Pillole di cultura: ‘Ncignà

a cura del prof. Luigi Casale

Il mio rapporto con questa parola è di grande familiarità, nel senso che, pur avendo avuto sempre poco da incignarmi, l’eccezionalità dell’avvenimento che essa denota, mi ci ha fatto affezionare. Comunque, come parola usata dalla prima infanzia, essa fa parte del mio patrimonio lessicale più caro alla memoria. Richiama la mamma, sempre; il papà delle giornate di festa; le prime comparenze in società, la giovinezza, l’amore, lo sposalizio, in seguito, la famiglia; dopo, il verbo ha cominciato ad essere più desueto, continuando tuttavia ad essere sempre gradita la rara occasione di incignarmi qualcosa, perché, alla fine, ha associato alla mamma, nella memoria più cara, anche la presenza della sposa.
Nella mia adolescenza quando iniziavo a frequentare… , a giocare… con la para-etimologia, nella mia ingenuità, l’avevo associata alla parola “cigno”, e la spiegavo come “farsi bello come il cigno”.
La prima delusione l’ho ricevuta quando l’insegnante d’italiano (di Castellammare, appunto), nel suo parlare corrente, corretto e forbito “in lingua”, l’ha usata come una parola per lui normale – mi sembrava – e ricorrente. Allora esiste anche nella lingua italiana? Mi son chiesto. Ed ho dovuto prenderne atto. Insieme al fatto che si cresce e si diventa grandi. Allora si impara. E si impara anche a guardare in faccia la realtà. Intanto questa sorpresa mi ha consentito di cercarla sul vocabolario italiano (non tutti la riportano) e di apprenderne un percorso etimologico più appropriato, perché scientifico. “Da una forma di tardo latino: incaeniare, si risale all’aggettivo greco kainόs (nuovo)”. Giacché ci siamo, consiglio a qualche liberoricercatore più volenteroso, non proprio giovanissimo come i miei amici di scuola media, di visitare il sito www.kainos.it (rivista telematica di filosofia), dove, anche lì, si possono trovare delle “novità”.
Finché il vocabolario mi dice voce regionale, va bene. Poi scopro che esiste anche il verbo “incincignare”, indicata come voce del linguaggio familiare toscano che significa sgualcire (maltrattare e rovinare, insomma). E si dice del tessuto. Forse è l’opposto di incignare.
Vedete che è sempre meglio sentire più campane?! E qui mi corre l’obbligo di citare il dizionario da cui ho appreso tutte queste informazioni. Non è pubblicità, badate. Ho detto obbligo: infatti si tratta di un obbligo giuridico e morale. Ma anche un riconoscimento di meriti, che non mi spettano.
Il dizionario è il DIR (dizionario italiano ragionato), edito da G. D’Anna – Sintesi [E non vi indico la data per due motivi: primo perché la pubblicazione ormai è un classico, anche se di poca fortuna; secondo: per non far sapere in giro da quanti anni sono nella condizione di pensionato]. Direttori e coordinatori del progetto: Angelo Gianni e Luciano Satta.
Allora ai miei amici di scuola media dico che, se vi va, se vi piace, la parola incignare o incignarsi (falso riflessivo: si chiama forma media del verbo) potete anche usarla nel tema in classe. E se non fate più il tema in classe, allora nelle vostre “scritture comunicative”. A risentirci. Fino a quando non vi scocciate.

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