Ferdinando D’Amora: lo stabiese che insegnò agli italiani a leggere le immagini
a cura di Enzo Cesarano
Nato a Castellammare di Stabia l’8 settembre 1886, Ferdinando D’Amora (o D’Ammora, secondo un curioso errore anagrafico mai del tutto chiarito) è stato uno di quei personaggi che, pur scomparendo presto, hanno lasciato un segno profondo nel giornalismo italiano.
Sin da ragazzo mostrò un talento naturale per la scrittura. Ancora giovanissimo iniziò il suo apprendistato nella redazione de Il Mattino di Napoli, quando tra i corridoi del giornale si muovevano giganti come Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio.
Quell’ambiente vivace e intellettualmente fertile gli fu una vera scuola di vita.
L’ascesa a Milano
Il suo talento non passò inosservato. Il direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, intuì subito la stoffa del giovane stabiese e lo chiamò a Milano, dove in quegli anni stava rivoluzionando il modo di fare informazione.
L’Italia si stava alfabetizzando, e il pubblico dei lettori cresceva di giorno in giorno: servivano giornalisti capaci di parlare a tutti, non solo agli intellettuali.
A Milano D’Amora trovò un ambiente in fermento e una nuova famiglia professionale: una generazione di giornalisti campani – tra cui Mottola, Palumbo, Afeltra e Tito – destinata a diventare protagonista del giornalismo nazionale.
Alla guida della Domenica del Corriere
Nel 1915, alla morte del direttore Attilio Centelli, Ferdinando D’Amora fu chiamato a dirigere La Domenica del Corriere, il popolarissimo supplemento illustrato del Corriere della Sera.
Si racconta che il suo primo numero, troppo elegante e ricercato, fu letteralmente fatto a pezzi dall’editore, che gli rimproverò di aver creato un giornale “troppo bello per il pubblico”.
D’Amora comprese subito la lezione: per arrivare ai lettori non serviva stupire, ma parlare con semplicità. Da quel momento iniziò una vera rivoluzione grafica e contenutistica. Puntò sulle immagini come strumento di racconto e si affidò al genio del disegnatore Achille Beltrame, autore delle celebri copertine illustrate a colori che resero la Domenica un’icona del giornalismo popolare.
Ogni settimana milioni di italiani imparavano a leggere il mondo attraverso quelle tavole: attualità, curiosità, drammi, imprese e invenzioni scorrevano davanti ai loro occhi, raccontate con immediatezza e sentimento.
Innovatore e instancabile
D’Amora introdusse rubriche nuove, come Realtà romanzesca e Palestra dei lettori, e affidò al pubblico un ruolo attivo:
“Un giornale – scriveva – non può vivere chiuso nella sua redazione. Deve riflettere la vita di tutti.”
Fu tra i primi a intuire la forza della partecipazione del lettore, anticipando un concetto che oggi chiameremmo giornalismo interattivo.
Durante gli anni difficili della Prima guerra mondiale, riuscì – quasi da solo – a garantire la pubblicazione del settimanale, lavorando come redattore unico.
La sua dedizione era totale, alimentata da una visione moderna e da una straordinaria passione per la parola scritta e illustrata.
Uomo di cultura e di cuore
Oltre al giornalismo, D’Amora coltivò la narrativa e il teatro.
Tra le sue opere si ricordano Coniugi letterati, La storia di Margherita, Il consiglio d’amore, Il diritto di fischiare, La gabbia, e i romanzi Sulle ali del destino e Per i Boeri.
Collaborò anche con testate artistiche e teatrali, segno di un talento poliedrico e curioso.
Morì prematuramente il 20 settembre 1929, lasciando un vuoto profondo nel mondo del giornalismo e una lezione di professionalità e umanità che avrebbe influenzato molti.
Il mistero del cognome
Un piccolo enigma accompagna la sua memoria. In un’annotazione d’archivio del 1906 si legge che “dov’è scritto erroneamente D’Amora si debba intendere D’Ammora”.
Eppure, sulla lapide di famiglia campeggia ancora il nome “D’Amora” — quello con cui firmò i suoi articoli, le sue opere e la sua eredità giornalistica.
Forse un semplice errore burocratico, o forse – come piace pensare – una scelta voluta, per restare “d’amore” nel ricordo di chi lo ha letto e stimato.
Un’eredità che parla ancora
Quando D’Amora prese le redini della Domenica del Corriere, il settimanale era una scommessa. Nessuno immaginava che, pochi decenni dopo, avrebbe raggiunto tirature da due milioni di copie (nel 1936).
Un successo fondato su un’intuizione semplice e moderna: raccontare la realtà con immagini e parole capaci di arrivare a tutti.
E forse non è un caso se proprio da quella sua visione nacque una nuova generazione di narratori dell’immagine.
Tra questi, suo nipote Vincenzo Carrese, che può essere considerato il primo fotoreporter italiano. A soli diciassette anni, il padre lo inviò a Milano dallo zio Ferdinando, direttore della Domenica del Corriere. D’Amora, con la sua lungimiranza, gli sconsigliò di intraprendere la carriera giornalistica e lo spinse invece a guardare al futuro:
“Studia l’inglese – gli disse – e dedicati alla fotografia. È una forma nuova di racconto, e presto parlerà al mondo”.
Fu un’intuizione profetica. Grazie a quel consiglio, Carrese ottenne la rappresentanza per l’Italia della Wide World Photos, l’agenzia fotografica del New York Times.
Divenne così un protagonista silenzioso della modernità, portando nel nostro Paese un modo nuovo di scrivere con la luce, esattamente come suo zio aveva insegnato agli italiani a leggere con le immagini.
Due stabiesi, due epoche, un’unica eredità
Quella di raccontare la vita – con la parola, con il disegno o con la fotografia. Un filo che unisce due generazioni, due sensibilità, e un’unica città che continua a donare talento e visione al mondo.
Fonti:
n.d.a. D’Ammora / D’Amora – annotazione archivistica (errore anagrafico segnalato in documenti locali).
Glauco Licata, Storia del “Corriere della Sera”, Milano, Rizzoli, 1976.
La Domenica del Corriere, supplemento illustrato del Corriere della Sera, n. 1 (8 gennaio 1899) e numeri successivi.
Gianni Oliva, La Domenica del Corriere va alla guerra. Il 1915-18 nelle tavole di Achille Beltrame, Udine, Gaspari, 2012.
Enrico Folisi, La Domenica del Corriere alla Grande Guerra degli altri. I disegni a colori di Achille Beltrame (28 giugno 1914-23 maggio 1915), Udine, Gaspari, 2015.
Fondazione Corriere della Sera – Archivio storico e sezioni digitali dedicate a La Domenica del Corriere.
“La Domenica del Corriere”, voce di Wikipedia, ultima consultazione ottobre 2025.
“Vincenzo Carrese”, voce Liberoricercatore articolo di Gaetano Fontana



Sono una pronipote di Ferdinando e nipote di Vincenzo posso confermare tutto quello scritto aggiungendo che sono state persone dal gran cuore e specialmente zio Vincenzo disponibilissimo verso gli stabiesi che andavano al nord per lavorare persone metavigluose.