Il Trieste a Castellammare (a sinistra si nota il forte borbonico prima della sua demolizione)

Il batiscafo Trieste

a cura di Antonio Cimmino

Il Trieste a Castellammare (a sinistra si nota il forte borbonico prima della sua demolizione)

Il Trieste a Castellammare (a sinistra si nota il forte borbonico prima della sua demolizione)

Nel 1953 il cantiere navale di Castellammare di Stabia registrò un interessante avvenimento scientifico e tecnologico: l’assemblaggio del batiscafo Trieste.
Il Trieste, progettato dallo scienziato svizzero August Piccard era formato da due elementi: lo scafo ed una sfera di acciaio spesso più di 12 centimetri. Lo scafo era stato costruito nel cantiere navale di Monfalcone mentre la sfera era stata costruita, in due pezzi, dalla Società delle Fucine di Terni.La professionalità delle maestranze del cantiere e la profondità del Golfo di Napoli presso Capri e Procida, furono determinanti per la composizione dell’originale battello atto a scendere a migliaia di metri nelle profondità del mare.
Piccard trovò l’entusiastica collaborazione di tecnici ed operai stabiesi nei difficili lavori di saldatura delle due semisfere e nell’adattamento allo scafo.

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Le due parti del battello erano destinate a due compiti ben precisi. Lo scafo di forma cilindrica (di 18 metri di lunghezza e 3,5 di larghezza) conteneva 6 serbatoi di cui 4 riempiti di benzina per aerei, più leggera dell’acqua e perciò deputata alla spinta idrostatica al galleggiamento, mentre gli altri 2 serbatoi erano destinati a riempirsi d’acqua per permettere l’immersione; questi ultimi due erano staccabili per permettere un rapido affioramento in caso di necessità. A zavorrarlo c’erano anche diverse tonnellate di sfere di acciaio, elettromagneticamente attaccate allo scafo e sganciabili all’occorrenza.
Alla sommità dello scafo, era sistemata una torretta per l’accesso alla sfera sottostante. La sfera, adeguatamente accessoriata era atta a contenere un equipaggio di 2 uomini; essa permetteva la loro sopravvivenza con un sistema di areazione simile a quello montato successivamente sulle navicelle spaziali. Una specie di oblò in plexiglass permetteva di guardare all’esterno. Tra i tecnici che collaborarono con Piccard e suo figlio, vi fu anche l’ing. Armando Traetta, già decorato con medaglie d’argento e di bronzo al valore militare nell’ultima guerra e docente presso l’I.T.I. Leonardo Fea, nonché antesignano degli ambientalisti stabiesi. Il batiscafo fece la sua prima prova nelle acque delle bocche di Capri e, il 23 gennaio 1960 scese fino alla profondità di 10.900 metri nelle Fosse delle Marianne, punto più profondo del pianeta Terra.

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