Pillole di cultura: Oratorio

a cura del prof. Luigi Casale

Da qualche anno – si sa – curo la rubrica di semantica storica sul sito internet del Libero Ricercatore di Stabia (www.liberoricercatore.it): una qualificata presenza di carattere popolare, sociale, e culturale nella città. Lo scopo dichiarato è quello di spiegare (cercare di chiarire) perché si usano certe parole e come esse hanno acquistato il significato che oggi gli diamo.
Si sa anche che la pratica della lingua comporta, nel tempo, una trasformazione delle strutture linguistiche, e fonetiche (modificazione dei suoni significativi), e morfologiche (delle forme grammaticali), e semantiche (del loro significato, cioè di quello che esse vogliono dire; o meglio di quello che noi vogliamo dire). È quello che si chiama “evoluzione della lingua”.
E così, riuscire a comprendere e spiegare il meccanismo dei fenomeni evolutivi – fin dove possiamo arrivare, naturalmente – rende trasparente la lingua che usiamo.
“Non è che con una lingua opaca si comunichi di meno”. L’abbiamo detto (e anche scritto) nella dichiarazione programmatica. E lo ripeto qui.
E’ solo che con la lingua trasparente si ha una migliore comprensione delle cose di cui si sta parlando. Perciò si esercita un controllo maggiore sulla realtà, controllo indispensabile alla comprensione dei fatti e alla formulazione dei giudizi.
Oggi, come indicato nel titolo dell’articolo, intendo parlare di “oratorio”; e del senso che la parola comporta, in riferimento all’oggetto indicato (il “referente”: cioè la cosa che normalmente chiamiamo “oratorio”) per fare alcune considerazioni sulla portata, sulla storia, sulla funzione, dell’Oratorio. Per dare al lettore che mi segue oltre alla informazione anche un minimo di formazione (arricchimento culturale e umano).
Noi, data la storica presenza dei Salesiani a Castellammare, abbiamo una certa familiarità con l’oratorio. Ma proprio questa eccessiva sicurezza dovuta al fatto di presumere di sapere che cosa sia l’oratorio, potrebbe portarci a pensare che esso sia solo il luogo dove si gioca a pallone, si fa teatro, o altre iniziative di carattere associativo di tipo assistenziale o di tipo formativo.
Ma in città esiste un altro luogo, più antico della presenza salesiana, che si chiama “oratorio” ed è l’Oratorio di san Filippo Neri e san Luigi Gonzaga, a piazza Giovanni XXIII, accanto al Museo diocesano, una volta attivo e frequentato. E non sappiamo se lì si giocasse a pallone e si facesse teatro.

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Oratorio, secondo la definizione del vocabolario Devoto e Oli, è “il luogo sacro destinato al culto e riservato a determinate persone o comunità”. E credo che ci possa bastare. Ma subito aggiungiamo a questo la parte di significato che noi stessi ci siamo formato nella testa attraverso l’uso di questa parola, e il contatto con l’oggetto che essa indica. Infatti, a mano a mano che si andavano organizzando anche dei servizi sociali, educativi, e ricreativi, o per la gioventù o per i gruppi oppure per le famiglie, “oratorio” per noi è divenuto, per estensione, anche l’insieme degli spazi attrezzati dove queste attività si svolgono; col rischio di perderci, della parola, il suo originario significato. Cioè che l’oratorio si costruisce intorno ad una chiesa, o ad una cappella, o comunque di un angolo (sala di riunioni o luogo consacrato) dove pregare.
“Oro/orare” – verbo latino – significa infatti: “parlo, invoco, supplico”. Da questo verbo deriva tutta una serie di parole che ancora usiamo, tra cui: oratore (colui che tiene un discorso) e orazione (discorso pubblico, ma anche preghiera). E chi ha ancora una reminiscenza di latino, ricorderà le espressioni sentite durante l’infanzia: “ora pro nobis” (prega per noi!) delle litanie alla Madonna e ai santi; ma anche “ora pro nobis peccatoribus” (prega per noi peccatori) dell’Ave Maria; oppure “orate fratres” (pregate, fratelli!), l’invito rivolto ai fedeli da parte del sacerdote celebrante prima di iniziare la preghiera eucaristica della messa; o anche “ora et labora” (prega e lavora!), il significativo motto benedettino consegnato al monaci come emblema di una regola di vita.
Nella storia a noi più vicina, la spiritualità di S. Filippo Neri, ripresa poi da S. Giovanni Bosco, ha considerato il gioco, la ricreazione, il lavoro, l’attività formativa, come una preghiera. In un progetto di educazione totale della persona. Per questo motivo queste attività si svolgono in Oratorio. Esse da sole già sono preghiera, tuttavia si sublimano nel momento della invocazione a Dio, nel luogo deputato: che sia il campo di calcio, oppure il teatro, o la stanza delle riunioni, o la cappella dove si custodisce il Sacramento.
Ciò significa che al centro di tutte le attività dell’oratorio c’è un tipo di catechesi (insegnamento religioso) costruito a partire dal proprio vissuto individuale, offerto a Dio come preghiera. Infatti è questo l’oratorio: come per i monaci benedettini, il luogo dove tutta la vita è una preghiera.
Ma volendo si potrebbe anche prescindere da una opzione di fede, intesa come scelta personale di adesione ad una proposta religiosa e accettazione di una rivelazione divina, e spostare il problema sul piano della ragione o della coscienza. E troveremmo comunque una risposta, che, antropologicamente parlando, tenga conto della tradizione culturale e storica di una collettività. Anche in questo caso non si dovrebbe prescindere dalla centralità della “preghiera” nella vita dell’uomo, e si recupererebbe allora, ancora una volta sebbene in maniera laica, il senso originario di “oratorio”, attraverso la valorizzazione del culto alla divinità, l’adorazione del Dio della vita, le devozioni scaturite dalla pratica dei buoni sentimenti, e un ideale di vita accettata e svolta in sintonia col creato. Almeno per gli esseri razionali.
Per questo motivo anche in una possibile visione laica – e diciamo pure laicista – chiunque può avvicinarsi all’oratorio rispettandone la finalità di chi l’ha ideato e l’ha voluto, e di chi, accettandone l’eredità, ne ha fatto motivo di impegno civile, morale e religioso. Come si vede, qui non c’è né proselitismo, né coartazione di coscienze, ma piuttosto una vera educazione allo spirito libero e alla responsabilità personale.
Anzi a voler essere veramente “laici”, bisognerebbe partire dal riconoscere che nel progetto educativo, è primaria e fondamentale l’esigenza – ai fini di una educazione totale e completa della persona – della preghiera non come qualcosa di estraneo o di aggiunto alla umanità, ma come l’atteggiamento più naturale e congeniale della stessa condizione umana.

 

L.C.

 

 

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