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Informazioni su Raffaele Scala

Nato a Castellammare di Stabia, laureato in sociologia, sposato con due figli, vive a Santa Maria la Carità, lavora a Napoli, è autore di diverse pubblicazioni di carattere storico incentrate sulla storia del movimento operaio stabiese e del suo circondario.

Luigi Di Martino

Luigi Di Martino, un partigiano di Castellammare di Stabia

articolo del dott. Raffaele Scala

Caro Maurizio, a seguire trovi un’altra delle mie piccole biografie, questa volta dedicata a Luigi Di Martino, una delle più specchiate figure del movimento operaio stabiese, antifascista duramente perseguitato dal fascismo, tra i pochi veri partigiani del nostro territorio e successivamente sorvegliato dalla stessa polizia repubblicana, fino alla sua morte avvenuta nel 1969. Il 30 gennaio ricorre l’anniversario della sua scomparsa. Probabilmente il suo nome non dice più nulla alla maggioranza degli stabiesi, ma forse proprio per questo potrebbe essere utile ricordare questa prestigiosa figura di dirigente politico e sindacale della sinistra stabiese, tra l’altro consigliere comunale per diverse consiliature.

Con stima e simpatia. Raffaele Scala

Luigi Di Martino

Luigi Di Martino

Nato a Castellammare di Stabia l’11 novembre 1897 da Giovanni e da Giulia Fabboni, Luigi Di Martino fu una delle più belle e carismatiche figure del movimento operaio stabiese, irriducibile antifascista fin dal suo avvento, coerente fino all’autolesionismo, visse in povertà, ma con grande dignità, la sua esistenza di operaio e di militante comunista. Franco Ferrarotti nel suo bellissimo libro, La piccola città, raccolse la sua autobiografia, di cui, di seguito, riprendiamo il brano d’apertura:

Sono figlio di un misero marinaio navigante sui battelli a vela che scaricano materiale per la Sicilia e stava mesi interi senza guadagnare il becco di un quattrino. La vita si svolgeva nella più squallida miseria. La nutrizione erano fagioli e pastasciutta alla domenica e nella stagione estiva, che guadagnava di più, si vedeva il vino e qualche pezzetto di carne. (…), mia madre faceva la lavandaia. Qualche sorella andava a servire (…). All’età di 10 anni cominciai a lavorare ai Cantieri Mercantili per la costruzione di navigli in legno. Prendevo 4 soldi al giorno. Si cominciava alle sei del mattino e si finiva quando il sole era scomparso. Quando c’era da preparare il legname per i lavori del giorno successivo, anche dopo il tramonto del sole, sino alle 21 di sera…[1] Continua a leggere

29 agosto 1981: la FGCI e la VI Flotta americana

Castellammare di Stabia, 29 agosto 1981: la Fgci e la VI Flotta americana

 articolo del dott. Raffaele Scala

Faceva caldo quell’estate, come sempre ad agosto. Sul lato industriale nella Città delle Acque la cantieristica continuava nella sua crisi, con centinaia d’operai in cassa integrazione fin dal 1979, l’Elettromeccanica Stabia era fallita, mentre nella ex Cartiera Cascone proseguiva, ormai da mesi, la disperata lotta dei suoi 53 dipendenti per difendere il posto di lavoro. Sul versante sociale si registravano 7.500 disoccupati iscritti nelle liste del Collocamento. In Italia il referendum del 17 maggio sull’abrogazione dell’aborto, in vigore dal 1978, era stato nettamente vinto dalle forze progressiste con il 88% mettendo in crisi  l’ala oltranzista del variegato mondo cattolico; il terrorismo rosso continuava a falcidiare le sue vittime, provando a colpire simboli dello Stato oppressore, contrapponendosi al più micidiale terrorismo nero, fautore dello stragismo indiscriminato e teso a destabilizzare lo Stato democratico per favorire la svolta autoritaria di destra. Uno stragismo troppo spesso favorito da forze deviate dello Stato, sempre pronto a depistare le indagini per coprire i veri colpevoli, spesso rimasti impuniti.  L’ultimo, terrificante attentato fascista, verificatosi il 2 agosto 1980,  era costata la vita di 85 persone e il ferimento di altre duecento, facendo esplodere una micidiale bomba nella stazione di Bologna. In campo internazionale faceva paura la fabbricazione della Bomba N, micidiale ordigno nucleare capace di uccidere ogni forma di vita, senza devastare gli edifici e le cose, perché per gli strateghi della guerra e per la ristretta casta del Potere, la vita vale meno delle cose; nel cielo libico si scontravano aerei Usa e libici durante le manovre della VI flotta, mentre il governo italiano acconsentiva ad installare la base dei missili Cruise a Comiso, in Sicilia.

Su questi ultimi fatti vi era una forte mobilitazione da parte del Pci e della stessa Cgil. A Castellammare di Stabia la Camera comprensoriale del Lavoro da poco formatosi, superando le antiche Zone sindacali e guidata dal napoletano  Ettore Combattente (1935 – 2013) invitava le

Strutture di base a farsi promotrici di varie iniziative unitarie nei luoghi di lavoro, per la pace e la sicurezza nel Mediterraneo e nel mondo, richiamandosi alla linea più volte espressa dal sindacato unitario a favore del dialogo tra tutti i paesi e dagli accordi per il disarmo.

Le proteste in quei caldi giorni d’agosto si erano comunque limitate a volantinaggi fatti per le strade e fuori dalle fabbriche, sia da parte dei militanti comunisti, sia di quelli sindacali, quando all’Amministrazione comunale, una Giunta tripartitica (DC, Psi, Psdi) guidata dal socialista, Emilio Della Mura, l’ennesima di quella sciagurata consiliatura, venne in mente di patrocinare un concerto della banda musicale della VI flotta americana, di cui faceva parte la portaerei Nimitz e in quei giorni, di ritorno dal Golfo di Sirte, ancorata nella rada di Napoli[1].

Organizzata dall’Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo, la serata si tenne il 29 agosto, un sabato afoso come pochi.

Sui temi della pace e del disarmo i giovani della Federazione giovanile comunista, cogliendo l’occasione della presenza americana a Castellammare, sia pure dei semplici orchestrali, ma pur sempre militari della famigerata Nimitz, organizzarono allora una manifestazione cui subito aderirono la Lega Obiettori di Coscienze del Centro salesiano, l’Arci, l’Uisp, i Consigli di fabbrica, le organizzazioni sindacali e alcuni collettivi studenteschi. Il corteo, composto da poche centinaia di giovani, partì intorno alle 19, dalla sede del Circolo dei giovani comunisti, Che Guevara, al Corso Vittorio Emanuele, sfilando per il lungomare, gridando slogan e distribuendo volantini. Si fermarono all’altezza della Banchina di Zi’ Catiello, intonando canti, ballando e facendo partecipi i passanti delle motivazioni politiche di quello strano spettacolo improvvisato.

montil

Intorno alle 21 i ragazzi entrarono pacificamente nel teatro Montil, dove si teneva il concerto, muniti di regolare biglietto e tenuti d’occhio dalla polizia, giunta numerosa a presidiare il cinema, con rinforzi da Napoli. Verso le 21,30, contemporaneamente all’inizio dello spettacolo, fu lasciata vibrare nell’aria, in segno di pace, una colomba accuratamente tenuta nascosta fino a quel momento agli stessi agenti di pubblica sicurezza, che pure non li avevano persi di vista un momento. Continua a leggere

Il Colonnello Antonino Calabretta

Ugo Cafiero e il Caso Calabretta

Ugo Cafiero e il Caso Calabretta

Storia di politica e malaffare nel Regio Cantiere di Castellammare di Stabia nel 1910

articolo del dott. Raffaele Scala

Egr. Maurizio buonasera, eccomi dunque con la mia nuova fatica di ricercatore storico incallito presentare ai miei quattro lettori una storia inedita di politica corrotta e corruttrice e di non meno truffaldini arsenalotti, con Governo e istituzioni che annaspano, nascondono, occultano, si vendicano, perchè lupo non mangia lupo. Una storia amara del 1910, e non solo, ambientata nel nostro bisecolare Regio Cantiere, onore e vanto di noi stabiesi, ma pozzo di San Patrizio per quanti lo hanno usato e abusato per i loro lerci scopi di arricchimento personale, per scopi affaristici e finanche elettorali, ieri come oggi.

Come sempre, con infinita simpatia i miei fraterni saluti. Raffaele Scala.


Cantiere

Premessa

Il Cantiere navale di Castellammare di Stabia, il più antico del Mediterraneo, sorto come è noto nel 1783, orgoglio e vanto della nostra marineria per l’impressionante serie di primati mondiali che si è aggiudicata nei suoi quasi duecentoquarant’anni di vita, è stato teatro, purtroppo, anche di  non poche spiacevoli vicende di scandali, corruzioni e ruberie di varia natura, coinvolgendo politici, istituzioni e dipendenti truffaldini. Truffe, naturalmente che non erano monopolio del solo cantiere stabiese, ma riguardavano anche gli altri siti nazionali, anzi l’intera Regia Marina come dimostrarono diverse, clamorose  inchieste nazionali, ma a noi interessa solo quando accadde a Castellammare di Stabia. Potremmo ricordare lo scandalo scoperto nel 1899, quando vennero a galla almeno tre anni di camorra e ruberie scoperte  dall’ispettore del Genio Civile, poi nominato senatore nel gennaio 1910, Edoardo Masdea (1849 – 1910), inviato a Castellammare per indagare sulle varie denunzie pervenute al ministero della marina. L’indagine si chiuse con il trasferimento di alcuni capi operai senza toccare il livello politico, avendo coinvolto lo stesso deputato locale, l’Ammiraglio napoletano, Giuseppe Palumbo (1840 – 1913), uno dei tanti in cerca di voti facili utilizzando il bacino elettorale, facilmente ricattabile, dei duemila operai del Regio Cantiere, continuamente sottoposti ad angherie e sorprusi di ogni genere, dalle sospensioni ai trasferimenti in altri Cantieri, come capitò, per esempio agli operai socialisti, Guida e D’Auria, trasferiti il primo alla Maddalena e il secondo a Taranto, colpevoli di essere tra gli organizzatori della sezione Arsenalotti.[1] Continua a leggere

Piazza Spartaco: La strage impunita

articolo del dott. Raffaele Scala

Capitolo I

L’altra faccia di Piazza Spartaco (1921 – 2021). La strage impunita.

piazza municipio (anni ’20)

Premessa. Questa che raccontiamo, in due capitoli distinti, è una nuova versione, rispetto a quanto pubblicato dieci anni fa, in occasione del novantesimo anniversario dei fatti e della strage di Piazza Spartaco. L’abbiamo arricchita di fatti e personaggi, provando ad entrare nella vita di alcuni protagonisti, inserendone altri, raccogliendo  inedite notizie, mai troppe su una tragedia rimasta senza colpevoli. Purtroppo chi uccise il maresciallo Clemente Carlino, innescando la furiosa reazione delle forze dell’ordine, sparando oltre duecento colpi e provocando di fatto altre cinque innocenti vittime, ha portato nella tomba il suo inconfessabile segreto.  Si poteva evitare la strage? Probabilmente si, se chi diede l’ordine ai carabinieri di aprire il fuoco, il capitano dell’Arma, Romano, avesse soltanto per un attimo riflettuto che tra Palazzo Farnese, occupato da 120 militanti socialisti, e loro vi era qualche migliaio di operai che manifestava pacificamente a difesa del loro Municipio, tutti disarmati. Erano in quel posto unicamente per scoraggiare un eventuale aggressione da parte del corteo composto da nazionalisti e fascisti, mai immaginando che si potesse arrivare all’omicidio di un carabiniere, ad una strage architettata a tavolino da chi voleva ad ogni costo abbattere l’odiata amministrazione socialista. Così come era già accaduto  a Bologna il 21 novembre 1920, dove a morire furono dieci militanti di sinistra, ed in altre città d’Italia, provocando morti, feriti e tanta disperazione. Alla strage si aggiunse la beffa che ad essere accusati e processati furono i socialisti, come se le vittime non fossero state, ad esclusione del maresciallo, tutte di militanti di sinistra. Una scelta immediata, a senso unico, fin dal giorno successivo alla strage, i colpevoli e condannati dovevano essere obbligatoriamente i diavoli rossi e su questo si scatenò senza ritegno l’intera stampa borghese.[1] Una strategia della tensione utile a preparare il terreno per la marcia su Roma, per la presa del potere e l’instaurazione della dittatura di Benito Mussolini. Una strategia che i fascisti hanno portato avanti anche nei decenni successivi, nell’Italia repubblicana, seminando violenza, terrore e morte dal 1969 al 1984, tentando almeno due volte un impossibile colpo di Stato nel 1964 (mascherato da piano d’emergenza a difesa dell’ordine pubblico assicurando ai carabinieri il controllo militare dello Stato) e nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, fortunatamente falliti sul nascere.

Forse fu proprio la strage di Bologna a galvanizzare i fascisti locali, a voler fare a Castellammare di Stabia quanto stava accadendo altrove: se non erano stati i primi della classe, provarono a non essere secondi ad altri. E fu la strage passata alla storia come l’eccidio di Piazza Spartaco.


L’antefatto. Il biennio rosso, con i grandi scioperi del 1919, poi esauritosi con l’occupazione delle fabbriche dell’agosto settembre 1920, aveva sconvolto i precari equilibri sociali, preoccupando non poco i cosiddetti benpensanti, ma soprattutto industriali ed agrari che videro  per la prima volta seriamente messa in discussione la loro posizione predominante nel panorama politico ed economico del Bel Paese. La grande paura del bolscevismo, di una possibile rivoluzione proletaria in Italia –  del resto preventivata dallo stesso Lenin come possibile ed imminente –  da parte della grassa borghesia fu la fiamma che diede linfa al sorgente fascismo, innescando il clima di violenza, di sangue e di morte che portò inevitabilmente alla presa di potere di Benito Mussolini nell’ottobre 1922 e al definitivo regime dittatoriale dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti nel 1924. Ad aggravare la situazione sociale vennero le elezioni amministrative del 31 ottobre 1920 con la valanga di vittorie socialiste in oltre duemila comuni su ottomila, 25 province su 69 ed i grossolani, puerili errori di troppi amministratori locali e dirigenti di partito inebriati dalla vittoria, confondendo  il trionfo elettorale municipale con la presa del Palazzo d’Inverno. Esempi negativi nel circondario di Castellammare vennero dalla vicina Torre Annunziata, dove il nuovo sindaco socialista, Gino Alfani (1866 – 1942), tra i primi atti del suo mandato tolse il quadro del sovrano d’Italia, Vittorio Emanuele III, dalla sala del consiglio comunale sostituendola con emblemi del soviet, mentre sulla torretta del municipio stabiese Pietro Carrese fece  sventolare al vento la bandiera rossa, provocando in entrambi i casi l’ira dei nazionalisti e ancor più dei fascisti.[2]  In queste stesse città la bandiera rossa era stata issata sui muri delle più importanti industrie cittadine, occupandole tra agosto e settembre del 1920: dai Cantieri Metallurgici Italiani (oggi Meridbulloni o quello che resta) alle Officine Coppola (poi Avis), fino allo stabilimento Cirio, mentre a Torre Annunziata sventolava alle Ferriere del Vesuvio sotto la sicura guida dell’operaio socialista, Diodato Bertone (1867 – 1921). A Gragnano ad essere occupate erano diversi pastifici guidati dal Segretario Generale della locale Camera del Lavoro, Domenico Sacristano (1885 – 1969). Continua a leggere

Pasquale Cecchi e…Talete

Pasquale Cecchi e…Talete

a proposito di alcuni fogli elettorali del 1949

a cura del Dott. Raffaele Scala

Il primo documento, intitolato, Promesse e…realtà, presentato da Gaetano Fontana, infaticabile ricercatore e collezionista di storia stabiese, è una pubblicazione propagandistica della Democrazia Cristiana divulgata in occasione della campagna elettorale per le elezioni amministrative del 6 novembre 1949. Uno di quei pezzi di carta stampata destinati a diventare carta straccia il giorno dopo, banali fogli elettorali in cui le opposizioni politiche di ogni tempo e luogo denigrano a prescindere l’operato della maggioranza uscente per soppiantarli nel governo del territorio o dell’intero Paese.

Quando alcuni di questi si salvano dalla normale distruzione perché dimenticati in soffitta o in qualche anonimo cassetto di casa, assumono improvvisamente la dignità di documenti storici, facendoli emergere dal buio del passato, mettendoci nelle felici condizioni di entrare in un tempo che non è il nostro, ma quello dei nostri avi. Nel nostro caso ci proietta nella rossa Castellammare, alla vigilia di diventare Stalingrado del Sud. Gli antagonisti che emergono e si contrappongono sono due figure ormai leggendarie della nostra storia cittadina, il comunista Pasquale Cecchi eletto sindaco nelle prime elezioni libere del 1946 e il democristiano Silvio Gava, entrambi stabiesi acquisiti, il primo proveniente, ancora ragazzo dalla vicina Scafati nel 1912 e il secondo dalla lontana Vittorio Veneto, in fuga verso Sud, sul finire della Grande Guerra, all’indomani della fulminea e infausta rotta di Caporetto. Continua a leggere