gioco che di solito si svolgeva nei locali adiacenti la sagrestia.
Oltre alla spiaggia e all’amatissima e ora scomparsa banchina ‘e zì Catiello, il principale palcoscenico di noi ragazzi del vecchio centro storico era lo spiazzo verso la marina di fronte alla Piazza dell’Orologio. Di qui passava il treno merci che portava i materiale ferrosi per il Cantiere navale. Fra i binari giocavamo ‘o strummolo, ‘a mazza e pivezo, ‘o carrillo ed altri giochi. Al pallone fatto di pezze giocavamo sulla spiaggia o nello slargo che si trova a sinistra andando dalla suddetta piazza a via del Gesù. Abbascia ‘a rena giocavamo scalzi e le scarpe, che già non erano di “vero cuoio”, lì non correvano pericoli. I danni maggiori li procuravamo quando il gioco si svolgeva il quello slargo di cui sopra. Sovente la suola si staccava parzialmente dalla tomaia e noi, per non aggravare la situazione camminando sopra la suola penzolone, raggiungevamo la nostra abitazione saltellando su una gamba. Ora immaginatevi il nostro mesto ritorno a casa. Gli strilli e le imprecazioni di mia mamma erano la premessa alla giusta (per lei!) punizione. Ma con me non c’è mai riuscita! Perché? direte voi. Perché mentre lei mi rincorreva io mi mettevo a fare il “pagliaccio”: ridevo, facevo le smorfie, mi stringevo alle sue gambe, mi gettavo sotto il suo grembiule… e a lei veniva da ridere. E si sa che nessuno picchia un altro col sorriso sulle labbra. A meno che non abbia l’animo cattivo. A mio fratello invece…doppia razione: la mia e la sua. Lui era serio, obbediente, buono studioso. Ai richiami di mia mamma invece di scappare “se menava sotto” …e le prendeva! Con questo mio fratello, quando abitavamo ‘ncoppa ‘a Caperrina, sul balcone che guardava il convento delle Stimmatine, facevamo ‘a casarella. Mettevamo due sedie coricate con gli schienali volti in alto e nel vano così creato ci rannicchiavamo. Quando pioveva questo gioco diventava ancora più eccitante. Il rumore delle gocce che cadevano sul panno che avevamo messo a protezione ci faceva immaginare chissà quale avventura.
Tra gli altri giochi tranquilli, diciamo non pericolosi (di questi ultimi parlerò tra poco) c’erano il domino e la dama. Sarei curioso di sapere quanti giovani d’oggi conoscono il domino. Ma parliamo ora di quei giochi, diciamo, più audaci e più pericolosi. Come avviene anche oggi, la città era attraversata dai treni merci che portavano i materiali al Cantiere Navale. Alcuni dei carri cui era composto il treno erano dotati di una specie di garitta dove all’interno vi era un grande volante in ferro che azionato a mano agiva sui freni dello stesso vagone. Il treno procedeva abbastanza lentamente e noi, rincorrendolo, ci aggrappavamo al volo al maniglione, e poi al predellino per poi sederci su quel duro sedile di legno posto all’interno della garitta. Sempre al volo balzavamo a terra all’altezza dell’Acqua della Madonna, felici di aver vissuto una bella avventura. Che ricordi io mai nessun ragazzo si è fatto male nell’eseguire quell’esercizio di agilità.

Un altro gioco apparentemente pericoloso era quello di rincorrere una carrozzella in movimento, aggrapparsi al mantice e poi appoggiare le gambe e i piedi sull’asse delle ruote posteriori. In tale scomoda e traballante posizione si percorreva un bel pezzo di strada, fino a quando il cocchiere si accorgeva di questo peso supplementare e brandendo la frusta cercava di scacciarci.

Il gioco: scugnizzo e carrozzella

Il gioco: scugnizzo e carrozzella

In linea di massima, questi erano i giochi praticati da chi come me apparteneva a una certa classe sociale. I figli di chi invece aveva un reddito più importante, disponevano di biciclette e monopattini, che a quei tempi di sicuro rappresentavano una categoria di giocattoli non proletari.

Gigi Nocera

Un pensiero su “Il gioco, i giochi.

  1. Catello Izzo

    Momenti di libertà pura in cui il gioco veniva inventato e costruito con il nulla. Ho rivissuto momenti bellissimi della mia infanzia grazie a Gigi Nocera.

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