foto attentato

Il ’48 a Castellammare

a cura di Antonio Cimmino

Manifesto

Manifesto

18 aprile 1948. Data fatidica con la quale iniziò l’era dell’egemonia democristiana, è legata anche a un simbolo e ad un ricordo, quello del Fronte Popolare Democratico. Di quella stretta alleanza che legò in un blocco elettorale il P.C.I. e il P.S.I. presentatisi con il simbolo della testa di Garibaldi in una stella a cinque punte. Esperienza disastrosa dal punto di vista elettorale che contribuì a creare situazioni di rigetto nei due partiti della sinistra: il PCI accettò il Fronte senza entusiasmo perché non ci credeva fino in fondo e, il PSI solo per motivi legati alla ricerca affannosa di una propria fisionomia.  Il Fronte registrò un calo elettorale del 10% rispetto ai risultati che i due partiti separati e il Partito d’Azione (confluito nel PSI) avevano ottenuto nelle elezioni del 2 giugno 1946. I più penalizzati furono i socialisti che ottennero solo 42 deputati su 183 e videro distrutta la generosa prospettiva di riunificare i due partiti della sinistra voluta da Nenni, Morandi e dal gragnanese Lizzadri.

Il '48 a Castellammare, le Elezioni politiche

Il ’48 a Castellammare, le Elezioni politiche

A Castellammare, invece, la situazione apparve buona. Il Fronte raccolse il 45,57% dei voti contro il 39,5% dei democristiani.
Il clima politico e sociale stava infuocandosi e sfociò nell’attentato del 14 luglio del 1948 a Palmiro Togliatti ad opera di Antonio Pallante, uno studente siciliano senza agganci politici. La giovane democrazia corse seri rischi. Si creò una situazione preinsurrezionale che causò, tra la polizia e i dimostranti ben 30 morti ed 800 feriti, nonché 7.000 comunisti arrestati e, poi, licenziamenti e rappresaglie.

foto attentato

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A Castellammare, sparsasi la notizia dell’attentato, spontaneamente moltissimi operai comunisti lasciarono le fabbriche e si riversarono a Piazza Municipio. La gran parte era della Navalmeccanica, ma presto il gruppo si infoltì di lavoratori dell’AVIS, dei C.M.I. e di altri militanti comunisti. Fu tentato un assalto alla sede della Democrazia Cristiana ubicata nel palazzo detto “del seminario”, sempre a Piazza Municipio, ma le Forze dell’Ordine riuscirono a bloccare la folla inferocita. Allora si riversò verso Piazza Quartuccio bloccandone l’accesso con selci. Non contenti i manifestanti lanciarono delle bombe a mano contro il Commissariato di P.S.
Walter Tobagi nel suo libro “La rivoluzione impossibile” (ed. Il Saggiatore, 1978) scrisse che lo sciopero interessò circa 6.000 lavoratori e che alcuni comunisti lanciarono una bomba a mano contro la Caserma Marina (la cd. Cristallina di Via Duilio?), ma tale notizia non si evince dagli atti del successivo processo e, credo che mai gli operai della Navalmeccanica avrebbero attaccato una postazione della Marina, sia perché i marinai non furono interessati al servizio pubblico e sia per il legame che univa i lavoratori del cantiere navale alla Marina stessa.
Durante l’assalto al Commissariato di Polizia, alcuni manifestanti, tra cui Catello Frezza – così come si evince dall’atto di citazione a giudizio – si scontrarono con gli agenti di P.S. Guido Bianco e Mario Ferrari che furono oltraggiati e percossi…, intervenne in loro aiuto il commilitone Paolino Spera, ma venne anch’egli sopraffatto dalla folla. I tre poliziotti, benché contusi e feriti, riuscirono a guadagnare il portone del Commissariato per mettersi in salvo. Per tale azione furono rinviati a giudizio e, successivamente condannati, con l’accusa di “violenza aggravata a Pubblico Ufficiale e tentato omicidio aggravato con lancio di pietre”, oltre al Frezza, anche Vincenzo Conte, Raffaele De Nicola e Raffaele Scavelli.

Decreto di citazione

Decreto di citazione

Era intanto trascorso il giorno di mercoledì 14 luglio. Notizie convulse giungevano da altre zone d’Italia. Al Nord si prospettava addirittura una rivoluzione, benché lo stesso Togliatti ed i capi comunisti avessero invitato i compagni alla calma ben sapendo i rischi che si correvano per lo scoppio di una guerra civile, così come stava avvenendo in Grecia. Molti ex partigiani, specie nelle regioni “rosse” avevano tirato fuori le armi, specie le mitragliatrici pesanti, nascoste dopo il 25 aprile 1945. Uno dei manifestanti di Scanzano, anni dopo mi confidò che, non avendo a disposizione che poche pistole e qualche cassetta di bombe a mano, aveva addirittura pensato di prelevare del tritolo dalle cave di Pozzano per sopperire con l’esplosivo alla penuria di armi in attesa dell’ora X della rivoluzione. Il giorno successivo si verificarono altri incidenti a Scanzano, ove furono devastate le sedi della Democrazia Cristiana e del Partito Liberale appiccando con il fuoco la mobilia e le suppellettili. Gli imputati per tali azioni furono individuati nelle persone di Catello Viola, Francesco, Catello e Luigi D’Auria, Raul Filoni, Mario Ricchezza e Antonio Martinelli. Furono rinviati a giudizio, inoltre, Gennaro Cardone e Domenico Scevola per “detenzione di rivoltelle e bombe a mano” e Gaspare Sicignano per porto di fucile “senza autorizzazione”. Tutti gli altri risultarono correi dell’azione.
Sempre giovedì 15 luglio, un gruppo di manifestanti si spostò a Castellammare e alla testa di una “folla inferocita” invase e devastò le sedi del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (sigla P.S.L.I. chiamati dispregiativamente “piselli”), del Partito Liberale, del Circolo Artistico e del Circolo Nautico. Il pianoforte a coda di quest’ultimo fu preso e gettato a mare. I comunisti di allora si vendicarono contro coloro che ritenevano “nemici di classe” ed “affamatori del popolo”. Chissà cosa direbbero i vecchi compagni se vedessero oggi, alcuni ex comunisti della generazione appena successiva alla loro, divenuti rispettabili soci del Circolo Nautico? Fortunatamente le cose sono mutate e le barriere ideologiche scomparse!
I richiami alla calma da parte del Partito e la salvezza di Togliatti, fecero rientrare la rivolta che rischiava di assumere risvolti pericolosissimi per la vita democratica.
Anche a Castellammare si ebbero degli arresti tra cui: Catello Frezza, Vincenzo Conte, Antonio Martinelli, Gennaro Cardone, Gaspare Sicignano, Pietro Festa e Antonio Russo. Gli altri si diedero alla latitanza. Si celebrò un primo processo.

In base alla sentenza delle Sezioni Istruttoria del Tribunale Civile e Penali di Napoli, del 23 marzo 1949 fu emanato un Decreto di Citazione per Giudizio. Il Partito Comunista incaricò avvocati di grido per difendere i compagni accusati. Il Collegio di difesa era composto dagli avvocati: A. Cerabona, F. Nazzaro, P. Budetta, V. De Silva, F. De Luca, L. Gaglia e dal senatore socialista Pietro Adinolfi. Quest’ultimo, eletto senatore il 18 aprile 1948, era Presidente del Collegio dei Probiviri dell’Associazione forense napoletana, nonché componente della 2° Commissione Permanente Giustizia ed Autorizzazioni a procedere del Senato. Adinolfi ben conosceva le vicende dei suoi assistiti in quanto, nella seduta del venerdì 16 luglio 1943, in una interrogazione al Ministro degli Interni Mario Scelba, cercando di sdrammatizzare la spinta rivoluzionaria degli avvenimenti del giorno prima e difendere i lavoratori dall’accusa di aver indetto uno sciopero politico, ebbe ad affermare “…. Perché è qui dentro che vi è il vero senso dell’intolleranza e dell’insurrezione e non già al fuori di questa Aula!…Non c’è stato sciopero politico…lo sciopero è sorto un’ora dopo la notizia tragica del tentato assassinio dell’onorevole Togliatti, ed allora non è uno sciopero organizzato, diretto e comandato da qualcun altro…”. Anche il Senatore Silvio Gava prese la parola in quell’assise e riferendosi ai fatti di Castellammare disse: “Sig. Presidente, io vorrei informare che nel giro di pochi mesi per ben tre volte la violenza comunista si è scatenata a Castellammare di Stabia colpendo uomini e cose della Democrazia Cristiana ed anche di altri partiti, e per ben due volte l’imperio della legge non ha avuto modo di manifestarsi…”.
Tornando al processo, svoltosi in un’aula affollata e carica di tensione, si avvicendarono le parti lese nelle persone di: Rodolfo Palermo, Domenico Gambardella, avv. Pietro Angrisano, Giuseppe Sibilia, Catello Discolo, Salvatore Esposito, Guido Bianco e Mario Ferrari. Anche i testi furono numerosi: Federico Scelzo, Paolini Spera, Enrico Miccio, Pasquale Calò, Ciro Scognamiglio, Vincenzo Amoroso, Simone Di Ruocco, Giovanni Di Ruocco, Federico Cannavale, Giuseppina Centola, Antonio Balzano, Amelia Palumbo, Giuseppe Cioffi, Alfredo Del Prete, Ernesto D’Alessio ed Elena Castellano.

Gli imputati

Gli imputati

Il Tribunale di Napoli – sez. 16° – il 15 giugno, emanò la sentenza n. 699 bis che condannò tutti i 37 imputati. Le pene non furono troppo dure, ma le conseguenze si ripercossero fino agli inizi degli anni ’70 con discriminazioni di ogni sorta, sia sui luoghi di lavoro e sia nei confronti dei figli degli imputati ai quali fu precluso l’accesso alla carriera militare e, per chi lavorava nel cantiere navale, il permesso di salire a bordo di navi militari in allestimento.
Questi i fatti a noi noti di un piccolo spaccato di storia locale, che senza alcun dubbio rappresenta una tessera del grande mosaico della storia nazionale.

 

 

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