Lettera manoscritta

Le miracolose acque minerali di Castellammare

Le miracolose acque minerali di Castellammare

a cura di Lino Di Capua e Gelda Vollono

articolo del 09/03/2011


Nel corso delle nostre ricerche siamo venuti in possesso della copia di un giornale della metà del secolo scorso, il “Roma della Domenica”,  nel quale il giornalista Raffaele Ruggiero riporta la notizia dell’esistenza di un documento: una lunga lettera manoscritta, che reca la data del 23 agosto 1832, indirizzata ad un’Eccellenza e firmata dall’ingegnere costruttore di 1a classe Giuseppe Negri.

Lettera manoscritta

Lettera manoscritta

Quest’ultimo, come si legge nella lettera, precedentemente aveva sostenuto una ipotesi veramente affascinante su una non comune proprietà delle acque minerali di Castellammare, che nulla ha a che vedere con le loro celebri virtù terapeutiche, cioè quella di rendere durevolissimo il legno in esse immerso.
Le varie ricerche fatte per confermare questo suo asserto con prove scientifiche, lo avevano fatto imbattere in una fortunata scoperta. Infatti, durante lo scavo di un canale per fare affluire le acque del Sarno in un terreno privato in località Messigno, si erano ritrovate le cime di tre alberi verticalmente interrati, le cui fibre legnose si presentavano notevolmente compatte ed indurite . Si constatò inoltre, che i tronchi erano di cipresso, legno usato anticamente per le alberature delle navi. L’ingegnere Negri, escludendo l’ipotesi, che tali cime affioranti appartenessero ad un’antica foresta sepolta, poiché il cipresso non aveva mai vegetato nei dintorni di Castellammare, pensò, che si trattasse di alberi di antiche galere romane, sommerse nell’anno 79 d.C. durante la terribile eruzione del Vesuvio, nel sito che allora era ricoperto dal mare. Ad avvalorare ancora di più la sua ipotesi fu il fatto che gli alberi erano muniti di cerchi di ferro e che, nelle immediate vicinanze, si fossero rinvenuti oggetti marinareschi. Per questo tentò di dissotterrare uno degli alberi con tutti i mezzi e gli uomini a sua disposizione, provando anche, mediante trivelle, ad individuarne l’altezza, per stabilire a quale profondità potesse trovarsi il piano di coperta della supposta galera. Tuttavia, vedendo vanificati tutti i suoi tentativi, pensò di informare delle sue scoperte, tramite la lettera di cui sopra, un’Eccellenza perché se ne facesse interprete presso il Sovrano di cui ben conosceva l’interesse e l’amore per l’archeologia. Ad esortare la personalità cui si rivolse nella sua lettera, l’ingegnere non mancò di sottolineare che l’Archeologia e la Storia avrebbero tratto preziosi vantaggi da questa nuova sua scoperta, suscitando la meraviglia, lo stupore e l’invidia delle Nazioni tutte, poiché avrebbe comprovato l’incorruttibilità del legno fossilizzatosi in diciotto secoli, per effetto delle acque minerali.
Il Ruggiero termina l’articolo lasciando ad altri il compito di continuare la ricerca in base alle tracce lasciate dal Negri, ammettendo di ignorare se il Negri aveva mai portato a compimento il suo studio.
Stimolati da quella che ci è sembrata una sfida, abbiamo continuato a cercare notizie sull’argomento e, attraverso una rilettura delle fonti bibliografiche, abbiamo trovato interessanti informazioni che ci aiutano a risolvere l’enigma.
Negli Annali Civili del 1835(1), abbiamo rinvenuto la memoria integrale dell’ingegnere Negri nella quale sono riportati alcuni importanti particolari omessi oppure ignorati dal Ruggiero nel suo articolo.
Apprendiamo in questo modo, che l’ingegnere Negri era addetto alle costruzioni nel Regio Arsenale di Castellammare di Stabia e, che l’Eccellenza a cui era indirizzata la missiva era il suo superiore, Ministro della Guerra e Marina, Cavalier Fardella, al quale presentò anche una dettagliata relazione sulle sue scoperte: relazione che, pervenuta alla Reale Accademia Ercolanese, diede luogo alla nomina di una commissione incaricata di recarsi sul luogo, per proporre ciò che si dovesse fare.
Veniamo a sapere inoltre, che il podere, posto nel cuore di Messigno dove si erano fatti i lavori per la ricerca di acque irrigue, era di proprietà del colonnello Piscicelli, il quale, dopo il rinvenimento degli alberi, nel 1819 aveva redatto una memoria, inviata alla Reale Accademia delle Scienze, sulla proprietà che le acque minerali hanno, per la conservazione del legno di quercia, tacendo però in tale scritto la localizzazione di tali alberi.
Probabilmente fu la conoscenza di questi fatti ad affascinare l’ingegnere Negri, che, conquistato dalla ipotesi veramente suggestiva del Piscicelli (riguardo alla proprietà delle acque minerali), si persuase a cercare prove scientifiche che ne dimostrassero la veridicità. Iniziò quindi ad aggirarsi nei dintorni di Messigno in cerca di tali alberi e fu in quel modo, che apprese dai contadini del posto, dell’esistenza di alcuni tronchi nei loro pozzi, dai quali prelevò i campioni che, a suo dire, una volta esaminati confermarono l’ipotesi sulla proprietà delle acque, Tale scoperta lo spinse anche a concludere, che a Messigno potesse essere nascosto un antico naviglio, magari il medesimo utilizzato da Plinio per accorrere in aiuto del suo amico Pomponiano durante la disastrosa eruzione del 79 d.C. A convincerlo a fare quest’ultima congettura era stato anche il fatto che tra gli alberi interrati ve ne erano alcuni sulla cui sommità presentavano dei ganci di ferro a cerchio(2). Per di più uno degli alberi fatti tagliare dal Piscicelli terminava a calcese(3), come si usava fare nei bastimenti a vela latina.
In seguito a questa memoria, come abbiamo già detto, il 24 marzo 1833 l’Accademia deliberò di trasferirsi alla visita dei luoghi in compagnia del Cav. Negri, tuttavia quella risoluzione rimase priva di effetto.
Per alcuni decenni su questa vicenda scese il silenzio (infatti, negli anni a seguire sembra che non vi siano documenti che citano l’accaduto), fin quando non rinveniamo alcuni scritti, che ci permettono di continuarne la tesi storica.
In particolare citiamo uno studio del 1858 ad opera dei più brillanti scienziati del Regno, quali V. Tenore, O. Costa, L. Palmieri e A. Scacchi e le pubblicazioni di Michele Ruggiero, uno dei più autorevoli protagonisti dell’archeologia campana dell’800. Ma andiamo con ordine.
Nel 1858, nel corso dei lavori di scavo per la rettifica del fiume Sarno, aveva fatto notizia, il ritrovamento in località Messigno di numerosi cipressi. La particolarità del rinvenimento era dovuta al fatto che trattavasi di un vero e proprio cipresseto di circa 100 tronchi, che esaminati solo in parte dagli ingegneri, spinse le autorità a nominare una commissione di scienziati da recarsi sul posto per redigerne un dettagliato resoconto. Il rapporto informativo stilato ad opera dei su menzionati studiosi: Tenore, Costa Calmieri e Scacchi, evidenziò tra le altre cose la sistemazione a quinconce del cipresseto, ovverosia la sistemazione, con disposizione a file parallele sfasate di mezzo passo, di alberi certamente non spontanei, ma messi a dimora verosimilmente per la lavorazione del legno, essendo risaputo che il Cupressus sempervirens, duro, nodoso e compatto, è particolarmente ricercato per infissi e mobili(4). Era quindi da supporne l’esistenza nei pressi di una grande villa rustica.
In forza di tale ipotesi il sito con i cipressi potrebbe essere il medesimo, fatto oggetto di studio dal Michele Ruggiero, che più volte ne fa menzione nelle sue pubblicazioni. Infatti nel 1879 il Ruggiero riporta la notizia del ritrovamento nel 1858, in località Messigno, di un complesso rustico(5), e dell’individuazione, durante gli stessi lavori e nello stesso anno, di cipressi presso alcune case provviste di soglie di marmo e di numerosi dolia(6).
Il complesso rustico e l’annesso cipresseto al termine dei lavori di bonificazione della zona, probabilmente furono rinterrati e della loro localizzazione ne rimase traccia solamente negli archivi e nelle fonti bibliografiche.
Tuttavia, fortunatamente, alla fine del secolo scorso, tutta la zona di Messigno fu interessata da lavori di saggi archeologici diretti da M. Mastroroberto, che riportarono alla luce, dapprima nel 1989, le strutture di una villa rustica e poi, l’anno successivo, una vasta area coltivata a cipressi(7).
Dalla comparazione di tali testimonianze, che indicano sempre lo stesso luogo e segnalano la medesima natura degli alberi, siamo portati a credere che:
a) l’impianto rustico ed il cipresseto siano da mettersi in relazione sempre al medesimo rinvenimento;
b) i cipressi rinvenuti dall’ingegnere Negri nel 1832 siano da ricollegarsi allo stesso ritrovamento.

Concludendo, le ipotesi del Negri sulla proprietà delle acque minerali e sul ritrovamento della nave di Plinio, pur essendo affascinanti, vengono certamente a cadere, tuttavia a lui si deve il grande merito di essere stato il primo ad attirare l’attenzione del mondo scientifico su un sito, che, come abbiamo visto nel corso degli anni, si è rivelato essere uno dei più ricchi di reperti archeologici.


Note:
1) Cfr. Reliquie di antico Navile in Messigna, in Annali Civili del regno delle Due Sicilie, 1835.
2) Si legge nella sua memoria: Il colono Antonio D’Amura che trovò uno di questi cerchi lo ha convertito in un treppiè da paiolo; il cerchio è della grossezza di linee 12, largo 31, del peso di tre rotoli.
3) Da internet: Albero a calcese. Quello di un solo pezzo, in legno, recante sull’estremità superiore (a sezione quadrilatera) una cavatoia provvista di puleggia per il passaggio della drizza della vela; nei piccoli bastimenti a vele latine e sulle barche a remi, alberatura smontabile.
4) AA.VV. Rapporto alla Reale Accademia delle Scienze intorno ad alcuni alberi trovati nel bacino del Sarno. In Atti della Reale Accademia delle Scienze, 1858.
5) Discorso pronunciato in Pompei addì 25 di sett. 1879: nella solennità del diciottesimo centenario dopo la sua distruzione.
6) Del sito di Pompei e dell’antico lido del mare”, estratto da AA.VV. Pompei e la regione sotterrata del Vesuvio nell’anno 79, edito a Napoli nel 1879.
7) Stabiae: Storia E Architettura. 250° Anniversario degli Scavi di Stabiae 1749- 1999. A cura di Giovanna Bonifacio e Anna Maria Sodo. L’Erma di Bretschneider, 2002


Per info e contatti: Associazione Onlus Ex Diversis Unum
Cell.: 340 7160400 – e-mail: eduonlus@email.it

Un pensiero su “Le miracolose acque minerali di Castellammare

  1. eetkamerset

    Torniamo pero in tempi piu recenti. Ferdinando IV, affezionatissimo alla sua Ischia e alle sue acque termali gia studiate e conosciute da molti secoli, si limito all invio dei migliori chimici e scienziati di Napoli per lo studio delle sorgenti termali di Castellammare. Fu poi il figlio Francesco I di Borbone a tagliare il nastro del primo stabilimento nel 1828, oggi soprannominato La sede progettata dall architetto Catello Troiano doveva essere davvero magnifica: da un lato si poteva ammirare il Vesuvio e dall altro, alle spalle, il Monte Faito. Tutt attorno c era una fitta vegetazione verde e, poco piu in la, gli storici cantieri navali di Castellammare di Stabia. Fu aperta al pubblico per la prima volta il 1 giugno 1833, con grandi festeggiamenti celebrati dal giovanissimo Ferdinando II .

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *