Pillole di Cultura : Sciavecarìe

a cura del prof. Luigi Casale

Sciavecarìa nel nostro lessico famigliare indica qualche cosa da mangiare, o da spizzicare, che leva l’appetito, o meglio che non nutre sufficientemente e di conseguenza non fa tanto bene alla salute. Almeno così ho imparato a percepire la parola e quindi anche ad usarla, in quanto con questo significato la usavano i miei. Specialmente quando con essa indicavano tutti quei prodotti che si vendevano sulle bancarelle, o davanti alle scuole o durante le feste di paese, che non erano né dolci, né frutta, né merendine, e che dalle nostre parti si chiamavano comunemente “‘u spasso”. Senza sapere se con questo termine si volesse indicare “lo sfizio” che esse procuravano gustandole oppure “il passeggio” che accompagnavano e favorivano con il loro consumo.
Una sua analisi più completa o più dettagliata che ne isoli e ne chiarisca i tratti semantici, ci porterebbe ad una comparazione di tutte le accezioni attestate, oltre che ad un controllo delle possibili metafore nei vari registri di lingua o nei singoli contesti, e semantici e lessicali. Operazione per la quale sarebbe indispensabile la più ampia documentazione delle testimonianze, sia della tradizione orale che delle fonti letterarie, attestanti la presenza di questo vocabolo.
Ma mi limiterò invece alla lingua viva e alla pratica comunicativa attenta e consapevole nel ristretto ambito familiare dell’idioletto prodotto dal nostro gruppo sociale nella realtà socio-economica del territorio nel particolare momento storico: una regione marittima dove è rimasta viva la memoria della pesca con la sciabica.
La sciabica era un tipo di rete che veniva usata per la pesca a strascico praticata da terra. I pescatori (gli sciabicotti) dalla riva, o stando con i piedi in acqua fino alle ginocchia, trascinavano verso terra – afferrandone le due estremità – la rete (napoletano: ‘a sciaveca), dopo averla lanciata – a mano in un ampio cerchio – in mare. Ma sciabica era detta anche la barchetta, qualora la utilizzassero, usata per distendere la rete anziché lanciarla a mano. O la stessa intera azione di pesca.
E sciabica era anche il pescato raccolto ad ogni operazione.
Allora possiamo tranquillamente desumere che sciavicherìa sia tutto quanto abbia a che fare con questo tipo di attività marinaresca.
Ora ritornando alla portata semantica di sciavecaria, così come l’ho descritta a partire dall’uso che se ne fa nella nostra parlata, se ne comprende bene la pertinenza proprio in riferimento alla sciabica e alla sua pratica come attività produttiva. Quindi il suo significato è conseguenza del significato di sciabica. Cioè un tipo di pescato assortito non di pregio, né per quantità né per qualità. E da qui, attraverso la metafora, anche il significato da noi attribuito alla parola.
Quanto poi alla sua origine la si fa derivare dell’arabo, con o senza la mediazione della lingua spagnola.
Più probabilmente però la parola è entrata nella lingua italiana (toscana) attraverso il siciliano.

L.C

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