'o Pezzaro

Pezzaro (antichi mestieri)

Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo


‘o Pezzaro
( a cura di Gioacchino Ruocco )

'o Pezzaro

‘o Pezzaro

Era un raccoglitore di stracci, di pezze ormai inservibili, di strofinacci di cucina, di ritagli di stoffe prodotti da sarti artigianali, di stoffe ormai logore, di abiti sdruciti ritenuti non più utilizzabili o recuperabili ne con rattoppi, ne con rammendi o di poco conto, di stoffe imputridite, di calzini non più recuperabili, di risultanze di accorciature di pantaloni, di maniche di camicie portati a casa, ma mai più utilizzate perché non ne valeva la pena per i costi della mano d’opera che sopravanzava il costo di una camicia nuova o di un indumento che non ha qualità eccelse. Passava di tanto in tanto per i quartieri della città, senza scadenze precise. Non era un personaggio improvvisato, il più delle volte aveva alle spalle attività di recupero o era affiliato ad una di esse.
Quasi sempre accompagnava alla raccolta degli stracci anche quella del ferro e di altri metalli come il piombo, l’ottone, il rame, ossa di animali ed oggetti fuori uso che rischiavi di ritrovare qualche tempo dopo al mercato delle pulci o, una volta rigenerato, rivenduto come oggetto di modernariato.
In cambio, ‘o pezzaro, che non era uno stupido anche se il suo aspetto dimesso suggeriva questa impressione, offriva ben poco, dava a chi gli conferiva i propri residuati qualche piatto, un po’ di bicchieri, degli oggetti sicuramente utili, ma fragili e di cattiva qualità, prodotti di scarto di una produzione già destinata ad un mercato per povera gente.
Arrivava nel quartiere con un richiamo a voce distesa, inconfondibile, spingendo a mano un carretto carico in parte degli stracci già raccolti ed in piccola parte, ma in bella vista, della mercanzia di scambio che era incentrato sul niente per il niente.
Nonostante ciò era una bella lotta tra ‘o pezzaro e i soggetti che si appropinquavano al carretto con le mani piene, tutte donne, che cercavano di liberare la casa dalle cose inutili che l‘appesantivano e allo stesso tempo di acquisire un surplus di bicchieri, di piatti, di tazzine da caffè che con i figli piccoli finivano facilmente in frantumi.
A chi non è capitato di sparigliare il servizio buon per non averlo riposto in tempo nella cristalliera dopo averlo usato per fare bella figura con gli ospiti?
Almeno la terraglia, il vetro costato qualche chilo di stracci che tanto non erano più buoni neppure per togliere la povere dai mobili, che si rompeva non rappresentava una grossa perdita, permetteva di vivere un po’ più a cuor leggero il rapporto con i figli e con se stessi.
Non erano tragedie da raccontare ai mariti la sera quando rientravano a casa. Bastava non ferirsi con i cocci.
Forse non tutti sanno, però, la fine che fanno gli stracci e la validità di un cosi umile mestiere che rende ancora viva la memoria nel ricordarlo.
Gli stracci raccolti vengono conferiti ad aziende che prima di rimetterli in circolazione li selezionano per recuperare quelli più pregiati da avviare a quelle poche aziende che ancora producono materiali ovatte da imbottiture, abiti per il mercato dell’usato, e gli stracci che ormai restano stracci al mercato delle officine meccaniche e degli ambienti marittimi che fino a qualche anno fa ne facevano largo uso.
Si è sempre detto che più di un pezzato era diventato ricco rintracciando negli abiti dei defunti che gli venivano alienati per un servizio di piatti un po’ più decente, soldi e preziosi che vi erano stati riposti come nascondiglio sicuro contro i ladri o dimenticati del tutto dal legittimo proprietario.
Per i bambini qualche volta ci scappava un fischietto, una trattola o un giocattolo che dopo qualche ora diventava un rottame per il prossimo scambio.
La filosofia dei nostri tempi era quella di dare un valore a tutto e un significato alle cose. Oggi, è vero, gli stracci, gli abiti vecchi e quant’altro vengono conferiti ai cassoni delle raccolte per beneficenza, ma è un modo diverso di liberasi del superfluo o del non più recuperabile che non dà ne all’anima ne alla memoria sensazioni e ricordi e il senso del bene che procura agli altri.
La voce d’‘o pezzato non la ricordo, ma la sua presenza si: sicuramente strillava qualche cosa che invogliava principalmente le donne con tutto quello di cui volevano liberarsi ad uscire di casa per un baratto che acquistava un senso di liberazione, ma anche di acquisizione di beni certamente utili per qualche tempo, anche se di basso valore commerciale.
Il bello della situazione era il battibecco, il braccio di ferro che si instaurava a livello verbale tra i soggetti della trattativa e gli astanti che incitavano a non farsi fare fessi.
Alla fine era stato un momento più di divertimento che di contrattazione che rendeva la signora più soddisfatta e più disponibile ad affrontare il resto della giornata nel raccomandare ai figli di non distruggerli prima che passasse un’altra volta ‘o pezzaro che forse gridava: – ‘O pezzaroooo! E’ arrivato ‘o pezzaro. Levateve ‘a munnezza ‘a dint’‘a casa. ‘O pezzarooo!!! –

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