La crociera dell’ardimento e della tenacia

La crociera dell’ardimento e della tenacia

a cur di Giuseppe Zingone

di Piero Girace

Castellammare di Stabia, 4 Agosto 1930

La nuova del felice esito arriso al raid del cap. Sorrentino ci fu dato dal comm. Perugini, Podestà di Tripoli, con due magnifici messaggi inviati al duca di Bovino, Podestà di Napoli, ed al comm. Roberto Ausiello, Commissario Prefettizio di Castellammare. Messaggi che dicono in modo eloquente quanto faticosa ed ardua sia stata l’impresa nautica del nostro giovanissimo concittadino.
Vincenzo Sorrentino ormai può dire di aver realizzato il suo sogno che ai più sembrava «follia sperar»! Perché il raid in canòa Roma-Tripoli, brillantemente compiuto dal mio amico è stato veramente un sogno, un sogno che egli ha covato nell’animo con tutta la passione della sua calda giovinezza.
Io ne so la storia e la cronistoria, i sacrifici e le speranze, i dubbi e gli entusiasmi; e non mancherò forse di narrarli un giorno, facendo così opera illustrativa di una impresa nautica che è tra le più singolari e difficili di quelle fino ad oggi condotte a termine.
Vincenzo Sorrentino è un innamorato del mare.

La Crociera dell'Ardimento

La Crociera dell’Ardimento

Sempre in acqua tutte le ore, sotto il cielo lattiginoso dell’alba e sotto il sole canicolare, al timone di una yole o nella sua fragile canòa.
Castellammare-Capri e ritorno, Capri-Gaeta e ritorno, erano per lui gite di piacere, le quali si compivano, secondo il suo dire, «cantando», ossia con grande comodità. Si trattava invece di exploits che avrebbero fatto impressione anche al più vecchio e provetto marinaio, adusato ad ogni aspra e dura fatica del mare.
La canòa del mio amico in poco tempo si rese famosa in tutto il Golfo di Napoli.
Dopo il primo successo ottenuto col raid Castellammare-Roma, sembrava che la sua febbre di navigare si fosse placata. Difatti le apparizioni della piccola canòa nel Golfo erano divenute pressocché rare, ed il Capitano Sorrentino era sempre in gran faccende tra Castellammare e Napoli, sempre carico di libri nautici e di grossi rotoli di carta, che a malapena riusciva a bilanciare sotto il braccio.
Forse — pensai — Vincenzo si prepara agli esami.
E mi sbagliavo invece di grosso. Perché — lo seppi dopo pochi giorni — l’esame per il quale si preparava era nient’altro che il raid in canòa Roma-Tripoli.
Quand’egli una sera, in una di quelle tranquille sere stabiesi che si trascorrono apaticamente andando su e giù per i viali della Villa Comunale, me lo annunziò, io trasecolai.
— Ma guarda che è semplicemente pazzesco!
— Credi tu? lo invece ti dimostrerò che non è pazzesco!
E mi parlò dei calcoli già fatti, della divisione delle tappe, dell’organizzazione, degli ostacoli, delle difficoltà da superare e di mille altre cose che non ricordo più. Volle così dimostrarmi con la sua dialettica rumorosa e che non da requie, che la cosa poi non era tanto difficile.
— Credi pure il raid io lo farò. Vieni a casa; ti farò vedere lo schema della crociera già abbozzato.
Soltanto allora compresi il perché del suo affaccendarsi coi libri ed i grandi rotoli delle carte nautiche, e dell’abbandono della canòa. Vennero giorni di passione e d’intenso lavoro, di dubbi e di amarezze; perché, anche gli amici che gli volevano bene, lo sconsigliavano, prospettandogli crudamente le infinite difficoltà dell’impresa.
— E’ rischiosissima! E’ pericolosissima ! Ma che vuoi fare? Ma sei impazzito?
Di tale natura erano presso a poco gli «incoraggiamenti» che gli davano quelli ai quali confidava il suo sogno nautico.
Ma Vincenzo Sorrentino, come sempre imperturbabile ed irremovibile, rispondeva:
— Voi forse avete ragione; ma io sono sicuro che ci riuscirò. Nel mese di maggio partirò per Tripoli.
Il raid era divenuto la sua febbre. Viveva soltanto per esso.
Due mesi prima della partenza a casa sua, mi dispiegò davanti tutto un apparato geografico: carte nautiche, schizzi, libri di scienza marittimi, disegni di imbarcazioni da lui ideate, bussole, ecc.
Aveva affissa alla parete del suo studio una grande carta nautica.
— Guarda — e mi mostrò la carta su cui risaltavano una metà dello Stivale ed un lembo dell’Africa italiana — io ho già stabilito le tappe Roma, Ostia, Anzio, Terracina, Gaeta, Napoli, Castellammare, Amalfi, Salerno…
Il suo indice correva sulla carta con un tremito nervoso, con frenesia, finché lo vidi finalmente fermarsi sull’ultimo punto geografico segnato con una bandierina tricolore: Tripoli.
Tripoli, la città dei suoi sogni, la méta ove la sua ansia di navigatore avrebbe potuto finalmente quietarsi!
Scommetto che quel punto microscopico della carta nautica ogni notte doveva più ingigantire nella sua fantasia come sfondo allo scenario vasto di fiumi, mari, golfi, insenature e stretti che bisognava attraversare e superare con la sola forza delle braccia.
Io l’ho visto sognare sulla carta!
Roma-Tripoli, ecco i termini entro cui si estenuava la sua fantasia!
Da solo si mise all’opera per preparare l’organizzazione. Inviò lettere alle Autorità sportive, partì per Roma onde ottenere l’autorizzazione delle superiori gerarchie del Partito e il patronato della Lega Navale, si recò a Livorno ove diresse i lavori per la costruzione della canòa, intervistò il prof. Eredia, capo dell’Osservatorio Meteorologico, parlò con competenti, con marinari, ecc.
Tutto ciò fece con un dinamismo sorprendente, animato da una volontà ferrea e ostinata. Poiché egli è veramente l’uomo della volontà, l’individuo per il quale non esistono difficoltà ed ostacoli di sorta.

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Per riuscire bisogna volere. Vincenzo Sorrentino, infatti, ha dimostrato con il suo raid che anche nelle cose in cui pare che solo la forza ed il fisico robusto siano necessari, l’unica cosa veramente necessaria è la volontà. Quella grande forza morale, capace di far conseguire ad un giovane di fisico più che modesto come il suo, ciò che un monarca della forza bruta non avrebbe forse mai potuto conseguire.
Piccolo di statura e tutto nervi, egli ha un dinamismo volitivo eccezionale. Mi raccontò un giorno che quando compì il suo primo raid Castellammare-Roma, i bravi romani rimasero alquanto delusi e stupiti vedendolo scendere dalla sua fragile canòa.
Essi si aspettavano forse di veder comparire sulle acque del Tevere un colosso dalla muscolatura erculea, come si ammirano nei film, e non un giovanottino dai capelli castani, tutto ilare e sorridente.
— Lei è il capitano Sorrentino?
Questa la domanda che tutti indistintamente gli rivolsero con un palese senso di diffidenza e di incredulità. E ce ne volle per convincerli che lui, proprio lui, era quel capitano Sorrentino di cui i giornali avevano annunciato l’ardimentoso raid.
Ora io, nel rammentarmi di questo episodio, mi figuro la maraviglia che avranno provato i coloniali all’arrivo di Sorrentino a Tripoli.
Era partito di qui accompagnato dallo scetticismo di tutta la cittadinanza, compresi i suoi amici più cari, che non gli vollero risparmiare gli ultimi incoraggiamenti;
— Stà attento! — Pensaci bene! — L’impresa è rischiosissima!

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Nessuno voleva o poteva capacitarsi che Vincenzo, il loquace Vincenzo Sorrentino sarebbe stato capace di portare a termine una impresa cosi ardua. Ed oggi, a raid compiuto, quando tutti i giornali del Regno elogiano il gesto di questo valoroso nostro concittadino, Castellammare finalmente si ricrede, esulta ed inorgoglisce.
PIERO GIRACE

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Articolo pubblicato nel 2011


 

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